Il settore dell’influencer marketing è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni. Se nel 2021 questo mercato valeva 13,8 miliardi di dollari, l’Influencer Marketing Benchmark Report ha previsto un incremento del 19% nell’anno corrente, con un numero di influencers compreso tra i 3,2 e i 37,8 milioni a livello mondiale.
Gli influencer conoscono i gusti dei propri followers, ai quali possono comunicare in modo più efficace e mirato rispetto alla pubblicità tradizionale, spingendo molte aziende ad affidarsi proprio agli influencer per promuovere i propri prodotti. Nel 2019, ben il 93% dei brand intervistati da Socialpubli, una piattaforma di marketing che agevola il contatto tra aziende e influencer, hanno dichiarato di aver impiegato questa strategia di marketing per incrementare il loro fatturato.
Tuttavia, l’autorevolezza riconosciuta a questa categoria varia da paese a paese. Con il 43% degli intervistati che affermano di aver acquistato un prodotto a seguito di un consiglio ricevuto da una celebrità o un influencer, il Brasile è risultato oggi esserne il paese maggiormente condizionato, seguito da Cina, India e Italia, con rispettivamente un potere del 34%, 33% e 21%.

Tra i marchi più menzionati su Instagram nel 2021 vi sono diverse catene di abbigliamento, tra cui Zara, SHEIN, H&M e Nike nelle prime posizioni. Diverso il caso di YouTube e TikTok: nel primo dominano sia le piattaforme di gioco (STEAM e PlayStation) sia le società e-commerce, mentre nel secondo grandi multinazionali come Netflix, McDonald’s e Starbucks. È il profilo dell’utente medio di ciascuna piattaforma a determinare quale rete sociale sia più adatta alla promozione di una certa azienda. Tenuto conto dei marchi maggiormente citati nel 2021, non stupisce quindi rilevare che il 27% degli utenti di Instagram sia composto da giovani donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni; in controtendenza rispetto a quanto avviene su YouTube, il cui pubblico è per il 21% composto da giovani uomini della stessa età. Tuttavia, secondo l’89% dei brand intervistati dal Dipartimento di Ricerca Statistica di un’azienda privata, Instagram rimane la migliore app per l’influencer marketing, generando guadagni 113 volte maggiori a TikTok.
Una volta selezionati il canale e l’influencer più adatti alla promozione dei propri prodotti, il brand decide il tipo di contratto che intende stipulare tra tre possibili alternative . La sponsorizzazione è forse la più conosciuta e consiste nella promozione di un prodotto o servizio in cambio di denaro, unico aspetto che la differenzia dallo scambio di merce, per cui l’influencer usufruisce gratuitamente del prodotto o del servizio in cambio della sua promozione. Da ultimo, il marketing di affiliazione è probabilmente la forma di business più complessa. Quest’ultima prevede l’assegnazione di un codice sconto all’influencer che, in base al numero di acquisti che verranno effettuati tramite quest’ultimo, determinerà l’ammontare del suo compenso.
Le aziende non sono tuttavia gli unici soggetti interessati ad una collaborazione con gli influencers. Anche le piattaforme digitali possono trarne vantaggio, offrendo all’influencer varie opportunità. Da pochi anni, alcune piattaforme consentono infatti ai creatori di poter creare una serie di contenuti, cosiddetti premium, accessibili solo per una cerchia ristretta di utenti: gli abbonati. Con questa funzione viene così garantito un considerevole guadagno tanto all’influencer, che ottiene denaro ad ogni iscrizione, quanto al social media che, tramite la sottoscrizione, si assicura un incremento, se non almeno costanza, nel numero di accessi. Questa funzione ha interessato anche Zuckerberg, fondatore di Facebook e CEO di Meta, che ha deciso di avviare una fase di prova circoscritta al mercato statunitense. Gli abbonati ai canali premium vengono così segnalati con un badge accanto al proprio nome, distinguendosi maggiormente tra i partecipanti alle dirette video dei propri beniamini e disponendo di una più grande visibilità nella folla dei commenti.
Altra novità altrettanto rilevante è costituita dalla tokenizzazione, che permette di avvicinare tra loro follower e creatori tramite l’acquisto di alcune valute virtuali: i token. Con essi, il potere del fan accresce notevolmente, potendo ricevere in cambio non soltanto una maggiore evidenziazione dei loro messaggi, ma anche contenuti, beni fisici, merci, diritti di voto per progetti imminenti, fino all’accesso ad eventi del mondo reale.

A dimostrazione dell’utilità dell’influencer marketing, il Report di Klear ha segnalato un guadagno del brand pari a $6,2 per ogni dollaro speso nel 2020, giustificando così l’aumento dei prezzi richiesti per questo tipo di pubblicità. Tra il 2019 ed il 2020 il prezzo per una storia su Instagram, ossia per foto e/o brevi video da inserire nel proprio profilo per una durata massima di 24 ore, è aumentato in media del 23%, corrispondenti ad un costo per post pari a $1.118 nel caso di mega influencers e ad un ammontare compreso tra i $165 e i $1.804 per i macro influencers. Esistono poi fattori, quali la localizzazione geografica ed il gender, che incidono sul valore della pubblicazione, aumentando o diminuendone il costo. Gli influencers inglesi si sono rivelati essere i più costosi, con un compenso medio per collaborazione su Instagram pari a $507, oltre il doppio degli italiani. Gli uomini poi guadagnano in media più delle donne, creando una differenza di compenso che sfiora il 27% all’interno di un settore in cui l’84% dei professionisti è di genere femminile.
Sebbene i dati fin qui riportati facciano pensare che il mercato degli influencers sia in piena espansione, il Wall Street Journal si è tuttavia mostrato dubbioso circa l’utilità di questa forma promozionale, sottolineando che non esistono “modi per misurare le vendite conseguenti, o anche solo per verificare quante persone vedono effettivamente i contenuti sponsorizzati”. Secondo il giornale, sarebbero due i problemi principali della pubblicità attraverso influencers: la scarsa attendibilità del numero di follower su Instagram, vista la semplicità di alcune tecniche utilizzate in particolar modo dai micro influencers per ampliare le proprie comunità e la sempre maggiore diffidenza degli utenti nei confronti degli influencers e di certi loro contenuti.
Se quindi da un lato il mestiere dell’influencer sembra essere di vitale importanza per alcune imprese, spingendo persino le istituzioni a muoversi in fretta al fine di migliorarne la regolamentazione, dall’altro c’è chi già inizia a dubitare della sua reale utilità, invocandone il progressivo abbandono. Un quesito a cui solamente il tempo potrà rispondere.
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