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La Spagna e il coraggio di cambiare: il progressismo giuridico iberico alla guida dell’UE

mmbyLorenzo Caruti
Giugno 16, 2022
in Diritto Internazionale ed Europeo
Reading Time: 9 mins read
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La Spagna e il coraggio di cambiare: il progressismo giuridico iberico alla guida dell’UE

In un panorama europeo ed internazionale di profonda innovazione – con il frequente emergere di pretese giuridiche da parte di minoranze etniche, religiose e sessuali – la Spagna di Pedro Sánchez si propone di modificare il proprio ordinamento giuridico interno, pronta ad intraprendere una decisa direzione progressista. Di particolare importanza è il tema legato alla parità di genere. La mancanza di concretezza da parte delle misure già presenti rappresenta la più grande problematica che il governo di Madrid si propone di risolvere.

Le discussioni a riguardo sono molteplici, così come le proposte di politici, intellettuali e gruppi di interesse, sia a livello interno che internazionale. Al contrario, i Paesi disposti a considerare concretamente un’applicazione rigida di tali misure compongono un numero clamorosamente esiguo. Ecco, dunque, la necessità di un governo che cavalchi l’onda del cambiamento, affrontando le conseguenze – positive e negative – che ne deriveranno. A candidarsi per il ruolo di leader e di ‘apripista’ in questo senso è la sopracitata Spagna di Pedro Sánchez, autrice di alcune prime, interessanti innovazioni giuridiche.

La composizione del governo spagnolo: una coalizione per il progresso

La premessa necessaria per poter comprendere la visione a supporto del cambiamento attualmente in corso in Spagna, consiste nell’avere presente la composizione del Governo Sánchez II, alla guida del Paese iberico dal 13 gennaio 2020. 

L’esecutivo è retto dalla prima coalizione nella storia democratica spagnola post-franchista, composta dai partiti di centrosinistra PSOE, Podemos, PSC, IU e da altre formazioni politiche autonomiste. 

Sánchez, segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo con un passato lavorativo nell’orbita del Parlamento Europeo e delle Nazioni Unite, è il Presidente in carica dal 2018. Durante questo periodo, la sua gestione si è contraddistinta per un chiaro stampo femminista, come testimoniano le quattro vicepresidenti donne attualmente al governo e le misure sostenute dallo stesso premier.

Particolare importanza ha assunto il Ministro per le Pari Opportunità Irene Montero, deputata di Podemos. La psicologa di Madrid è una delle figure di riferimento in relazione alle importanti innovazioni giuridiche proposte e accolte in Spagna, svolgendo un ruolo fondamentale nell’approvazione delle stesse.

Paradossalmente, un Paese che presenta tante novità dal punto di vista del diritto, ha comunque una forma di governo legata al passato, essendo una monarchia costituzionale, dove la corona è affidata al re Filippo VI.

Le novità nel diritto del lavoro: il congedo mestruale e il congedo di paternità

Tra le misure che hanno riscontrato un’importante risonanza mediatica anche all’estero, il congedo mestruale e il congedo di paternità possono vantare un particolare grado di attenzione.

Per quanto riguarda la prima delle novità sopra citate, il governo spagnolo ha lavorato per l’approvazione di un pacchetto di leggi volto a tutelare le lavoratrici. In particolare, le donne soggette ad un ciclo mestruale particolarmente doloroso avranno diritto al c.d. congedo mestruale. Quest’ultimo prevede, nel caso di una precisa sindrome, accertata da certificato medico, la possibilità di ottenere un permesso di astensione dal lavoro – per un lasso di tempo variabile a seconda della gravità della situazione – interamente a spese dello Stato. Il disegno di legge, denominato ‘Legge Organica per la Tutela dei Diritti Sessuali e Riproduttivi e la garanzia dell’Interruzione Volontaria della Gravidanza’, prevede anche altre misure, che spaziano dal finanziamento pubblico di contraccettivi fino ad arrivare ad una garanzia più estesa del diritto all’interruzione di gravidanza. Montero, grande sostenitrice dell’iniziativa, ha dichiarato: ‘È finito il tempo di andare a lavoro imbottite di pillole e dover nascondere che nei giorni del ciclo patiamo un dolore che ci impedisce di lavorare’. Anche il premier spagnolo ha espresso la propria soddisfazione attraverso Twitter, dove ha scritto: ‘Avanziamo in femminismo. Le donne devono poter decidere liberamente sulle loro vite’. 

Per quanto riguarda il percorso legislativo, il pacchetto normativo è già stato approvato dal Consiglio dei Ministri in data 17 maggio e, dopo un secondo passaggio per il Consiglio, sarà pronto per affrontare l’iter parlamentare con procedimento d’urgenza.

