Il 2022 si è inaugurato con una distensione dei rapporti fra Bulgaria e Macedonia del Nord in seguito alle elezioni svoltesi nei due Paesi, che hanno visto trionfare rispettivamente Kiril Petkov e Dimitar Kovacevski. I due leader si sono incontrati in gennaio a Skopje per avviare un dialogo e relazioni più amichevoli tra i due Stati. Il meeting si è svolto in un’atmosfera positiva. Entrambi i leader hanno dichiarato di volersi focalizzare su aree dove c’è potenziale fruttuoso per una collaborazione. Nel frattempo si sono create delle commissioni comuni con l’obiettivo di cooperare su alcune aree chiave quali economia e infrastrutture. Ulteriore segno distensivo è stato il ripristino dei collegamenti diretti aerei fra le due capitali.
Ora è arrivato maggio. L’incontro e l’avvio dei comitati comuni sono stati degli importanti passi avanti ma potrebbero essere insufficienti per risolvere la diatriba tra Sofia e Skopje. I rapporti fra i due Stati non sono mai stati del tutto amichevoli; tuttavia nel 2020 si è assistito ad un’intensa esacerbazione dovuta al veto posto dalla Bulgaria sull’intrapresa dei negoziati di adesione della Macedonia del Nord all’Unione Europea. Questo ha provocato un ulteriore slittamento della conferenza intergovernativa per l’avvio ufficiale delle trattative di ingresso, posticipando nuovamente l’integrazione della Macedonia del Nord all’area europea.

L’iter macedone è sempre stato piuttosto complesso e ostacolato da più parti. Sulla scia dell’allargamento dell’UE verso est, il governo fece domanda di ammissione nel 2004. L’anno successivo il Consiglio d’Europa le concesse lo status di Paese candidato. Tuttavia, già dall’inizio, il suo percorso venne ostacolato da alcuni Stati membri. Prima fra tutti la Grecia, con cui l’allora Repubblica di Macedonia aveva un contenzioso per l’uso del nome, coincidente con quello di una storica regione appartenente allo Stato ellenico. Il contrasto si è risolto nel 2018 con l’Accordo di Prespa raggiunto sotto l’egida dell’ONU e ratificato nel 2019, in cui il nome dello Stato macedone veniva ad esser mutato ufficialmente in “Repubblica della Macedonia del Nord”. La denominazione è stata confermata da un referendum non vincolante svoltosi nei mesi successivi all’accordo in cui, seppur con una bassa affluenza di voti, la popolazione ha accettato il cambio del nome e il progetto di ingresso nell’UE e nella NATO.
Successivamente fu il turno della Francia che nel 2019 pose il veto sull’allargamento nell’area balcanica. Secondo l’opinione del Presidente Macron, l’UE aveva bisogno di ripensare e rimodellare il proprio progetto di integrazione orientale. In questo caso, il veto era stato posto principalmente per motivazioni politiche nei confronti dell’Albania, il cui processo di integrazione nell’area europea era legato a doppia mandata con quello macedone. La Francia, scettica verso un ulteriore allargamento già dal 2007, lamentava l’arrivo di migliaia di richiedenti asilo albanesi, liberi di viaggiare per l’area europea. Nonostante le richieste d’asilo all’epoca riguardavano ottomila persone, Macron usò questa scusa per giustificare il proprio veto. L’ostacolo venne poi superato con l’adozione di una nuova metodologia riguardante l’allargamento europeo.
Nel 2020, il premier Bojko Borisov pose il veto bulgaro a causa di questioni storiche bilaterali fra i due Stati. Le motivazioni ufficiali erano due: il rifiuto e il timore che l’uso della denominazione “Macedonia del Nord” potesse dar vita a rivendicazioni su parte del territorio bulgaro, in particolare nella regione della catena montuosa Pirin e la richiesta di riconoscimento delle radici bulgare della lingua macedone. Tutte richieste inaccettabili per Skopje e per l’UE. In realtà, Borisov puntava a recuperare il consenso popolare, crollato in seguito alle manifestazioni di piazza del 2019 nate contro la corruzione endemica e con la crisi sanitario-economica dovuta alla pandemia. Il premier auspicava di riguadagnare la fiducia popolare con il ritorno di una prospettiva nazionalista, nel tentativo di concentrare tutta l’attenzione politico-mediatica sulla disputa storica e identitaria con i vicini macedoni.
