Il 17 Maggio a Tripoli, Fathi Bashagha ha tentato di assumere il potere spodestando l’amministrazione rivale, guidata da Abdul Hamid Dbeibah, premier ad interim del Governo di unità nazionale, incaricato dalle Nazioni Unite di condurre la Libia ad elezioni. I gruppi armati al seguito di Bashagha, eletto Primo ministro dal Parlamento di Tobruk lo scorso febbraio, hanno tentato un colpo di mano che è fallito nell’arco di poche ore, a causa delle milizie fedeli a Dbeibah. Le strade di Tripoli sono state il teatro di combattimenti violenti, con armi pesanti e raffiche di fucili automatici. Il bilancio è di un morto e di un ferito grave. Bashagha non gode dell’appoggio della comunità internazionale, la quale ritiene il premier Dbeibah capace di traghettare il Paese verso un governo democraticamente eletto. Tuttavia, Bashagha non intende farsi da parte.

L’attacco alle istituzioni libiche non è stato qualcosa di inaspettato; si inserisce, anzi, in un contesto di preoccupante instabilità politica, causata dalla difficoltà di adottare una legge elettorale che sia condivisa da entrambe le fazioni. Solo lo scorso ottobre, infatti, un forte dibattito si è acceso in merito alla nuova legge elettorale, in aggiunta al voto di sfiducia del Parlamento contro il Primo ministro Dbeibah. Il tentato golpe è stato, quindi, una manifestazione della frattura politica, causata dal mancato riconoscimento del Governo di Tripoli da parte della fazione facente capo a Bashagha e stanziata a Tobruk. Infatti, l’impossibilità di garantire una libera consultazione elettorale alla fine del 2021 ha fatto sì che l’elezione a capo del Governo di Dbeibah sia stata sostenuta soltanto dall’est del Paese. La parte occidentale, invece, continua a negare la legittimità del governo. In Libia, la mancanza di unità politica genera continua instabilità ed impedisce un dialogo costruttivo tra i due organi legislativi: il Parlamento a Tobruk e l’Alto Consiglio a Tripoli.
Tra le ragioni del mancato accordo tra le due fazioni politiche, pesano sia la diffusa frode di identità nazionale, tramite la quale avviene l’assunzione dell’identità digitale di un altro soggetto, sia il differente peso che Tripolitania, Cirenaica e Fezzan avrebbero, per motivi demografici, sul processo elettorale. La Camera dei rappresentanti libica si oppone al voto popolare perché ne risulterebbe un vantaggio decisivo per la Tripolitania, regione in cui si concentra il maggior numero dei seguaci della fazione politica opposta. Molti sono stati inoltre gli ID nazionali falsificati. Ciò ha permesso, infatti, ai mercenari di entrambe le fazioni di nascondersi tra la popolazione, rendendo le possibili future elezioni manipolabili.
Un percorso tortuoso, dunque, quello verso l’approvazione del disegno di legge costituzionale adottato dall’Assemblea Costituente libica nel 2017, ovvero quell’insieme di disposizioni normative, proposto dal Parlamento di Tobruk, ma fortemente criticato dalla fazione avversaria per il modo in cui definisce i criteri di ammissione delle candidature. Tuttavia, la debolezza mostrata da Bashagha potrebbe giocare a favore della posizione avversaria cioè quella dell’Alto Consiglio.
La situazione è seguita con preoccupazione a livello internazionale, come testimoniato dalla continua attenzione con cui le Nazioni Unite osservano gli ultimi sviluppi invitando alla costruzione di un dialogo pacifico che rifiuti la violenza, come mezzo di soluzione delle tensioni politiche interne. In particolare, Stephanie Turco Williams, rappresentante speciale ad interim e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia nell’anno 2020-2021, ha ribadito durante un incontro con il premier Dbeibah tenutosi quattro mesi fa, l’impegno dell’ONU ad accompagnare le forze del Paese verso stabili elezioni.

Tuttavia i tentativi di dialogo sono stati finora infruttuosi. Ad esempio, i colloqui tenutisi al Cairo nell’ottobre del 2020 tra la delegazione della Camera dei Rappresentanti (HoR) e quella dell’Alto Consiglio di Stato (HCS) – promossi dalle Nazioni Unite ed importanti per i loro effetti nel lungo periodo in quanto hanno incancrenito lo stallo politico – non hanno fatto che portare le parti ad utilizzare il petrolio come un’arma per rivendicare i propri obiettivi politici. Il blocco degli impianti è stato deciso dalla coalizione del generale Haftar e riflette il conflitto sottostante tra il governo libico di Tripoli e la National Oil Corporation (NOC). A risentire della chiusura degli impianti petroliferi, a partire da metà aprile, sono le famiglie libiche severamente colpite dal boom dei prezzi del petrolio e del gas.
Politica ed economia si intrecciano. Washington è in allerta e dichiara di voler continuare a lavorare per la stabilità politica del paese e per contrastare il pericolo di una crisi energetica generata dall’uso improprio del petrolio da parte della NOC in Libia, oltre che ovviamente dalla guerra di Putin in Ucraina. Anche se il colpo di Bashagha è stato represso senza spargimenti di sangue, la strada verso la sicurezza è ancora lunga e richiede non solo la cooperazione tra gli attori politici interni, ma anche un immediato intervento di mediazione da parte delle Nazioni Unite sul quale la popolazione libica ripone le sue speranze.