Il 14 ottobre, la commissione europea ha convocato gli ambasciatori di Polonia, Lituania e Lettonia per discutere della situazione migratoria al confine con la Bielorussia. Negli ultimi mesi infatti, si sono registrati numerosi tentativi di ingresso lungo la frontiera orientale dell’Unione, dove molti migranti rimangono tuttora bloccati, e sulla cui situazione il commissario europeo per gli Affari Interni, Ylva Johansson, ha dichiarato di essere “estremamente preoccupata”. Nella stessa giornata, a Varsavia, il Ministro degli Affari Esteri polacco ha indetto un vertice con Alexander Chesnovsky, incaricato per gli affari esteri bielorusso, con la volontà di discutere l’aggravarsi della crisi migratoria.
All’origine di questa nuova rotta migratoria, ci sarebbe una decisione politica. La Bielorussia di Lukashenko – vacillante per le contestazioni interne e serrata dalle sanzioni UE – è infatti accusata di servirsi dei migranti per esercitare pressioni contro l’Unione Europea. La ragione di questa scelta politica sarebbe quindi da identificare nella risposta alle sanzioni internazionali approvate dall’UE il 21 giugno scorso, dopo il dirottamento da parte di Minsk del volo Ryanair del 23 maggio, che aveva portato all’arresto dell’attivista e giornalista Roman Protasevich (ne avevamo scritto qui).
In risposta a queste sanzioni, dunque, Lukashenko avrebbe deciso di rimuovere l’obbligo di visto per iracheni, afghani e siriani, permettendo loro di entrare liberamente in Bielorussia, ma poi spingendoli verso i confini occidentali e non permettendo loro di fare ritorno verso Minsk. In questo modo, la Bielorussia avrebbe intenzionalmente aumentato la pressione migratoria su Lettonia, Lituania e Polonia.

Nello specifico, pur essendo cominciata qualche mese prima, la vicenda ha iniziato a deteriorarsi dal mese di agosto, dopo che Lituania, Lettonia e Polonia hanno cominciato a rilevare un aumento di migranti provenienti dal confine bielorusso. Soltanto tra agosto e settembre, sono stati riscontrati migliaia di tentativi di attraversamento della frontiera, che hanno indotto i tre Stati a rafforzare i controlli ai confini, dispiegando militari e dichiarando lo stato di emergenza.
Il primo paese a dichiarare l’emergenza è stato la Lituania, che il 2 luglio si è ritrovata con un numero di migranti presenti nel paese di oltre 10 volte superiore rispetto allo stesso periodo nel 2020. Successivamente, la Lettonia si è vista costretta ad adottare misure analoghe, introducendo lo stato di emergenza il 10 agosto. La Polonia ha deciso di fare lo stesso il 2 settembre.
A margine, bisogna anche notare che i rapporti tra Bielorussia e i paesi UE confinanti erano già di per sé problematici. È in Lituania, per esempio, che Svetlana Tikhanouskaya – la sfidante di Lukashenko alle presidenziali del 2020 – ha trovato rifugio, dopo essere fuggita da Minsk. Ed è stata la Polonia, invece, a offrire asilo politico all’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya: il 2 agosto, in gara alle olimpiadi di Tokyo 2020, Tsimanouskaya si era recata all’ambasciata polacca di Tokyo per chiedere asilo politico dopo aver denunciato il tentativo delle autorità bielorusse di rimpatriarla perché aveva espresso forti critiche nei confronti del presidente bielorusso.
Per cercare di trovare una risposta comune alla situazione, i ministri di Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania si sono riuniti il 13 settembre scorso, promuovendo un coordinamento tra i paesi dal punto di vista della sicurezza e della difesa, esprimendo anche le loro preoccupazioni rispetto all’aggravarsi della situazione ai confini orientali. Il Presidente lituano Gitanas Nauseda, in visita a Varsavia ha dichiarato: “la cooperazione tra Lituania e Polonia risale a secoli fa. Siamo alleati naturali per la sicurezza e la difesa. Solo attraverso sforzi congiunti possiamo garantire la sicurezza nella regione”, affermando inoltre che non permetteranno “al regime bielorusso di usare i migranti come arma politica”.
Simili dichiarazioni si sono ascoltate durante la 76esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato che “ Minsk sta tentando di provocare una crisi umanitaria artificiale”. Analogamente, Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri, si è espresso sulla situazione dichiarando: “C’è un uso strumentale dei migranti da parte della Bielorussia, diamo tutto il nostro supporto a Polonia, Lituania e Lettonia.”
Nel corso di una conferenza stampa tenutasi qualche settimana fa Mariusz Kamiński, ministro degli interni polacco, ha dichiarato: “Non stiamo parlando di rifugiati ma di migrazioni di massa. Le persone che attraversano il confine non sono in pericolo in Bielorussia. Sono stati portati dal regime di Lukashenko e vengono usati come armi per ragioni politiche”.

