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Trionfo del Kuomintang alle amministrative e dimissioni di Tsai Ing-wen: cosa (non) cambia a Taiwan

mmbyStefano Pochettino
Dicembre 15, 2022
in Asia Orientale e Oceania
Reading Time: 6 mins read
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Trionfo del Kuomintang alle amministrative e dimissioni di Tsai Ing-wen: cosa (non) cambia a Taiwan

Trionfa alle elezioni amministrative taiwanesi il partito nazionalista del Kuomintang (KMT), sconfiggendo il Partito Democratico Progressista (PDP). Dopo il risultato degli exit-poll del 26 di novembre, l’attuale presidentessa Tsai Ing-Wen ha annunciato le dimissioni da capo del suo partito. Il KMT ha conquistato 13 delle 21 contee del Paese, tra cui Taoyuan, fondamentale per capire la direzione della politica taiwanese, e Taichung, principale centro economico dell’isola. Il PDP si è fermato a 5 contee, il Partito Popolare Taiwanese (PPT) a 1 e mentre 2 seggi sono stati assegnati a candidati indipendenti. Rilevante è stata anche l’elezione del pro-nipote di Chiang Kai-shek, Chiang Wan-an, come sindaco della capitale Taipei, riconquistata dopo la vittoria nel 2018 del PPT.

La vittoria del KMT è il risultato di una campagna elettorale d’opposizione alle politiche del governo, accusato di non essere in grado di far fronte ai problemi quotidiani della popolazione e di non aver gestito efficacemente il recente aumento dei ricoveri per Covid-19. Secondo il China’s Taiwan Affairs Office, agenzia amministrativa della Cina continentale, questo voto ha rappresentato la richiesta dell’opinione pubblica taiwanese “di pace, stabilità” e di una “bella vita”. Sul tema delicato delle relazioni con la Repubblica Popolare Cinese (RPC), il KMT ha accusato pesantemente la presidente Tsai di aver inasprito le tensioni nello stretto con un atteggiamento più aggressivo e provocatorio verso Pechino. Il presidente del Partito Eric Chu, però, ha preso le distanze dalle posizioni pro-Cina continentale. Ha dichiarato di voler “insistere nel difendere la Repubblica di Cina e proteggere la democrazia e libertà” ma allo stesso tempo di “lavorare duro per mantenere la stabilità regionale”.

Dall’altro lato, una dura sconfitta elettorale per il PDP che ottiene il suo peggior risultato nella storia del partito: solo cinque le contee conquistate (Kaohsiung, Pingtung, Tainan, Chiayi e le isole Penghu), una in meno rispetto al 2018. A questo si aggiunge la bocciatura del referendum costituzionale proposto dallo stesso PDP sull’abbassamento dell’età prevista per il voto da 20 a 18 anni. La strategia di puntare sul tema della corruzione per battere i rivali politici non ha funzionato. Lin Zi-Miao, sindaco e candidato per la contea di Yilan, e Hsu Chen-wei, sindaca e candidata per la contea di Hualien, ad esempio, accusati di clientelismo politico e di aver ricevuto favori da altre figure politiche vicine a loro durante il loro primo mandato, sono riusciti comunque ad essere rieletti vincendo la sfida diretta contro i candidati del PDP rispettivamente Chiang Tsung-yuan e Kolas Yotaka.

Quindi cosa cambia a Taiwan? In realtà poco. Il PDP ha mantenuto la stessa differenza di voti con il KMT rispetto alle elezioni amministrative del 2018 (anche se va considerato un calo dell’affluenza dal 66% al 60%) e ha ottenuto più seggi nei consigli delle contee a livello nazionale (277 contro i 238 del 2018). Il KMT, al contrario, nonostante abbia vinto quasi tutti gli scontri tra candidati per il governo delle contee, ha invece ottenuto meno seggi (367 contro 394). La vittoria del partito nazionalista non coincide di fatto con una grande perdita di consenso del PDP. Riguardo ai risultati delle elezioni va anche considerato che che le elezioni amministrative non sono necessariamente lo specchio delle elezioni presidenziali. Le elezioni locali del 2018 e quelle presidenziali del 2020 ne sono l’esempio: dopo la vittoria del KMT alle amministrative, il PDP, dopo aver ricucito le spaccature interne, ha trionfato a livello nazionale, confermando Tsai Ing-wen per il suo secondo mandato. 

Le dimissioni dell’ormai ex-segretaria sono emblematiche ma non decisive. Da una parte, continuerà comunque a governare in una situazione molto simile a quella in cui stava governando attualmente visti i risultati del 2018; dall’altra, la personalizzazione del voto ha permesso di salvaguardare i voti del partito riducendo l’impatto sulle elezioni presidenziali del 2024. Va considerato infatti che Tsai Ing-wen, non si potrà ricandidare per via del vincolo dei due mandati. 

Cina e Stati Uniti hanno osservato da vicino il voto anche se di fatto questo non ha spostato gli equilibri nella sfida tra le due superpotenze. La questione identitaria, fondamentale per capire il futuro del confronto tra Washington e Pechino, non è stata messa al centro della campagna elettorale, nonostante alcuni accenni da parte dei due partiti. Sia il PDP che il KMT hanno sostenuto una posizione a favore dell’autonomia dell’isola anche se con declinazioni diverse. Il successo dell’approccio “soft” proposto dal KMT nei confronti della Cina non corrisponde necessariamente ad un aumento del consenso al ricongiungimento con la Repubblica Popolare. Secondo i dati riportati dall’Università Nazionale di Chengchi, nel 2022 non si sono riscontrate variazioni significative nell’opinione pubblica da poter collegare la vittoria del KMT ad una crescita del movimento pro-Cina. 

Bisognerà aspettare le elezioni presidenziali del 2024 per valutare il reale orientamento politico interno al Paese. Più che in questa occasione, i sentimenti identitari della popolazione giocheranno un ruolo preponderante quando si tratterà di scegliere la nuova guida del Paese, soprattutto in un plausibile scenario di ulteriore tensione nello stretto. Per il momento questa tornata elettorale di “mid-term”, lascia ancora aperti diversi scenari che possono cambiare le sorti dell’isola. 

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Tags: CinaelezionitaiwanTsai Ing-wenUSA
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