Altra misura discussa in Spagna è il già citato congedo di paternità. Rivoluzionario nell’ottica del rapporto di coppia, è strettamente connesso alle richieste del movimento femminista. La misura, infatti, non è utile solo ai padri ma, parallelamente, sostiene l’immagine della donna libera dalle ‘catene’ che le contrastanti dicotomie donna-madre e uomo-lavoratore hanno imposto nei secoli precedenti. Dal 1 gennaio 2021, dunque, i neopapà spagnoli possono usufruire di un periodo di congedo lungo 16 settimane – 4 in più rispetto alla misura precedente e pari a quello previsto per le madri. Entrambi i genitori possono trascorrere il primo mese e mezza di vita del neonato insieme, per poi decidere volontariamente se sfruttare o meno le successive settimane concesse. È chiaro che tale possibilità incide positivamente nell’abbattimento dello stereotipo che vede la donna come unica responsabile diretta dei figli, pesantemente penalizzata sul lavoro in caso di gravidanza.

La vicepresidente del Congresso spagnolo Carmen Calvo ha in seguito dichiarato che la maternità non può essere ‘un’arma contro lo sviluppo del lavoro e della cittadinanza femminile’.

Il parallelismo con la legislazione degli altri Paesi europei è impietosa, con l’eccezione della Germania – dove ai padri sono concessi fino a 14 mesi di congedo con il 67% del salario – e dei Paesi nordici, quali Norvegia – con la duplice opzione di 46 settimane al 100% dello stipendio o 56 settimane all’80% della paga – e Svezia, che prevede 12 mesi di congedo.

In Francia, invece, da luglio 2021 i neo-papà possono restare a casa, con congedo retribuito, per un massimo di 28 giorni. In Italia la situazione è ancora più negativa: il governo del Belpaese si è limitato ad adottare la direttiva europea approvata nell’aprile 2019, la quale prevede un minimo di 10 giorni per l’astensione lavorativa.

‘Solo sì vuol dire sì’: la nuova legge sul consenso

Il dramma delle violenze sessuali è un argomento quantomai attuale. Nella difficoltà di educare le nuove generazioni, orientandole verso una visione simmetricamente opposta all’oggettificazione della donna, una questione chiave da risolvere è la definizione – attualmente assente – di ‘consenso’ a livello legislativo. Nel Paese iberico, i tribunali decidevano per i casi di stupro in base alla presenza di violenza, resistenza e/o intimidazione. Il vuoto normativo sul consenso portava però a decisioni rischiose e risultati potenzialmente disastrosi. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il drammatico caso che vide coinvolti 5 giovani – ribattezzati ‘banda della manada’ – nel 2016. In quel caso, i ragazzi – di età compresa tra 24 e 27 anni – violentarono una donna durante la festa di San Firmino e riuscirono clamorosamente ad evitare la condanna a 22 anni di detenzione per stupro a causa delle lacune nella codificazione spagnola. Ottennero una condanna di 9 anni per abuso sessuale continuato poiché la donna, messa alle strette e tenuta contro un muro ‘non oppose resistenza alla loro condotta’ secondo i giudici, urlando e restando immobile.

La risposta del governo a tale problema è stata ‘Solo sì vuole dire sì’, una legge che qualifica come stupro qualsiasi atto sessuale in cui una delle persone coinvolte non abbia dato il consenso. La norma è stata accolta positivamente dal Congresso e passerà ora al Senato, forte dei 201 voti favorevoli raccolti. È comunque presente una quota relativamente alta di contrari: sono 140 i voti negativi, raccolti dal centrodestra di Vox e Partido Popular.

 Alla guida della rivoluzione giuridica europea

La parola d’ordine del periodo storico attuale è ‘inclusione’, ma tra normatività ed efficacia di una legge volta a favorire l’integrazione e il cambiamento – qualora quest’ultima venga approvata e codificata all’interno del sistema giuridico di un Paese o di un’organizzazione internazionale, esiste un abisso. Difatti, se i diritti vengono spesso positivizzati in seguito all’intercettazione da parte della classe politica delle richieste e pretese della società, è raro che si possa riscontrare già dal principio una posizione unanime da parte dell’opinione pubblica. Al contrario, per ottenere l’approvazione della quasi totalità delle persone occorre agire nella sfera culturale popolare. Cambiamenti radicali e rivoluzionari come quelli proposti e inseguiti con la parità di genere, sebbene siano conseguenti a lunghi e complessi processi storici, trovano tutt’ora la dura opposizione di generazioni cresciute in un mondo che è cambiato molto più rapidamente rispetto alle loro capacità di adattamento. Di conseguenza, i rappresentanti politici di tale fascia di popolazione rispecchiano la diffidenza verso molte forme di quel progressismo che non è solo auspicabile, ma è ormai necessario. Per questo motivo, in un momento critico per il futuro occorre avere il coraggio di incanalare il cambiamento e di essere d’esempio per chi ancora non si è deciso a fare passi avanti, preferendo una situazione stagnante apparentemente neutrale. La Spagna si sta dimostrando sempre più convinta nel ritagliarsi un ruolo da leader in questo senso, abbracciando una visione del mondo fortemente attuale e inclusiva. Il Paese iberico, nel corso degli ultimi anni, si è posto alla guida dell’Unione Europea, nella speranza che gli Stati giuridicamente più arretrati ne traggano spunto, convinti dai notevoli risultati e dalla crescente approvazione riscossa dall’aggiornamento legislativo spagnolo.

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Tags: consensoparità di generePedro Sanchezspagna
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