Infatti, il nazionalismo bulgaro nei confronti della Macedonia è una vecchia storia. Nacque già agli inizi del Novecento e fu una delle cause dello scoppio della seconda guerra balcanica nel 1913. Fu questa retorica a spingere la Bulgaria ad allearsi con la Germania in entrambe le guerre mondiali e ad occupare il territorio macedone. In seguito Sofia, rivendicò la creazione artificiale della Macedonia da parte della Jugoslavia con la fine della seconda guerra mondiale, contestando così tutti gli eventi storico-nazionali avvenuti precedentemente a quella data.
Nel 2017 si cercò di risolvere le questioni storico-culturali con l’adozione di un accordo di amicizia, buon vicinato e cooperazione. La Bulgaria s’impegnava a non ostacolare il percorso macedone verso l’UE e venne creata una commissione storica ad hoc, composta da storici di entrambi gli Stati, per sciogliere i nodi che ingarbugliavano la memoria comune dei due Paesi. Tuttavia, questo comitato si è unito poche volte e non ha ancora dato luogo ai frutti sperati. A questo riguardo lo storico Petar Todorov sostiene che il lavoro della commissione è ostacolato dall’esistenza di una corrente di pensiero storica, presente in entrambi i Paesi, che si proclama “difenditrice della storia e dell’identità nazionale” e soggioga l’uso della storia, trasformandola in mito, agli interessi di una parte politica. Egli inoltre sottolinea come l’unico modo per superare queste dispute simboliche sia l’adozione di un approccio multi prospettico e scientifico verso lo studio della storia, che oltrepassi queste narrazioni mitizzate nelle istituzioni educative e nell’insegnamento scolastico.
Perciò la memoria storica e il nazionalismo sono di nuovo fondamentali per capire le problematiche nelle relazioni fra due Paesi balcanici e hanno un impatto concreto sul loro presente. Lo stesso Presidente macedone Pendarovski ha dichiarato la propria incapacità nel giustificare alla propria popolazione il ritardo nel processo europeo a causa di dibattiti fra storici come quelli riguardanti la determinazione dell’identità etnica di Goce Delchev, rivoluzionario slavo vissuto nel XIX secolo. Il rischio è che si consolidi ancora di più il sentimento antibulgaro, già presente in Macedonia e che venga accompagnato da uno scetticismo verso la credibilità delle istituzioni europee.
L’incontro di gennaio avvenuto fra Petkov e Kovacevski sembra far sperare il contrario. Tuttavia restano alcune questioni latenti. Il Presidente bulgaro Radev ha dichiarato che la visita di Petkov è stata prematura e che teme che Skopje la interpreti come una concessione nei suoi confronti. Questa reazione è stata condivisa anche dalla Ministra degli esteri Teodora Genchovska. In aprile, ha dichiarato che Sofia continuerà a porre il proprio veto fintanto che la Macedonia del Nord non assicurerà garanzie costituzionali di tutela della minoranza etnica bulgara presente sul proprio territorio. Una garanzia che, tuttavia, la stessa Bulgaria non è disposta a concedere alla minoranza interna macedone che viene accusata di “istanze separazioniste”. Questo continuerà ad alimentare tensioni interne al governo bulgaro diviso fra i partiti che sostengono l’ottimismo di Petkov e quelli che invece definiscono l’apertura alla Macedonia “un tradimento degli interessi della Bulgaria”.

L’Unione Europea negli ultimi anni si è mostrata “balcanizzata nell’europeizzazione dei Balcani”. Questa politica ambivalente è terminata con l’avvio della guerra in Ucraina. Ora Bruxelles spera di cominciare il processo di integrazione il prima possibile, pur di evitare che Putin riesca ad insediarsi nelle zone più instabili dell’area. Le relazioni tese fra Macedonia del Nord e Bulgaria potrebbero però ostacolare questo progetto. La prima fra tutti a rimetterci sarebbe l’Albania, il cui iter scorre parallelo a quello macedone. Il primo ministro albanese Edi Rama ha dichiarato che, nel caso in cui venisse ad esser posto nuovamente un veto contro Skopje, chiederà che il suo procedimento d’ingresso venga separato. Gli sguardi di tutti ora sono verso l’estate, quando con la fine del semestre di presidenza francese l’UE riprenderà i negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord. La speranza è che i nazionalismi e i vecchi rancori non trionfino nuovamente sulla diplomazia.
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