A dieci anni dalla storica sentenza pronunciata dalla Corte Internazionale di Giustizia, si riapre il contenzioso tra Germania e Italia in merito alla richiesta di risarcimento dei danni nei confronti delle vittime di crimini di guerra commessi dal Terzo Reich. Come riportato dall’Ansa, Berlino ha infatti avviato un nuovo procedimento contro la Repubblica Italiana davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, per il mancato rispetto della sua immunità giurisdizionale come stato sovrano. La Corte dell’Aia è chiamata a dirimere la spinosa e complessa controversia in merito alla responsabilità per i crimini di guerra compiuti nel corso di operazioni militari all’estero, riallacciandosi ad un percorso giurisprudenziale lungo decenni. Per comprendere al meglio la disputa tra i due stati è necessario fare un passo indietro e ripercorrere le tappe di questa vicenda giuridica, la cui narrazione prende le mosse dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5044 del 2004.
Il nostro excursus, infatti, inizia proprio dal “caso Ferrini”, una delle vicende più rilevanti della giurisprudenza interna, il cui protagonista è Luigi Ferrini, cittadino italiano sopravvissuto alla deportazione in un lager di sterminio tedesco tra il 1944 e il 1945. Al termine del conflitto mondiale egli si rivolse al Tribunale di Firenze per agire contro la Repubblica Federale Tedesca e richiedere la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti per essere stato catturato, deportato e utilizzato presso imprese tedesche in qualità di lavoratore forzato.

Secondo la giurisprudenza formatasi fino a quel momento, il diritto internazionale imponeva a tutti gli Stati di astenersi dall’esercizio della propria giurisdizione nei confronti di altri Stati sovrani. Le nazioni, infatti, in base alla struttura paritaria della comunità internazionale, erano considerate “par in parem”, ossia uguali tra di loro, e per questo “immuni” dalla giurisdizione straniera. Occorre sottolineare, tuttavia, l’esistenza di alcuni limiti al principio, i quali gradualmente limitarono il riconoscimento dell’immunità ai soli atti compiuti dallo Stato nell’esercizio delle funzioni pubbliche (i c.d. atti iure imperii). In prima istanza, sia tribunale di Firenze che la Corte d’appello, respinsero la richiesta di risarcimento del Ferrini, adducendo come motivazione proprio il “difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana” a fronte di un atto (la deportazione) compiuto dai funzionari dello stato tedesco nell’esercizio delle proprie funzioni pubbliche.
Si inizia a delineare dunque il paradosso giuridico all’interno del quale si colloca la narrativa del caso Ferrini: le norme internazionali di diritto consuetudinario fin qui citate, non permettono di attuare distinzione all’interno della categoria degli atti iure imperii; Di fatto dunque, anche i crimini di guerra compiuti dai nazisti, poiché eseguiti nell’esercizio delle funzioni pubbliche, risultano immuni dalla giurisdizione straniera.
Inserendosi all’interno di questa narrativa giuridica, la Corte di Cassazione Italiana si pose una questione di centrale rilevanza: è giusto che tutte le azioni compiute nell’esercizio del potere sovrano siano coperte da immunità? O meglio: possono godere di immunità anche quelle azioni che, seppur compiute nell’esercizio delle funzioni pubbliche, violano le norme consuetudinarie poste a tutela di valori considerati fondamentali e inderogabili? La sentenza della Corte di Cassazione del 2004 è storica proprio perché inaugurò una nuova prassi giurisprudenziale, affermando, per la prima volta in Italia la competenza dei tribunali interni a far valere la propria giurisdizione su uno stato estero: secondo le Sezioni Unite, infatti, il riconoscimento dell’immunità statale non poteva essere compatibile con atti “di tale gravità da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini internazionali, in quanto lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali”
La Corte di Cassazione, dunque, fornì una risposta netta e decisa agli interrogativi sopra posti: la Repubblica Federale di Germania non ha il diritto di essere riconosciuta immune dalla giurisdizione del giudice italiano e, per questo, è condannata al risarcimento dei danni subiti a causa dei crimini nazisti.
