Nel corso della tappa in Vietnam del viaggio diplomatico nel Sud-est asiatico il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha dichiarato l’avvio di un piano di cooperazione tra Giappone e Vietnam. Durante l’incontro con l’omologo vietnamita Pham Mihn Chinh, si sono affrontati principalmente il tema dell’invasione russa dell’Ucraina e il Mar Cinese Meridionale, da tempo terreno di confronto tra le principali potenze asiatiche, su cui Kishida e Chinh convergono nella posizione di contrasto a qualsiasi tentativo di mutamento dello status quo con la forza nell’area. Particolare attenzione è poi stata dedicata ai cambiamenti climatici e al sostegno giapponese ai programmi di transizione energetica affrontati dal Vietnam con il suo obiettivo di raggiungere lo status di carbon neutral entro il 2050.

Al termine del colloquio il leader giapponese ha comunicato alla stampa la volontà dei due Paesi di rafforzare i legami politici, economici e militari “per riportare le economie di entrambe le nazioni su un chiaro percorso di ripresa sulla scia del coronavirus”, mentre il primo ministro vietnamita ha confermato l’intenzione “di rafforzare la cooperazione nel commercio post-pandemico, le catene di approvvigionamento e la transizione energetica, in conformità con i reciproci interessi”.
Vietnam e Giappone hanno una lunga storia di cooperazione, ma nell’ultimo anno Tokyo e Hanoi hanno stabilito legami più stringenti, anche in reazione al ruolo sempre più egemonico della Cina nella regione. Lo scorso 11 settembre i ministri della difesa giapponese e vietnamita, Nobuo Kishi e Phan Van Giang hanno stipulato un accordo che, secondo i principali osservatori internazionali, porterà i due Paesi a un “nuovo livello” di cooperazione, in quanto focalizzato sull’esportazione di attrezzature e tecnologie difensive estremamente sofisticate e all’avanguardia, su esercitazioni militari congiunte e con grande attenzione alle tematiche della cyber security. In altre parole, l’accordo rappresenta un potenziamento dei rapporti tra le due nazioni, in quanto non rispondente ai tradizionali canoni del patto di cooperazione ma si inserisce nel sempre più complesso scenario geopolitico asiatico.
Anche la firma del trattato, avvenuta durante la visita ad Hanoi del Ministro degli Affari Esteri cinese Wang Yi, ha un ruolo fortemente simbolico come chiaro avvertimento dell’insofferenza verso la condotta intimidatoria della Cina. Vietnam e Giappone sono accomunate da contese sul Mar Cinese Orientale e Meridionale con la superpotenza cinese: la prima presenta da diversi anni una disputa per le isole Spratly e Paracel, la seconda per le isole Senkaku (o Diaoyu, come denominate dalla Cina).
La presenza del ministro degli esteri cinese in territorio vietnamita evidenzia, però, un altro aspetto della posizione diplomatica della nazione che, pur stringendo relazioni con il Giappone e indirettamente con gli USA (principale alleato nipponico), mantiene rapporti, soprattutto in ambito commerciale, con la Cina che attraverso Wang Yi ha annunciato la donazione di 3 milioni di dosi di vaccino al Vietnam. Il Vietnam è oggetto di interesse di diverse nazioni non solo per la sua economia in crescita da diversi anni e con grandissime possibilità di espansione, ma soprattutto per la posizione mediana tra i due allineamenti: pro-Cina e pro-USA. La donazione delle tre milioni di dosi di vaccino, che sommate a quelle precedenti raggiungono un totale di 5,7 milioni di dosi, non sono che l’espressione della “diplomazia dei vaccini”, la più appropriata secondo il governo cinese per l’avvicinamento del Vietnam al proprio schieramento.

Il primo ministro Pham Minh Chinh afferma la necessità di dialogo e cooperazione con Pechino, ma al tempo stesso assume posizioni antitetiche alla superpotenza, come l’accusa alla Cina di impedire le esplorazioni vietnamite di gas nel Mar Cinese Meridionale attraverso le proprie piste d’atterraggio o installazioni oppure la stipulazione di un accordo di cooperazione militare con il Giappone. In altre parole il Vietnam conferma una posizione strategica di contemperamento e bilanciamento tra i due blocchi, senza allinearsi a nessuno dei due.D’altra parte la Repubblica Popolare cinese non ha nascosto un certo nervosismo e disappunto per l’accordo con il Giappone, soprattutto per la paura di alimentare tensioni e attriti nel Mar Cinese Meridionale, da tempo terreno di dispute, sospetti e ripicche reciproche e che rischia di diventare centro della sfida egemonica globale con gli USA.
In conclusione, la regione dell’Indo-Pacifico è stata definita dal The Economist “the most dangerous place on earth”, in particolare le acque dello stretto di Taiwan, per l’elevato rischio di trasformarsi nel centro del confronto politico e militare tra le due grandi superpotenze mondiali, conflitto che coinvolgerebbe i rispettivi alleati assumendo dimensioni globali.
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