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Uno sguardo alla nuova Strategia di Sicurezza Nazionale americana

Aldo CaranobyAldo Carano
Dicembre 1, 2022
in Nord America
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Uno sguardo alla nuova Strategia di Sicurezza Nazionale americana

Il 12 ottobre 2022, l’Amministrazione Biden ha presentato la sua Strategia di Sicurezza Nazionale (National Security Strategy, NSS), il documento che va a delineare gli obiettivi strategici per gli Stati Uniti, almeno fino al 2024. Il testo della NSS era particolarmente atteso, in seguito alla  ripresa delle tensioni con la Cina per Taiwan e all’invasione russa dell’Ucraina. Ogni Presidente è tenuto – su sollecitazione del Congresso – a presentare al popolo americano il suo approccio alla sicurezza nazionale. Mettere per iscritto la Strategia di Sicurezza Nazionale rende infatti maggiormente trasparente (almeno nelle sue linee generali) la politica estera degli USA, mettendo al corrente sia i cittadini, sia il Congresso, che in questo modo può meglio esercitare la sua funzione di controllo sull’esecutivo. A ciò si aggiunge l’importanza di comunicare ai partner e ai competitor quale sarà l’approccio di Washington durante l’Amministrazione corrente, quali le priorità, gli impegni e le linee rosse. Data l’urgenza delle sfide emerse  nel 2022, vari osservatori hanno contestato il ritardo con cui la National Security Strategy è stata presentata. La precedente Amministrazione Trump aveva infatti pubblicato la sua NSS in meno di un anno. Tuttavia, come ha fatto notare il realista Matthew Kroenig su Foreign Policy, è possibile che, proprio a causa della guerra in Ucraina e del montare delle tensioni nel Pacifico, Biden e i suoi collaboratori abbiano dovuto rivedere drasticamente la bozza a cui stavano lavorando dal 2021.

Russia e Cina rappresentano la sfida geopolitica principale per l’Amministrazione Biden. La Russia, con la sua aggressione all’Ucraina e il ritorno della guerra in Europa scatenata da una grande potenza, è una minaccia acuta, da contenere il più possibile. Viene anche posto l’accento sulla sicurezza nucleare e sulla necessità di impedire a Mosca l’impiego armi nucleari. Tuttavia, come ha fatto notare il New York Times, la Strategia non rende nota la risposta americana o della NATO a un uso dell’atomica da parte di Mosca. A tal fine, una risposta può provenire dalla National Defense Strategy (NDS) – l’applicazione militare della NSS elaborata dal Pentagono – in cui le direttive politiche della Casa Bianca vengono perfezionate dal punto di vista tecnico dal Dipartimento della Difesa. L’aggiornamento della Postura Nucleare, contenuto nella NDS, sottolinea che gli Stati Uniti non posso rinunciare alle armi nucleari, dato il contesto internazionale, ma che le utilizzeranno “solo quando gli interessi vitali del Paese, degli Alleati e dei partner saranno minacciati”. L’espressione partner – evidentemente distinta dagli Alleati NATO, del Pacifico e Israele – potrebbe aprirsi a letture estensive. Altro tema affrontato dalla NSS in relazione alla Russia è la stabilità energetica e la necessità di impedire a Mosca di utilizzare le fonti di energia come arma nei confronti dell’Occidente. A livello multilaterale, Washington si era già mossa nella sede del G7 per mettere a punto un price cap al petrolio russo.

Riguardo alla Cina, sia la NSS che il suo approfondimento da parte del Pentagono evidenziano come questa sia il “rivale sistemico, il competitor di lungo termine”. Si tratta di una continuità rispetto all’Amministrazione Trump, che per prima aveva identificato nella NSS la Cina come una minaccia, e rispetto al pivot to Asia dell’Amministrazione Obama. Per Washington, la gravità della minaccia cinese è unica, in quanto la Cina “è l’unico Paese che ha l’intenzione di rimodellare l’ordine internazionale” e che – a differenza della Russia – “ha sempre più il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per portare avanti questo obiettivo”.

Per rispondere a Mosca e a Pechino, la Casa Bianca fissa tre obiettivi generali: 1) investire nell’incremento del potere hard e soft degli Stati Uniti; 2) rafforzare le relazioni con gli Alleati e i partner, costruire una coalizione globale per esercitare “un’influenza collettiva” a favore dell’ordine internazionale a guida americana; 3) modernizzare e rafforzare l’esercito.

Si tratta sostanzialmente di tre punti che rispondono alla visione realista della Great Power Competition, a cui si unisce tuttavia la visione liberale e internazionalista, a promozione di valori come il multilateralismo, la democrazia e la rule of law.

