Lo scorso 12 aprile, il neoeletto governatore della Banca Centrale dello Sri Lanka, Dr. Nandalal Weerasinghe, ha annunciato la decisione del governo di sospendere il pagamento del debito estero. In seguito a questa decisione, il Paese ha rinunciato a ripagare circa 78 milioni di dollari in interessi previsti per il 18 aprile su titoli di Stato in scadenza nel 2023 e nel 2028. Dopo trenta giorni di “grazia” concessi per far fronte agli obblighi presi, lo stesso governatore, insieme alle agenzie di rating Standard&Poor’s e Fitch, ha dichiarato il default dello Sri Lanka. Nelle sue parole, infatti, lo Sri Lanka, “non sarà in grado di pagare” il proprio debito senza un accordo di ristrutturazione. L’evento rappresenta il primo caso di fallimento di uno Stato sovrano nell’area dell’Asia-Pacifico in questo secolo. L’ultimo precedente risale infatti al 1999 quando questa sorte toccò al Pakistan. La crisi pandemica e la guerra in Ucraina hanno contribuito a generare uno squilibrio tale nelle casse dello Stato da doverne dichiarare il fallimento. Tuttavia, le cause di questa crisi hanno origini ben più lontane.
Le cause della crisi: deficit strutturali e crisi globali

Il default di uno Stato consiste nell’impossibilità del governo di ripagare i propri debiti. Le cause possono essere differenti ma non si tratta mai di un evento improvviso. Il fallimento di un sistema complesso come quello statale deriva quasi sempre dall’intreccio di dinamiche internazionali e interne già presenti che generano una grave crisi di sostenibilità delle finanze del Paese. Il caso dello Sri Lanka non è differente. L’attuale crisi economica ha origine da una serie di politiche economiche attuate dal governo di Colombo dal 2009, anno della fine della guerra civile, che hanno generato forti squilibri nelle casse dello Stato. La guerra in Ucraina e la pandemia rappresentano gli eventi contingenti che hanno semplicemente fatto crollare il già fragile sistema finanziario srilankese.
Data la necessità di ricostruire il Paese segnato dai conflitti interni, il governo decise di adottare politiche economiche incentrate sulla costruzione di nuove infrastrutture e sul miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Queste politiche hanno però generato due problemi significativi nell’economia srilankese. Da una parte, Colombo si è fortemente indebitata con Paesi e investitori stranieri per finanziare opere infrastrutturali rivelatesi poco redditizie che non hanno permesso di ripagare le spese sostenute. Dall’altra, per far fronte alle necessità materiali dei propri cittadini, Colombo ha perseguito per anni una politica commerciale basata sull’importazione massiccia di beni e risorse, soprattutto dai paesi vicini come India e Cina, senza riuscire a sviluppare una base produttiva tale da incrementare le esportazioni. Si è formato così un enorme deficit strutturale nella bilancia commerciale che, oltre a portare ad una progressiva svalutazione della rupia srilankese, ha ridotto sensibilmente le riserve di valuta estera.
La politica di riduzione delle tasse promossa dall’attuale presidente Gotabaya Rajapaksaad nel 2019 ha poi contribuito a ridurre le entrate fiscali aumentando ulteriormente il livello del debito pubblico. A questo si aggiungono alcuni fattori più tecnici che hanno accelerato la crisi. A seguito della continua rivalutazione del suo rating, lo Sri Lanka ha deciso di inserire all’interno degli accordi di vendita dei titoli di Stato le cosiddette “cross-default clauses” al fine di trovare finanziamenti e investitori nei mercati. Queste clausole prevedono che, in caso in cui il debitore non sia in grado di adempiere ad un’obbligazione, le altre obbligazioni vengano anch’esse considerate in default in modo che ogni creditore abbia gli stessi diritti sugli assets del debitore.
La situazione è stata aggravata dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina che ha causato l’aumento del costo dell’energia e del cibo (soprattutto legato all’aumento del prezzo del grano). Le massicce importazioni e il basso rendimento degli investimenti hanno portato lo Sri Lanka a non detenere sufficienti riserve di moneta estera per far fronte all’aumento dei costi del carburante e delle materie prime che regolarmente venivano acquistate da altri Paesi. Insieme a questo, la decisione della Federal Reserve di aumentare i tassi d’interesse a seguito dell’elevata inflazione negli Stati Uniti ha reso ancora più oneroso finanziarsi in dollari americani. Incapace di far fronte alle importazioni di risorse e beni di primaria necessità, il governo srilankese ha bloccato i flussi in uscita di moneta estera per il pagamento dei debiti.
Possibili scenari: le difficoltà della ricostruzione
Per far fronte alle spese immediate, alcuni Paesi e la Banca Mondiale hanno fornito ulteriori prestiti per sostenere le importazioni dei beni di prima necessità. Tuttavia, ora si tratta di definire la linea da seguire per ricostruire l’economia del Paese. Considerando la poca credibilità che lo Sri Lanka ha sui mercati internazionali, insieme all’inflazione galoppante che fluttua tra il 30% e il 40%, reperire nuovi capitali autonomamente sembra un’impresa molto complessa. Lo Sri Lanka ha quindi cominciato i colloqui con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per discutere la ristrutturazione del proprio debito e per definire le politiche da attuare per ristabilire la stabilità economica, dichiarando che occorrono tra i 3 e i 4 miliardi di dollari quest’anno per uscire dalla crisi.
Inoltre, due grandi incognite possono complicare l’intero scenario. La prima sono le politiche che il governo srilankese dovrà adottare nel caso in cui decidesse di aderire ad un piano di sostegno del FMI. Solitamente i prestiti del FMI sono vincolati al rispetto di alcune condizionalità che riguardano le politiche economiche da seguire. Questo tipo di politiche però non sempre si sono rivelate efficaci e hanno nel tempo subìto varie critiche. La seconda questione riguarda l’effettiva disponibilità dei creditori a rinegoziare il debito.

La Cina, per esempio, detiene la percentuale più alta del debito srilankese (13%) e ha dichiarato di essere disponibile a cooperare per aiutare il Paese ma senza accennare di volere ridiscutere la propria posizione sui crediti, considerando anche il ruolo dello Sri Lanka nella sostenibilità della Belt and Road Initiative. Come mostra il grafico però, insieme a Pechino, altri Paesi, come il Giappone (10%), detengono una buona parte del debito srilankese. Considerando anche le loro recenti relazioni, arrivare ad un compromesso potrebbe risultare molto complesso.
Gli effetti dei vari squilibri internazionali stanno ricadendo in maniera decisiva non solo sulle economie dei Paesi più ricchi ma anche, e soprattutto, sulle finanze dei Paesi più poveri. Lo Sri Lanka segue in ordine cronologico altri casi di default , come il Libano, il Belize, lo Zambia e l’Argentina. Shock globali come quelli recenti, seguiti dall’insostenibilità del debito di alcuni Stati, non solo favoriscono il verificarsi di casi di fallimento, ma rendono anche più complesso trovare le condizioni per ricostruire le loro economie. Per il governo di Colombo, quindi, la fase più delicata comincia ora.
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