Lo scorso 17 maggio, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha annunciato una prima significativa riduzione delle sanzioni applicate nei confronti del Venezuela nel 2018. L’annuncio è arrivato poche ore dopo l’analoga decisione adottata nei confronti del Governo cubano. La mossa ribadisce il cambio di strategia intrapreso da alcuni mesi dalla Casa Bianca nei confronti dei due paesi, nonostante l’esclusione dal Summit delle Americhe del 6-10 giugno. Il primo segnale di riavvicinamento tra Washington e Caracas è arrivato lo scorso marzo, quando, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, una delegazione statunitense si era recata nella capitale venezuelana per riallacciare il dialogo con Maduro.

Secondo gli osservatori, si era parlato di un alleggerimento delle sanzioni, poi smentito da Washington. In seguito, Juan Gonzalez, consigliere della Casa Bianca per l’America Latina, aveva aperto a questa ipotesi a condizione di un impegno concreto verso libere elezioni. Appello prontamente accolto dalle parti che, poche ore dopo l’annuncio di Biden, sono tornate a sedersi nuovamente intorno ad un tavolo. Incontro suggellato da una foto diffusa su Twitter che ritrae il presidente dell’Assemblea Nazionale, Jorge Rodríguez, e il presidente della Piattaforma Unitaria, Gerardo Blyde, stringersi la mano.
La decisione della Casa Bianca permetterà alla Chevron, unica compagnia petrolifera statunitense operante in Venezuela, di rinegoziare la propria licenza con la compagnia statale venezuelana PDVSA. L’intesa consentirà di continuare le attività di estrazione e raffinazione del petrolio in un Paese che ha visto crollare vertiginosamente la produzione giornaliera di greggio a causa della mancata manutenzione degli impianti e dell’assenza di operatori internazionali. Basti pensare che la produzione giornaliera di greggio è passata da 3 milioni e mezzo di barili nel 1998, a circa 668 mila. Il Governo statunitense ha fatto sapere che la decisione è stata adottata in coordinamento con Juan Guaidó, che si era autoproclamato presidente del Venezuela nel 2019 e ad oggi è l’unica autorità riconosciuta dagli Stati Uniti. L’ulteriore allentamento delle sanzioni sarà condizionato al concreto impegno del governo e dell’opposizione di portare il Paese verso elezioni democratiche. La riduzione delle sanzioni riguarda, inoltre, la revoca delle restrizioni anche nei confronti di Carlos Erik Malpica Flores, nipote della first-lady venezuelana ed ex dirigente di PDVSA.

La mossa statunitense ha anticipato di poche ore la ripresa dei colloqui, interrotti lo scorso ottobre, tra i rappresentanti del governo Maduro e la Piattaforma Unitaria, il nuovo raggruppamento composto dai partiti d’opposizione. Nell’agosto del 2021, infatti, attraverso la mediazione del governo norvegese, le parti si erano impegnate a portare avanti un dialogo costruttivo che portasse a libere elezioni. Tuttavia, in seguito all’arresto ed estradizione negli Stati Uniti di Alex Saab, uomo d’affari legato a Maduro, il leader venezuelano aveva interrotto bruscamente i colloqui. Da allora, Maduro aveva condizionato la ripresa del dialogo al rilascio di Saab, anche per il timore di un possibile accordo di collaborazione tra lo stesso e le autorità statunitensi.
Dietro la decisione statunitense si celano anche motivazioni di carattere strategico. La guerra in Ucraina, infatti, agita il mercato dell’energia determinando un aumento dei prezzi, con effetti negativi sugli alleati europei e non solo. Stimolare la produzione venezuelana di greggio consente di attingere a fonti di approvvigionamento diverse e ridurre la dipendenza dalla Russia. Attraverso l’italiana Eni e la spagnola Repsol, Biden intende far affluire maggiori quantità di petrolio verso l’Europa in questa fase delicata. Dal canto suo, Maduro spera che questo primo passo possa aprire la strada alla revoca totale delle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump e definite a più riprese “illegali”. Sebbene la liberazione di Saab resti ancora una priorità, Maduro ha interesse a riabilitare l’immagine del regime agli occhi della comunità internazionale e dare ossigeno all’economia del paese. Per riportare la produzione di greggio a livelli accettabili il contributo tecnologico delle compagnie straniere appare indispensabile. La necessità di fronteggiare tale congiuntura potrebbe aprire una nuova stagione tra Stati Uniti e Venezuela dopo anni della strategia di “massima pressione” dell’ex-presidente Trump.