A partire dal 2004, furono 250 le persone che presentarono ricorso civile davanti a 24 tribunali italiani. A fronte delle richieste di ingenti risarcimenti, la Germania adì la Corte Internazionale di Giustizia, che, il 3 febbraio del 2012 si pronunciò in una sentenza fortemente dibattuta dalla dottrina, respingendo tutti gli argomenti portati dalla difesa italiana. La Corte dell’Aia, nella sentenza “Germania contro Italia”, in entrambi i gradi di giudizio, negò categoricamente la giurisdizione del giudice italiano, dichiarando l’immunità degli atti iure imperii compiuti dalla Germania, in virtù dei principi di diritto internazionale. Prioritaria per la Corte Internazionale è la distinzione del profilo procedurale con quello sostanziale: l’errore dei tribunali italiani è quello di entrare nel merito della gravità dell’azione, dimenticandosi che le regole sull’immunità trovano applicazione unicamente su un piano procedurale. Dal momento che “la commissione di gravi violazioni non incide sull’immunità riconosciuta allo stato in quanto tale”, l’Italia fu ritenuta responsabile per la violazione della norma internazionale in materia di immunità statale e vincolata all’esecuzione della sentenza.

Molti giuristi hanno criticato la posizione della Corte dell’Aia, esprimendo le proprie paure in relazione al rischio di un diniego di giustizia (si vedano i pareri dei giudici Yusuf e Cançado), ossia al rifiuto di rendere giustizia a vittime di crimini di guerra. Tra queste voci, si è levata anche quella della Corte costituzionale italiana: nel 2014, la Consulta dichiarò l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che “obbligavano il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della CIG anche quando essa gli impone di negare la propria giurisdizione nelle cause di risarcimento dei danni per crimini contro l’umanità”.
Da quel momento, i crimini compiuti dal Terzo Reich non rientrarono più nella categoria degli atti iure imperii, ma furono classificati come delicta imperii: atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens (ossia le forme più gravi di violazione di diritti umani fondamentali), in relazione ai quali non è mai possibile invocare l’immunità degli Stati. La disapplicazione della disposizione del giudice internazionale ha permesso a più di 25 persone di presentare nuove richieste di risarcimento contro lo stato tedesco, provocando la rabbia di Berlino.
Secondo quanto riportato dal Sole24ore, la Germania ha avviato un nuovo procedimento contro l’Italia davanti alla corte internazionale di giustizia, proprio perché “tribunali nazionali italiani hanno preso in considerazione e proceduto a richieste di risarcimento contro la Germania” arrivando a minacciare il sequestro di proprietà tedesche sul territorio italiano al fine di soddisfare tali richieste. Questa, secondo Berlino, è una violazione consapevole del diritto internazionale e del dovere dell’Italia di conformarsi ad una sentenza (quella del 2012) del principale organo giudiziario delle Nazioni Unite.
Il tortuoso percorso giurisprudenziale tracciato, ci permette di comprendere la complessità della tematica affrontata: come in uno scontro epico, ordinamento internazionale e ordinamento interno si ergono su due posizioni inconciliabili. La costituzione italiana si pone a tutela dei diritti dei suoi cittadini, reduci della deportazione tedesca e vittime di crimini di guerra, e riconosce loro la richiesta di risarcimento; la giurisprudenza internazionale, dalla sua, si pone a tutela del principio di sovranità degli stati e richiede l’adempimento della sentenza della CIG, nel rispetto delle norme che regolano la comunità internazionale.La nuova sentenza della Corte dell’Aia potrebbe mitigare il conflitto tra i due ordinamenti, aiutando a superare un cortocircuito giuridico che ha generato un’impasse storico per la dottrina.
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