La Colombia è la più antica democrazia del Sud America. La quarta economia dell’America Latina. Ciò però non ha garantito a tutti i suoi cittadini un futuro prospero. Oltre alle grandi disuguaglianze sociali, basti pensare che l’1% della popolazione detiene il 40% della ricchezza totale, negli ultimi anni vaste aree della Colombia hanno avuto difficoltà di accesso all’acqua potabile. Un fenomeno singolare dato che la Colombia dispone di numerosi bacini idrici ed è il sesto Paese al mondo per ettolitri di acqua dolce disponibili. Questi dati si scontrano con ciò che fotografa l’organizzazione WaterAid, secondo cui 1,2 milioni di cittadini colombiani non hanno accesso all’acqua potabile. Nel 2018 vi erano state 391 città che durante la stagione secca avevano attraversato un grande periodo di siccità. Nello stesso periodo era stato calcolato che più di due milioni di case erano sprovviste di impianti di depurazione dell’acqua. Possedere un simile impianto è fondamentale per evitare di bere acqua contaminata: secondo l’indagine DANE sulla qualità della vita del 2019 (anno non toccato dal Covid) i fiumi e i bacini di varie aree della Colombia presentavano alte percentuali di mercurio.

L’inquinamento delle falde acquifere colombiane è riconducibile alle attività industriali svolte da compagnie locali o dalle multinazionali che non rispettano le normative ambientali. Un esempio è il business dell’estrazione mineraria e petrolifera, un settore che in Sudamerica è in parte controllato dai gruppi guerriglieri e dalle mafie del narcotraffico. In queste zone, il problema della siccità è più presente che altrove, come nel pueblo minero di Puerto Wilches, una città che pur trovandosi sulle rive del fiume Magdalena, nel marzo di quest’anno ha registrato 30.000 abitanti senza accesso all’acqua pulita. Ciò si verifica poiché l’acqua svolge una funzione fondamentale nell’attività estrattiva delle miniere, in particolare per ammorbidire il terreno prima di perforare oppure per separare chimicamente i metalli da estrarre dalla roccia.
L’attività petrolifera è inquinante per via del fracking, cioè il sistema di estrazione del petrolio dove l’acqua viene mischiata ad una serie di sostanze chimiche e poi ‘sparata’ nella roccia in modo da spingere attraverso la pressione il petrolio verso l’alto. Contro l’uso di questa tecnologia, peraltro vietata in molti Paesi europei, si è mobilitata buona parte della società civile colombiana che, organizzata nella Colombia Free of Fracking Alliance (CFFA), ha lanciato una serie di campagne volte a sensibilizzare la fragilità dell’ecosistema del dipartimento Magdalena. Questa protesta ha prodotto la pronta risposta delle compagnie petrolifere che operano nell’area le quali non hanno approfondito il merito delle accuse di inquinamento ma, sfruttando l’alto livello di povertà della regione, hanno sottolineato che l’attività estrattiva garantisce migliaia di posti di lavoro. Sulla questione si è espressa anche la commissione interdisciplinare indipendente nominata dal Governo, la quale attraverso l’analisi costi benefici ha dato il via libera ad una serie di progetti pilota per valutare la resilienza dell’ecosistema della regione e che potrebbero favorire le industrie degli idrocarburi. Come spiegato da Tatiana Rosa, membro di una delle organizzazioni che fanno capo al CFFA “I piloti vengono venduti come progetti di ricerca scientifica e coloro che si oppongono sono etichettati come contrari alla scienza; inoltre, sono progettati in modo tale che le aziende abbiano il massimo controllo durante tutte le fasi”.

In altre zone della Colombia la scarsità di acqua potabile non è da attribuire ad attori privati ma all’incapacità del governo di costruire un efficace sistema di distribuzione. Il caso più emblematico è quello della Guajira, il più grande dipartimento del Paese che si affaccia sul mar dei caraibi e che ogni anno è frequentato da migliaia di turisti. La Guajira è colpita ormai da decenni da lunghi periodi di siccità che affliggono non tanto la popolazione delle grandi città ma il gruppo indigeno dei Wayuu. Questa popolazione raccoglie e conserva l’acqua in grandi bacini artificiali chiamati “jagueyes“: questo sistema ha funzionato per centinaia di anni, ora però, il cambiamento climatico ha trasformato la Guajira in una terra arida e soggetta a lunghi periodi di siccità. Il governo di Bogotà ha responsabilità di non aver mai implementato gli aiuti nei confronti degli indigeni, come testimonia la crisi idrica del biennio 2014-2016, momento in cui l’approvvigionamento dell’acqua dipendeva quasi esclusivamente dal passaggio di un treno cisterna di una compagnia carbonifera locale.
La difficoltà dell’esecutivo non si ferma solo alla Guajira: le misure implementate per far fronte all’emergenza Covid-19 hanno garantito l’approvvigionamento idrico solo nelle aree urbane e soddisfando solo il 29% del fabbisogno della popolazione rurale.
Per compensare le difficoltà politiche, il 24 agosto la Plenaria del Senado de la República ha approvato la creazione della Comisión Accidental del Agua, con l’obiettivo di “generare politiche pubbliche per preservare e prendersi cura della biodiversità e delle fonti idriche del Paese”. Una decisione importante e un compito difficile perché oltre alla valutazione dei progetti tecnici sull’utilizzo dell’acqua, il principale compito della Commissione sarà districare i conflitti sociali in un Paese già segnato dalla povertà.