Nel 2000, il Venezuela era uno dei paesi più ricchi dell’America Latina. Merito delle inesauribili riserve di petrolio e di miniere cariche di oro e coltan. Ventidue anni di corruzione e clientelismo hanno portato il Paese bolivariano al collasso economico. Ciò ha innescato la più grave crisi di rifugiati al mondo, con milioni di venezuelani che hanno lasciato la propria casa alla ricerca di prospettive di vita migliori. Non è solo la mancanza di sicurezza, di cibo ed elettricità ad aver spinto larghe fette della popolazione ad abbandonare il Venezuela, quanto lo stress idrico. Da anni, infatti, buona parte dei venezuelani non hanno accesso all’acqua potabile.
Nonostante il Venezuela figuri tra i primi quindici Stati al mondo per risorse idriche, la cattiva gestione di queste infrastrutture ha determinato interruzioni periodiche delle forniture, in particolare nelle grandi città della fascia caraibica, dove sorge anche la capitale Caracas. La maggior parte delle risorse idriche del paese, infatti, si colloca nel sud-est, dove vive circa il 10% della popolazione. Soltanto il 15% delle risorse, invece, si trova nel nord, che ospita la stragrande maggioranza degli abitanti.

Convivere con la scarsità d’acqua è diventata la norma per milioni di venezuelani. Dal 2019, quasi otto venezuelani su dieci denunciano l’impossibilità di accedere all’acqua potabile o l’interruzione delle forniture. Intere aree del Paese patiscono la cattiva gestione delle infrastrutture idriche e la mancanza di impianti di trattamento delle acque reflue responsabili dell’inquinamento delle falde acquifere. Secondo stime non ufficiali, circa 20 milioni di cittadini hanno perso l’accesso all’acqua, un numero approssimato se si considera che, da tempo, l’amministrazione Maduro non pubblica dati relativi alla disponibilità d’acqua nel paese.
Il collasso del sistema idrico ha ampliato il divario sociale: le classi più agiate, come riporta Reuters, hanno finanziato la costruzione di pozzi privati. Nei barrios di Caracas, la situazione è diventata talmente insostenibile che alcune famiglie hanno scavato a mano dei pozzi d’acqua vicino alla propria abitazione. Tutti gli altri invece sono nelle strade muniti di bottiglie e secchi vuoti per cercare acqua da qualsiasi fonte, potabile o meno. In un paese nel quale molti sopravvivono con un salario di 8$ al mese, acquistare acqua in bottiglia è diventato un lusso.
Come riporta la BBC, gli oppositori di Maduro attribuiscono i cronici guasti delle infrastrutture idriche alla cattiva gestione e alla corruzione dilagante presente nelle istituzioni venezuelane. Dal canto suo, il presidente Maduro ha accusato l’opposizione di essere in combutta con gli Stati Uniti nei sabotaggi alla rete elettrica, creati ad hoc per tentare di rovesciare il suo governo.
L’interruzione dei servizi di base costringe milioni di venezuelani a lottare ogni giorno per la propria sopravvivenza. Negli ultimi due anni, questo problema ha reso più complicato il contrasto alla pandemia: basti pensare che buona parte della popolazione è stata costretta a violare la quarantena per andare a fare scorte d’acqua. Secondo il CSIS, i dati forniti dalla Pan American Health Organization (PAHO) mostrano che le scarse condizioni igienico-sanitarie hanno contribuito a determinare un aumento dei casi di malaria, epatite A, tubercolosi e altre malattie trasmissibili, oltre ad aver inciso sui tassi di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni.

La mancanza d’acqua in Venezuela sta contribuendo a creare una delle peggiori catastrofi umanitarie mondiali. Con il 96% della popolazione sotto la soglia di povertà, non sorprende l’inarrestabile emorragia di persone in fuga dal Paese. Allo stato attuale, si stima che oltre sei milioni abbiano varcato la frontiera in cerca di lavoro. La gran parte di questi, circa cinque milioni, hanno trovato rifugio in altri Paesi della regione, in particolare in Colombia, che ha accolto il 32% dei venezuelani, Perù, Ecuador e Cile. Quasi 500 mila, invece, si sono diretti verso gli Stati Uniti. Con ogni probabilità, l’afflusso di migranti e rifugiati continuerà a crescere, mettendo a dura prova i paesi vicini in un momento difficile per l’economia del Sud America, che si trova a fronteggiare le conseguenze della crisi pandemia.
La fuga dei venezuelani incide anche su altri aspetti, uno tra questi, la carenza di professionisti qualificati nella gestione degli impianti idrici. Senza personale specializzato queste infrastrutture sono destinate a deteriorarsi, peggiorando la situazione di un paese al collasso sotto ogni punto di vista. Lo stato deplorevole nel quale versa il sistema idrico venezuelano fotografa il fallimento di una nazione ricca di risorse, ma incapace di sfruttarle.