A più di un anno di elezioni rinviate, violenze e instabilità, il 15 maggio è stato eletto presidente della Somalia Hassan Shieikh Mohamud, già Capo di Stato tra il 2012 ed il 2017. Le elezioni erano state previste per febbraio 2021, allo scadere del mandato del presidente uscente Mohamed Abdullahi Mohamed, ma sono state più volte rinviate a causa di ostacoli politici e un sistema in cui sicurezza e democrazia stentano ad affermarsi pienamente. Le votazioni sono state affidate ai membri del Parlamento, che hanno eletto il nuovo presidente a maggioranza di 214 su 327 voti disponibili.
L’ultima volta che il popolo è stato chiamato a scegliere il Presidente della Repubblica correva l’anno 1969. Da allora, le rivendicazioni dei clan che compongono la popolazione, i frequenti disordini e la forte instabilità hanno impedito alla Somalia di garantire lo svolgimento di libere elezioni. Lo stesso sistema elettorale, su base indiretta, è stato in passato argomento centrale del dibattito politico, ma resta ancora oggi ancorato al modello dei clan, i principali gruppi etnici in cui è suddivisa la società somala. I parlamentari che eleggono il Presidente sono infatti nominati da delegati a loro volta eletti dai rappresentanti dei clan. Un sistema che difficilmente riesce a dare voce alle istanze di tutta la popolazione che dovrebbe rappresentare. Guardando alle questioni di sicurezza e alle divisioni sociali interne del Paese, le recenti elezioni sono la fotografia perfetta della generale stagnazione politica della Somalia e dei rischi futuri che continuano a minarne la stabilità.

Dal 1991, con la caduta del regime del presidente Mohamed Siad Barre, il Paese è stato sconvolto da una guerra civile e da un’instabilità cronica da cui non si è mai risollevato. Ad aumentare l’insicurezza, si sono aggiunti dalla prima metà degli anni 2000 gli attacchi terroristici del gruppo Al-Shabaab, gruppo jihadista affiliato ad Al-Qaeda, in espansione dal sud nel Paese e nell’intera regione. Gli attacchi in Somalia si sono intensificati negli ultimi mesi, a ridosso delle elezioni, colpendo soprattutto la zona di Mogadiscio e dintorni. Per gli stessi motivi, le elezioni presidenziali si sono tenute presso un hangar dell’aeroporto e il coprifuoco è stato imposto a Mogadiscio nei giorni stessi delle elezioni per garantirne il regolare svolgimento e difendere gli elettori da eventuali attacchi delle milizie di Al-Shabaab.
Tutti questi fattori hanno di gran lunga rallentato la democratizzazione del Paese e fatto emergere una serie di questioni concatenate tra loro, che minano la stabilità della Nazione in termini di sicurezza, sviluppo economico e sociale. Il contesto sociale risente infatti fortemente dell’instabilità politica, con circa 7.7 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, secondo le stime del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Circa 2,9 milioni di sfollati interni sono vittime di abusi, violenze e elevati rischi di protezione. Quest’ultimi sono aggravati dagli elevati livelli di insicurezza alimentare, e dalla persistente siccità, che investe oggi circa 6,1 milioni di persone.

Della relazione tra il sistema politico e le condizioni di vita della popolazione sono consapevoli diversi attori esterni e internazionali, non indifferenti all’attuale situazione in cui versa il Paese. Primo fra tutti, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), deciso a vincolare l’erogazione dei fondi al regolare svolgimento delle elezioni politiche. Secondo l’FMI, e in generale gli organismi internazionali che sostengono lo sviluppo economico della Somalia, l’instabilità politica è causa di rallentamento nelle riforme e nello sviluppo economico del Paese. Ne derivano avvertimenti e pressioni che difficilmente potranno essere ignorate da una classe politica già instabile ed economicamente dipendente da aiuti internazionali. Anche i rappresentanti delle Nazioni Unite, hanno espresso il loro sostegno nei confronti dei risultati delle elezioni e del neo presidente eletto, in quanto frutto di una transizione democratica in atto. Allo stesso modo, hanno sottolineando la necessità di un impegno profondo e duraturo atto a contrastare le minacce di sicurezza, politiche e sociali del Paese.
La sfida principale resta attualmente quella del gruppo terroristico di Al-Shabaab, il quale incide fortemente sulla sicurezza interna del Paese e su quella dell’intera regione. Pochi giorni dopo le elezioni, il presidente degli Stati Uniti Biden ha annunciato il ritorno delle truppe statunitensi in Somalia a sostegno del Paese contro l’espansione del gruppo terroristico nella regione. Quest’ultime andranno a rafforzare altre operazioni di difesa attualmente presenti in Somalia, comprese le truppe statali e forze di sicurezza internazionali come quelle dell’operazione delle Nazioni Unite ATMIS. La transizione politica appena avvenuta è un segnale positivo per il Paese, ma lascia ancora molti dubbi sulla capacità della classe politica di fare fronte alla profonda crisi in cui si trova, ancora oggi, la Somalia.