Lo scorso 20 novembre, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha vinto le elezioni presidenziali anticipate con oltre l’80% dei voti, confermando così la sua posizione a capo del governo di Astana. Gli altri candidati, Zhiguli Dairabayev e Karakat Abden, invece, si sono fermati rispettivamente al 3,4 e al 2,6 percento. Tokayev, salito al potere nel 2019 dopo le dimissioni di Nursultan Nazarbayev, storico leader kazako all’epoca dell’Unione Sovietica, si prepara quindi a rimanere al potere per i prossimi 5 anni. Oltre alla vittoria di Tokayev, i risultati comunicati dalla Commissione Elettorale Centrale (CEC) mostrano due aspetti interessanti. Il primo è l’affluenza alle urne che ha sfiorato il 70%, legittimando ulteriormente il successo del presidente rieletto, e il secondo è la percentuale di voti ottenuta dalla voce “contro tutti”, opzione inserita nel 2021 nella scheda elettorale per indicare il voto contrario a tutte le candidature proposte, che ha raggiunto i 5,8 punti.

Riguardo a questi dati, il giornale The Astana Times ha riportato le parole della direttrice dell’Istituto di Studi Strategici del Kazakistan, Alua Zholdybalina, secondo cui l’alta percentuale sia di votanti che di voti “contro tutti” segnalano che “ogni azione della leadership del Paese” è stata messa “sotto lo scrutinio pubblico”. Da una parte, infatti, emerge una forte volontà dei cittadini kazaki di partecipare attivamente alla vita politica del Paese, dall’altra, il voto “contro tutti” espresso da parte di quasi il 6% dei votanti manifesta una domanda interna di cambiamento.
Quelle del 20 novembre non sono state elezioni come le altre. Il 21 settembre scorso, infatti, Tokayev, dopo l’approvazione della CEC, ha annunciato il ritorno anticipato al voto dopo solo tre dei cinque anni di presidenza previsti. Una mossa apparentemente controintuitiva, ma che in questo caso trova la sua ragione negli eventi precedenti alle elezioni: in ordine di tempo, nelle sommosse scoppiate a gennaio a seguito dell’aumento del prezzo del gas, trasformatesi successivamente in protesta contro la classe dirigente, e il referendum costituzionale di giugno che ha limitato i poteri dell’esecutivo e rafforzato il ruolo del Parlamento.
La richiesta di tornare alle urne rappresenta il tentativo di Tokayev di riacquistare la stabilità politica necessaria per portare avanti le riforme promesse dopo le rivolte e arginare gli effetti del referendum. Poco dopo l’annuncio delle elezioni di novembre, il Parlamento ha approvato una legge che estende il mandato del presidente a 7 anni ponendo le basi per una lunga permanenza dello stesso Tokayev a capo del Paese. A questo si aggiunge la progressiva rimozione della famiglia Nazarbayev e dei suoi fidelizzanti dalle cariche di comando nel nome di un “nuovo e giusto Kazakistan”. Dopo la sospensione di Nazarbayev dal ruolo di Presidente del Consiglio di Sicurezza kazako, è infatti toccato alla figlia Dariga Nazarbayeva, rimossa dalla presidenza del Senato, e a diversi sostenitori dell’ex-presidente.
Dal punto di vista internazionale, il Kazakistan dovrà continuare a destreggiarsi tra gli interessi dei due giganti asiatici Russia e Cina, intenzionati a mantenere la loro influenza in Asia Centrale. Il presidente kazako, nonostante le congratulazioni di rito ricevute, non gode di ottimi rapporti con Mosca e Pechino. Nel primo caso, le relazioni si sono deteriorate in seguito al mancato allineamento di Astana con la Russia nella guerra in Ucraina, mossa auspicata dopo l’aiuto ricevuto dalla stessa Russia nel sedare le sommosse di gennaio.

Con la Cina, invece, la pressione soprattutto arriva sul fronte delle riforme. Sebbene Tokayev abbia rilanciato una politica estera multisettoriale con il Dragone, Pechino (insieme a Mosca) rimane interessata ad evitare ingerenze dei Paesi occidentali in Asia Centrale. Per quanto la presidenza attuale si ispiri ad un modello di modernizzazione autoritaria, richiamando i regimi di Cina e Singapore, la bussola delle riforme promosse dallo stesso Tokayev, liberalizzazione economica e decentralizzazione del potere in senso democratico, punta nella direzione opposta. Di conseguenza, non solo Pechino potrebbe interpretare il programma politico del presidente kazako come contrario alla sua ideologia, ma un suo supporto da parte di Paesi occidentali può essere considerato come un tentativo di ingerenza negli affari regionali, e quindi cinesi.
Nonostante la legittimazione ricevuta dal popolo kazako, Tokayev si trova comunque ad affrontare una situazione delicata per il Paese. Il temporaneo cessare delle manifestazioni non corrisponde ad un miglioramento delle condizioni economiche del Kazakistan, ancora alle prese con l’alto costo dell’energia e con l’eccessiva presenza dello Stato nel sistema economico. Nonostante non rappresenti né un cambiamento significativo dal punto di vista delle linee politiche ed economiche, né un avanzamento nel percorso di democratizzazione del Paese, questo successo elettorale ha però dimostrato una notevole abilità dell’amministrazione attuale non solo nel rafforzare la propria autorità in un momento di grande instabilità, ma anche nel riuscire a mantenere il proprio potere negoziale con Mosca e Pechino continuando a ricoprire un ruolo rilevante in Asia Centrale.
Latest posts by Stefano Pochettino (see all)
- Trionfo del Kuomintang alle amministrative e dimissioni di Tsai Ing-wen: cosa (non) cambia a Taiwan - Dicembre 12, 2022
- Elezioni anticipate in Kazakistan, il premier Tokayev consolida la sua leadership tra crisi economica e sfide geopolitiche - Novembre 29, 2022
- Il Portogallo sempre più digital-friendly: via al nuovo visto per nomadi digitali - Novembre 11, 2022