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Fuga da Mosca: i colossi del settore energetico voltano le spalle a Putin

Francesca DellasettebyFrancesca Dellasette
Marzo 7, 2022
in Speciale Crisi Ucraina
Reading Time: 6min read
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Fuga da Mosca: i colossi del settore energetico voltano le spalle a Putin

Le major dell’energia mondiale stanno scappando da Mosca. Shell,  la multinazionale britannica dell’oro nero,  ha annunciato che metterà fine alla joint venture con Gazprom, colosso del gas russo.”Siamo scioccati dalla perdita di vite in Ucraina – ha così motivato Ben van Beurden, CEO di Shell – frutto di un atto di aggressione militare privo di senso che minaccia la sicurezza europea“. La decisione ha destato forti preoccupazioni a Mosca dato che, come certifica l’analisi della società di ricerca energetica Rystad Energy, il valore complessivo delle attività di Shell in Russia ammonta a 2,8 miliardi di dollari, pari all’1,5% del suo valore azionario.

Il gigante petrolifero britannico rinuncerà alla propria quota di partecipazione ( 27,5%) nell’impianto Sakhalin-2, situato nell’omonima isola russa e sfruttato per la produzione di gas naturale liquefatto. Ciò porterà anche allo stop di Salym Petroleum Development, una joint venture tra Shell e Gazprom per la ricerca di petrolio nella penisola del Gydan nella Siberia Occidentale. Basti pensare che questi progetti nel solo 2021 hanno generato un gettito nelle casse di Shell di 700 milioni di dollari.

Nonostante il grave impatto economico che genererà nel conto economico della società britannica, i vertici societari sembrano inamovibili. “Siamo convinti di uscire dall’accordo –  ha affermato Van Beurden – non possiamo e non potremo mai stare a guardare”.

Tra le opere che sono state coinvolte nella decisione della Shell vi è anche il Nord Stream 2, un gigantesco gasdotto sottomarino lungo 1230 km che collega Mosca alla Germania. La multinazionale londinese dell’energia ha fatto sapere che porrà fine alla sua partecipazione al progetto, per il quale si era impegnata a finanziare il 10% del costo totale stimato in 9,5 miliardi di euro. La mossa della Shell rafforza la decisione diplomatica assunta dal cancelliere tedesco Olaf Scholz di congelare l’autorizzazione per l’immissione del gas nella rete, ritardando ulteriormente l’entrata in funzione del gasdotto. 

Shell diventa dunque l’ultima grande azienda energetica ad aver abbandonato la Russia: il primo gruppo ad aver preso questa decisione è stato il colosso petrolifero British Petroleum, il maggiore investitore straniero in Russia con interessi quantificabili in 25 miliardi di dollari.  Hanno seguito a ruota altre compagnie dell’energia come Equinor, Eni e Exxon Mobil. 

A seguito di tali provvedimenti, i titoli dei colossi russi quotati all’estero sono crollati drasticamente, portando Gazprom e Rosneft  a registrare una flessione del 78% da inizio dell’anno. Per evitare guai ben peggiori, la borsa di Mosca, per la quinta giornata consecutiva, è rimasta chiusa: “Le nuove sanzioni occidentali – ha chiarito la governatrice Elvira Nabiullina – hanno comportato un notevole aumento del tasso di cambio del rublo e limitato le opportunità per la Russia di utilizzare le sue riserve di oro e valuta estera”.

I big dell’energia tagliano dunque i ponti con Mosca, intensificando un conflitto energetico che assume sempre più rilevanza all’interno della scacchiera diplomatica internazionale.

La Russia, dalla sua parte, ha tutte le carte in regola per poter giocare questa partita, posizionandosi terza nel ranking mondiale dei paesi esportatori di petrolio e seconda in quello di gas naturale. 

Secondo quanto stimato da Rystad Energy l’intensificarsi delle tensioni tra Russia e Ucraina potrebbe mettere a rischio 155 miliardi di metri cubi di gas destinati all’Europa, che rappresentano il 45% delle importazioni di gas del continente.

Notizie delle ultime ore hanno certificato  lo stop del gasdotto Yamal-Europe, canale attraverso cui Gazprom convoglia il 10% delle forniture totali di gas verso l’Europa. Una notizia che ha fatto tremare l’intero continente. Se Putin dovesse chiudere definitivamente i rubinetti all’Occidente, la sicurezza energetica della UE sarebbe messa in grave pericolo.

Proprio per ridurre la dipendenza dell’UE dal gas naturale russo, la Iea (Agenzia Internazionale per l’Energia) ha provveduto alla pubblicazione di un decalogo contenente una serie di azioni che potrebbero portare nel giro di un anno alla diminuzione di un terzo delle importazioni: ad esempio, sostituire le forniture di gas russe con fonti alternative, accelerare i progetti in campo eolico e solare e massimizzare la produzione da fonti nucleari.

Anche l’Italia è al lavoro per limitare i danni del settore energetico: “Circa il 45% del gas che importiamo proviene dalla Russia, in aumento dal 27% di dieci anni fa – ha spiegato il presidente del consiglio Mario Draghi, nella sua informativa alla camera dei Deputati del 25 febbraio – le vicende di questi giorni dimostrano l’imprudenza di non aver diversificato maggiormente le nostre fonti di energia e i nostri fornitori negli ultimi decenni. 


La guerra energetica rientra dunque a pieno titolo tra i fronti aperti del conflitto in Ucraina: la Russia sta giocando una partita cruciale, che non si svolge a campo aperto, ma nei mercati internazionali e i cui effetti potrebbero essere irreversibili. La decisione delle major dell’energia mondiale sembra, però, indicare che il settore energetico è disposto a subire duri contraccolpi pur di mandare un segnale forte e univoco al Cremlino, schierandosi contro l’atto di aggressione militare che minaccia la sicurezza europea.

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Tags: crisi russo-ucrainagasgazpromNord Stream 2shell
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