Allo stesso tempo, se molte accuse vengono rivolte contro la Bielorussia e Lukashenko, aumenta anche la preoccupazione verso i comportamenti delle autorità di confine polacche, che starebbero respingendo i migranti verso la Bielorussia, negando assistenza e richieste di asilo. La stessa Unione Europea ha commentato la gestione dei migranti da parte della Polonia, la quale avrebbe deciso, invece di rivolgersi all’agenzia FRONTEX, di affidare i controlli alla guardia di frontiera nazionale, alla polizia e all’esercito, nonché a una nuova recinzione di filo spinato che corre lungo il confine. In particolare, il commissario agli affari interni della commissione europea, Ylva Johansson, ha dichiarato le sue perplessità a Politico: “Penso che potrebbe essere una buona idea invitare Frontex a partecipare al confine polacco-bielorusso anche per dimostrare visibilmente che si tratta di una protezione europea del confine” – ribadendo poi – “ovviamente spetta al governo polacco deciderlo”.
Sui comportamenti delle autorità polacche, in una missiva inviata al commissario agli affari interni Johansson, Fundacja Ocalenie – una ONG che lavora con rifugiati e immigrati in Polonia – ha scritto: “Siamo consapevoli del gioco cinico interpretato da Alexander Lukashenko, ma ci rifiutiamo di accettare che la Polonia – uno stato membro dell’Unione europea da 17 anni – stia usando tattiche altrettanto disumane”.
In effetti, le condizioni dei migranti destano molta preoccupazione. Protagonisti di una doppia crisi umanitaria, si ritrovano ad essere pedine di giochi politici ai quali certo non hanno scelto di partecipare. Diversi migranti, inoltre, sono morti a causa delle condizioni in cui erano costretti a vivere bloccati lungo il confine tra Polonia e Bielorussia. Dopo il ritrovamento dei corpi, il Primo Ministro polacco ha accusato i governi di Bielorussia e Russia di continuare a strumentalizzare i migranti, sostenendo: “Abbiamo a che fare con un’azione di massa organizzata e ben diretta da Minsk e Mosca”
Azione organizzata o meno, varie organizzazioni non governative stanno denunciando gravi violazioni dei diritti umani da parte delle guardie di frontiera di Lituania, Lettonia e Polonia. A tal proposito Johansson, dopo la visita in Polonia, ha dichiarato che “l’aggressione del regime di Lukashenko merita una risposta ferma e unita da parte dell’UE. La Polonia, in quanto forte Stato membro dell’UE, può dimostrare che la capacità di proteggere il confine può essere abbinata alla capacità di rispettare i diritti e gli obblighi fondamentali dell’UE”.
In un comunicato stampa pubblicato a seguito della morte delle quattro persone al confine polacco, OIM e UNHCR hanno ribadito che “i richiedenti asilo, i migranti non dovrebbero mai essere strumentalizzati dagli Stati per fini politici”, specificando che “la responsabilità fondamentale di proteggere le persone vulnerabili dovrebbe essere condivisa tra gli Stati in uno spirito di solidarietà. Il disaccordo politico sulle responsabilità non deve mai portare alla perdita di vite umane, facendo decadere gli obblighi e gli impegni internazionali degli Stati”.
Infine, a destare ulteriore preoccupazione sarebbe la volontà da parte di Polonia, Lettonia e Lituania di fortificare in maniera permanente il proprio confine con la Bielorussia attraverso la costruzione di veri e propri muri. Pare che anche in questo caso nonostante le dichiarazioni rilasciate non vi sia da parte dell’Unione Europea una condanna netta, né per quel che riguarda la costruzione di muri, né per quel che riguarda il trattamento riservato ai migranti.
In breve, la situazione al confine tra Unione Europa e Bielorussia coinvolge diversi interessi e attori statali, ma sembra giocarsi sulla vita dei migranti fermi al confine, strumentalizzati da Lukashenko e bloccati con la forza dai paesi UE confinanti con la Bielorussia. Questa situazione, nella sua complessità, rappresenta una sfida duplice per l’Unione Europea. Da un lato, espone le problematiche del sistema di gestione delle frontiere esterne, tra competenza dell’Unione e quella degli Stati membri. Dall’altro, similmente a quanto accade nel Mediterraneo e in Grecia, nei Balcani, e in particolare in Bosnia ed Erzegovina, le condizioni dei migranti al confine con la Bielorussia espongono le contraddizioni della gestione europea dei flussi migratori, spesso frutto di un compromesso tra una protezione dei confini volta all’efficienza, e il rispetto dei diritti umani più basilari.
Latest posts by Roberta Mancin (see all)
- Bielorussia, Polonia e Unione Europea:tra sanzioni e crisi migratoria - Ottobre 26, 2021
- Russia: tra giornalisti “agenti stranieri” e oppositori “estremisti” - Luglio 5, 2021
- Ucraina: tra conversione del sistema scolastico e abbattimento delle diseguaglianze - Maggio 24, 2021