L’approccio degli USA alla Cina, benché dominato dal riconoscimento della competizione in corso, apre anche ad alcune forme di collaborazione nel campo delle sfide transnazionali. La caratura dell’economia cinese, l’interdipendenza tra tutte (soprattutto le maggiori) economie del Pianeta, così come sfide transnazionali quali il terrorismo, l’inflazione, il cambiamento climatico e le pandemie, impongono alla Casa Bianca la ricerca del dialogo su questi dossier. Ne è la prova il recente vertice bilaterale tra Biden e Xi, avvenuto il 14 novembre alla vigilia del G20 di Bali. Il colloquio – durato tre ore – ha infatti evidenziato la necessità di questa collaborazione per compartimenti. Biden e Xi hanno convenuto sul non trasformare le relazioni USA-Cina in una nuova guerra fredda (benché sia ormai una delle definizioni più popolari dei rapporti tra i due Paesi). Sono state proprio le sfide transnazionali a fare da terreno comune ai due leader, a partire dal commercio internazionale (e la ripresa dei negoziati a tal proposito) e il cambiamento climatico. L’incontro di questo mese ha portato ad alleggerire la tensione da Washington e Pechino, specialmente dopo la crisi di Taiwan di agosto, culminata nella visita della Speaker della Camera dei Rappresentanti USA Nancy Pelosi a Taipei e in intense esercitazioni militari cinesi al largo dell’isola. A Bali, Biden è riuscito inoltre a ricevere l’appoggio da Xi per fare pressioni su Putin affinché non usi armi nucleari in Ucraina. La disponibilità della Cina a collaborare con gli USA ha permesso a Washington di mettere in luce l’insofferenza cinese per le azioni russe e che l’amicizia tra Xi e Putin non è del tutto “illimitata”. Sostanzialmente, nonostante gli USA vedano la Cina come il competitor del presente e del futuro, le riconoscono un ruolo essenziale, in quanto potenza emergente, nella stabilizzazione degli equilibri internazionali. Su altri temi (a partire da Taiwan), come ha messo in luce l’Atlantic Council, il rischio dei vertici USA-Cina è che Americani e Cinesi parlino “gli uni agli altri”, non “gli uni con gli altri”, partendo già dall’assunto dell’irreconciliabilità delle posizioni.

La competizione con la Cina e le incertezze dovute alla pandemia, all’approvvigionamento di fonti energetiche e materie prime impongono agli Stati Uniti di includere nella NSS anche la sicurezza della global supply chain e a ripensarla, in modo da “interiorizzare” investimenti, approvvigionamento di fonti e commercio nei settori strategici quali le tecnologie, specialmente ad uso militare, e le terre rare. Washington si avvia infatti a intraprendere la via del friend-shoring, ovvero di ricollocare investimenti diretti esteri e fasi produttive da Paesi come la Cina a Paesi amici, come la Corea del Sud o altri partner asiatici. Saranno inoltre da privilegiare investimenti nella “nostra forza lavoro”, in modo da potenziare l’industria nazionale. Dunque, soprattutto per le tecnologie informatiche, lo sviluppo di software e di beni dual-use (ad uso sia civile che militare), la linea è meno globalizzazione, più home investing. L’internalizzazione della catena del valore ha lo scopo di rendere gli Stati Uniti meno vulnerabili soprattutto nel settore dei microchip, prodotti – per circa il 65%  a livello globale – prevalentemente a Taiwan. A settembre, il governo americano ha stanziato, con il Chips and Science Act, un finanziamento da $52,7 miliardi per gettare le basi a un’industria nazionale di microchip.

Il fattore più rilevante della politica estera di Biden è il richiamo alla costruzione di un fronte unito di democrazie, con attori nazionali e organizzazioni multilaterali. Si tratta della caratteristica che ha distinto l’approccio di Biden alle relazioni con i Paesi europei, la NATO, l’UE e gli alleati del Pacifico. Saldare il fronte degli attori like-minded è anche essenziale per conciliare l’impegno degli USA nella NATO con la priorità nell’Indo-Pacifico. La necessità di far fronte comune è dovuta, secondo la NSS, alla presenza di attori revisionisti e autocratici, come Russia, Cina e Iran. La Strategia mette in luce le debolezze delle autocrazie. Inevitabile è il richiamo alle diverse crisi che scuotono Russia, Cina e Iran. Per la Russia la liberazione di Kherson da parte delle forze ucraine (11 novembre) è solo la tappa più recente dell’incapacità del Cremlino di portare a compimento i suoi obiettivi militari e mantenere i territori occupati. In Cina, nonostante il trionfo di Xi al XX Congresso del Partito Comunista, gravano la crisi del mercato immobiliare e il rallentamento dell’economia. Nella Repubblica Popolare sono inoltre scoppiate proteste contro la durissima politica governativa di Zero Covid, soprattutto a seguito dell’incendio di Urumqi. In Iran non si arrestano le proteste contro la Repubblica islamica, in quella che da una protesta sui diritti umani è divenuta una contestazione in toto alle istituzioni da parte delle nuove generazioni. Ma c’è di più. Occorre, secondo la Casa Bianca, abbattere la divisione tra difesa della democrazia in patria e all’estero: è ancora vivo il ricordo degli eventi del 6 gennaio 2021 e dell’assalto al Campidoglio. Per Washington, la promozione della democrazia all’estero non può prescindere dalla stabilità interna.

In conclusione, la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale individua efficacemente i dossier più caldi per la politica estera americana. Pone al centro la duplice sfida rappresentata dalle due potenze revisioniste, Russia e Cina, coniugando l’approccio geopolitico con quello liberale e internazionalista. Rispetto all’Amministrazione Trump è presente un forte distacco ideologico (soprattutto nella visione delle relazioni con i partner, si passa dalla visione transactional di Trump a una maggiormente cooperativa), ma la concezione della Cina come competitor sistemico e la protezione dell’industria e della tecnologia nazionali rimangono. Tuttavia, punto su cui le analisi di molti strateghi americani convergono, è piuttosto vaga sulle azioni concrete per affrontare tutte le sfide riportate, segno di come l’Amministrazione intenda mantenere piena libertà e flessibilità di azione in un sistema internazionale in rapida evoluzione.

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Tags: armi nucleariNATONSSstrategia di sicurezza nazionaleUSA
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