L’ultimo report della World Meteorological Organization (WMO) è un grido di allarme per il continente africano: gli effetti del cambiamento climatico globale sembrano mostrarsi con più forza qui che nel resto del mondo, aumentando la fragilità di una popolazione già in ginocchio e la vulnerabilità del suo apparato sociale, istituzionale e politico.
Secondo i dati della WMO, l’Africa sta sperimentando un innalzamento delle temperature e del livello dei mari maggiore rispetto alla media globale. La tendenza al riscaldamento di questa regione infatti, per il periodo 1991-2020, risulta superiore rispetto al trentennio precedente; mentre, lungo le coste dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico, l’aumento delle acque è rispettivamente di circa 3,6 mm/anno e 4,1 mm/anno. Tuttavia, questi non sono gli unici dati a preoccupare: un’imminente deglaciazione – ovvero la fusione completa dei ghiacciai del continente – è prevista entro il 2040, comportando un cambiamento irreversibile per il sistema terra. Precipitazioni più intense, accompagnate da inondazioni, si alternano a processi di desertificazione, causando la degradazione dei terreni e impedendo le attività agricole. E, se molti laghi e fiumi hanno raggiunto livelli record, altri, come il Lago Ciad, hanno invece visto ridursi di quasi 17 volte la propria superficie.

In particolare, cinque paesi dell’Africa Subsahariana – Mozambico, Zimbabwe, Malawi, Sud Sudan e Niger – sono tra le 10 nazioni al mondo a riscontrare gli effetti peggiori del cambiamento climatico. Il limite di accesso a reti di sicurezza sociale lascia milioni di persone senza una protezione sociale adeguata per contrastare le minacce derivanti da questi disastri, sottoponendole a una maggiore insicurezza alimentare e a dure conseguenze soprattutto nel lungo periodo.
Sono 1,2 milioni i nuovi sfollati a livello mondiale causati da disastri, la maggior parte dei quali nella regione orientale e nel Corno d’Africa. Secondo il UNDP Human Development Report del 2008, questi disastri possono sfociare in morte e disabilità, improvvisa perdita di reddito, esaurimento delle risorse, perdita di infrastrutture pubbliche (strade, dighe, ospedali, scuole) e crisi macroeconomiche. Un dramma umano a cui occorre fare immediatamente fronte se si considera che secondo le previsioni, entro il 2030, in Africa circa 118 milioni di persone in estrema povertà saranno esposte a siccità, inondazioni e caldo estremo, se non verranno messe in campo risposte adeguate.
Un esempio di emergenza climatica riguarda il Madagascar, in cui si sta verificando la prima carestia da riscaldamento globale. Quattro anni di siccità, direttamente attribuita agli effetti del cambiamento climatico, ne sono responsabili, insieme a inaspettate tempeste di sabbia che hanno sepolto i campi, rendendo impossibile la coltivazione, fonte di sussistenza per circa il 60% della popolazione a sud dell’isola. Secondo il Programma alimentare mondiale (PAM), per 30.000 persone la situazione è quella di una carestia di quinto livello, il più alto possibile, superando soglie di vivibilità, costringendo la popolazione a ricorrere a misure estreme per sfamarsi e determinando conflitti per le risorse e migrazioni.

Si tratta, in realtà, di un problema di equità internazionale, poiché i paesi dell’Africa non hanno contribuito quasi per nulla a questi cambiamenti climatici. La causa principale del riscaldamento, infatti, sono le attività umane, e in particolare le emissioni di gas serra come l’anidride carbonica, perlopiù non attribuibili alla regione sub sahariana: solo il Sudafrica supera l’1% delle emissioni mondiali.
Questo problema, tuttavia, non prende di mira solo il continente africano: tutto il mondo è colpito, sempre più intensivamente e in modo irregolare, da eventi estremi associati al clima, che mettono in discussione la stabilità sociale ed economica delle nazioni. Non è sicuramente un fenomeno recente, ma la rapidità della sua azione negli ultimi decenni non ha precedenti e rischia di sopraffare la capacità di adattamento degli esseri viventi.
Nonostante gli attuali Millenium Development Goals abbiano l’obiettivo di combattere la povertà, non pongono sufficiente attenzione ai fattori che contribuiscono ad aumentarla, tra cui proprio i disastri ambientali. L’Agenda 2063 dell’Unione Africana invece riconosce questa sfida come una delle più urgenti: “Gli investimenti sono necessari nello sviluppo tecnologico di sistemi di allerta precoce e di osservazione metereologica, idrica e climatica” afferma H. E. Josefa Leonel Correia Sacko (commissaria per l’Economia rurale e l’Agricoltura della Commissione dell’Unione Africana).
I costi di adattamento sarebbero sicuramente elevati (stimati circa 30-50 miliardi di dollari, pari al 2-3% del PIL per ogni anno del prossimo decennio), ma i benefici da essi derivanti sarebbero di gran lunga superiori, anche in un’ottica di protezione sociale ed economica.