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Ungheria nel mirino dell’UE: la possibilità del blocco dei fondi europei

Jasmina SaricbyJasmina Saric
Maggio 9, 2022
in Europa Occidentale
Reading Time: 7min read
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Ungheria nel mirino dell’UE: la possibilità del blocco dei fondi europei

Dopo il successo alle elezioni del 3 aprile scorso, il rieletto premier Viktor Orbán si trova ad affrontare le conseguenze del suo governo anti-liberale che prosegue dal 2011. Il 27 aprile scorso, la Commissione europea ha avviato il meccanismo di condizionalità per sospendere i fondi dell’Unione diretti al Paese, a fronte delle ripetute violazioni dello Stato di diritto. L’annuncio dell’avvio della procedura è arrivato dal Vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, il quale ha anche reso noto che il collegio dei commissari europei riunito a Bruxelles ha autorizzato il Commissario per la Programmazione Finanziaria ed il Bilancio, Johannes Hahn, ad inviare una notifica formale a Budapest.

La decisione era attesa da tre settimane, quando la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva anticipato davanti alla plenaria del Parlamento UE la volontà di intraprendere il primo passo della procedura prevista dal Regolamento 2092/2020: l’UE può sospendere i pagamenti erogati dal bilancio pluriennale verso uno Stato membro, qualora esso abbia posto in essere violazioni dello stato di diritto che abbiano rischiato o rischino di avere un impatto negativo sul corretto funzionamento o gestione del bilancio europeo. “Abbiamo valutato le risposte ricevute da Budapest e siamo giunti alla conclusione che è necessario attivare il meccanismo di condizionalità”, ha annunciato la presidente von der Leyen durante il question time. 

Il Regolamento ‘contestato’

La procedura di stop dei fondi europei all’Ungheria non è altro che la prima applicazione della cosiddetta Rule of Law Conditionality Regulation, una novità nel panorama legislativo europeo il cui iter di approvazione ha generato non poche critiche. 

Il Regolamento era stato proposto dalla Commissione nel 2018, con il fine di proteggere il bilancio dell’UE in caso di carenze generalizzate per quanto riguarda lo stato di diritto negli Stati membri. L’urgenza di introdurre un ulteriore norma di protezione è diventata sempre più impellente a seguito del Report sullo stato di diritto del 2020 pubblicato dalla Commissione sulla situazione ungherese e polacca: in particolare, l’ultima riforma della corte amministrativa del 2018 promossa da Orbán e la riforma giudiziaria del 2019 in Polonia esemplificano i reiterati tentativi di influenza politica sui giudici. Allo stesso tempo, lo stallo delle due procedure di infrazione attivate contro il governo di Mateusz Morawiecki dal 2020 ha messo in luce le falle dei meccanismi sanzionatori esistenti nell’Unione Europea.

Il regolamento mira a stabilire un regime di condizionalità per la protezione del bilancio dell’UE, collegandolo ai casi di violazione dei princìpi dello stato di diritto ad opera degli Stati membri che potessero influire “in modo sufficientemente diretto” sul budget europeo. Tra gli aspetti che il regolamento considera nella definizione del concetto di “stato di diritto” vi sono soprattutto l’effettiva indipendenza giudiziaria e il rispetto del principio di separazione dei poteri.

Non sorprende che il Regolamento sia stato contestato proprio dai due Stati “imputati”, che, in risposta, hanno minacciato di porre il loro veto all’adozione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e del NextGenerationEU, a meno che la Commissione non avesse fornito ulteriori chiarimenti sui concetti e sui criteri delle sanzioni. Celere è stato il compromesso con Budapest e Varsavia, operato tramite la presidenza tedesca al Consiglio europeo del 10 dicembre 2020, aspramente criticata per il suo atteggiamento accomodante verso i due Paesi. Secondo l’accordo, la Commissione non avrebbe potuto attivare la procedura ai sensi del regolamento senza prima aver definito delle specifiche linee guida, le quali, a loro volta, nel caso di un ricorso di annullamento nei confronti del regolamento, avrebbero dovuto essere messe a punto solo dopo la sentenza della Corte di giustizia.

Il ricorso da parte dei due Paesi non si è fatto attendere. Infatti, subito dopo l’adozione ufficiale del Regolamento il 16 dicembre 2020, Ungheria e Polonia hanno chiesto alla Corte dell’UE di annullare il Regolamento: secondo le accuse,  il meccanismo mancava di una base giuridica adeguata nei Trattati, era incompatibile con la procedura d’infrazione prevista dall’articolo 7 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e violava il principio della certezza del diritto. Oltre a rigettare le mozioni avanzate dai due governi come infondate, il 16 febbraio scorso la Corte ha ribadito come l’osservanza dei valori alla base dell’UE sia centrale per tutti gli Stati membri e come questo garantisca il rapporto di solidarietà e rispetto reciproco, nonché  il corretto funzionamento di tutte le altre policies, tra cui quelle relative al bilancio. 

L’attivazione della procedura 

La sentenza della Corte dell’UE ha permesso dunque alla Commissione europea di stilare le linee guida di applicazione del Regolamento, in base alle quali il meccanismo è stato finalmente attivato. Vera Jourova, la Vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, in un tweet ha giustificato la misura poiché sono state identificate “questioni che potrebbero violare [lo stato di diritto] in Ungheria e influenzare il bilancio dell’UE“. Secondo alcune fonti, alti funzionari UE hanno riportato tra le principali pecche ungheresi i continui fallimenti nell’esecuzione delle riforme nel settore degli appalti pubblici, della revisione dei conti, della trasparenza, della prevenzione delle frodi e della corruzione.

La procedura di sanzione prevista dal Regolamento è di natura amministrativa, e come tale non ha effetti legali né può essere impugnata. I passi successivi alla notifica formale prevedono l’apertura di “ una discussione formale” con l’Ungheria, la quale ha due mesi per rispondere e proporre soluzioni. Sulle sorti dei circa 7,2 miliardi di sovvenzioni destinate a Budapest dal Fondo per la ripresa e la resilienza, Gergely Gulyás, capo di gabinetto dell’Ufficio del Primo Ministro in carica, ha rassicurato che “non c’è questione sulla quale il governo ungherese non voglia trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti”. Aggiunge però che le accuse della Commissione sono allineate agli interessi dell’opposizione ungherese e per nulla conformi alla reale volontà democratica ungherese, la quale ha confermato le posizioni di Orbán. Lo stesso premier rieletto l’ha definita una misura “sleale e volta a favorire la sinistra del Paese”.

Nonostante le critiche politiche, è nell’interesse di entrambe le parti confidare in una soluzione consensuale della procedura. Infatti, in caso di mancato impegno da parte di Budapest, alla fine del processo la Commissione proporrà al Consiglio misure di rimedio da adottare per proteggere il budget comunitario tramite voto a maggioranza qualificata:  questo nuovo metodo di sanzione potrebbe realmente comportare seri danni al bilancio del governo ungherese e, alla luce di ulteriori prove, potrebbe essere applicato in futuro anche alla Polonia. 

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Tags: condizionalitàUngheriaUnione EuropeaViktor Orban
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