Da bevanda più popolare e più bevuta della Birmania ad essere scomparsa da ogni negozio, scaffale o bar: è questo il destino della Myanmar Beer. I birmani hanno iniziato a boicottare la cosiddetta ‘‘birra della giunta’’, prodotta da un’azienda giapponese in partnership con una società controllata dai militari al potere. La resistenza del popolo passa anche da un gesto semplice, come non bere una birra. Tutto è iniziato il primo febbraio del 2021 in Birmania, quando Aung San Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia (LND), e i vertici del partito vennero arrestati dal Tatmadaw, l’esercito del Myanmar. Da quel giorno, i militari hanno annunciato il cambio del regime in Birmania, portando il Paese all’interno di una guerra civile che è ancora in corso.
Aung San Suu Kyi è stata per anni attiva nella difesa dei diritti umani in Birmania, aggiudicandosi, tra gli altri premi, anche il Nobel per la pace del 1991. Fondatrice della LND e leader all’opposizione delle dittature militari, Kyi è stata spesso incarcerata – circa 15 anni tra il 1989 ed il 2010, quando fu liberata definitivamente – ma nonostante ciò le furono affidati diversi Ministeri nel 2016 e in aprile dello stesso anno fu nominata Consigliere di Stato. Figura popolarissima in Birmania, è stata però anche criticata a livello internazionale per alcune sue opinabili scelte governative. Aung San Suu Kyi è rimasta in carica fino al colpo militare del febbraio 2021, che ne ha provocato l’arresto e destituzione. Il golpe ha così avviato una stagione di manifestazioni di piazza per reclamare la democrazia perduta. Democrazia che nel novembre 2020 aveva eletto per la seconda volta in cinque anni l’LND.
Da oltre un anno, in Birmania vi è quindi uno scontro: da un lato, la dittatura del Tatmadaw, dall’altro, il Governo di Unità Nazionale (NUG), un governo ombra formato in larga parte da parlamentari dell’LND e da rappresentanti etnici, come il presidente ad interim Duwa Lashi Ladel del Kachin. Nella ‘resistenza’ ai militari si contano numerosi gruppi, diversi per natura e ideologia. Passando dal NUG ai cittadini comuni, dalla maggioranza Bamar ai gruppi etnici minori, arrivando al PDF (People’s Defence Force), connubio tra NUG e società civile. Ovviamente la componente armata non manca e si materializza nel KNPP (Karenni National Progressive Party), nel CNF (Chin National Front), nel KIA (Kachin Independence Army) ed alcune brigate del KNU (Karen National Union).
La Resistenza birmana può quindi contare su un gran numero di entità, ma a fargli da contraltare vi è l’esercito, uno dei meglio equipaggiati dell’Asia, con i suoi oltre 300.000 uomini. Tra repressione, arresti e condanne, i numeri delle vittime riportano la memoria ai tempi della dittatura militare degli anni Sessanta. L’AAPP (Assistance Association for Political Prisoners), Ong con base a Bangkok, registra infatti 1.495 morti e quasi 12.000 prigionieri politici.

Il conflitto ha portato con sé conseguenze brutali, come l’acuirsi dell’aggressività del Tatmadaw. Ad esempio, il sistema sanitario è in forte difficoltà e le ripercussioni peggiori si abbattono sui civili. La povertà incalzante e l’insicurezza alimentare stanno divenendo un problema sempre più presente. Almeno 150.000 bambini hanno abbandonato le loro case secondo Save the Children, mentre per i dati delle Nazioni Unite, oltre 400.000 sono gli sfollati per via dei combattimenti. Per quanto riguarda il settore economico, basti sapere che la Birmana ha perso circa il 30% della sua crescita (World Bank) ed il kyat, la moneta nazionale, è crollata senza più risalire.
Così, mentre l’escalation militare continua ad intensificarsi, la resistenza non lotta solamente sul campo, o nei palazzi politici, ma anche su altri livelli: nei bar, nei negozi, sugli scaffali e nelle case è quasi scomparsa la Myanmar Beer, la celebre ‘bionda’ nazionale. Un tempo questa birra dominava su qualsiasi altra sul mercato birmano. Dopo l’estromissione militare di Aung San Suu Kyi, molti hanno deciso di voltarle le spalle, insieme ad altri prodotti realizzati da compagnie legate alle forze armate, come sapone e caffè.
Così è iniziato il boicottaggio della “birra della giunta”, prodotta dall’azienda giapponese Kirin, in partnership con una società controllata dalla dittatura. Nello specifico, la produzione è in mano alla Myanmar Brewery, azienda gestita appunto da Kirin e dal conglomerato militare Myanma Economic Holdings Limited (MEHL). Secondo dei dati pubblicati dallo stesso colosso giapponese, la birra godeva di una quota di mercato di circa l’80% nel 2018.
Da quando la resistenza birmana ha iniziato questo boicottaggio, i numeri della Myanmar Beer sono crollati. Anche il Covid-19 non ha reso la vita facile alla nota bevanda, e l’utile operativo a fine 2021 è stato di 6,6 miliardi di yen (54 milioni di dollari), dimezzando i 13,8 miliardi del 2020. Se un locale, infatti, continuava a vendere la Birra Myanmar, vi erano molte possibilità di rimanere senza clienti e molti gestori hanno dovuto chiedere al marchio di riprendersi tutte le sedie, tavoli e ombrelloni che portavano l’emblema rosso, verde e oro – colori della bandiera nazionale.
La rabbia e il boicottaggio si sono spinti oltre. L’agenzia francese AFP ha infatti segnalato che agli inizi di marzo alcune bombe sono state fatte esplodere fuori da due bar di Yangon e da un ristorante nella città di Mandalay, che vendevano ancora la birra. Infine, come riportato da Askanews, gruppi di milizie ribelli hanno distrutto interi carichi diretti nelle città e fermato automobilisti che la trasportavano. Con questo scenario e pressioni, la giapponese Kirin ha deciso, e comunicato a febbraio, che si ritirerà “il prima possibile’’ dalla partnership con Myanmar Brewery e lascerà la Birmania. Non si può certo parlare di vittoria della resistenza, ma di successo e schiaffo al regime sì.
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