La notte del 25 luglio 2021, festa della Repubblica tunisina, il presidente Kais Saied ha sfilato in Avenue Bourguiba dopo aver congelato il Parlamento e aver dimesso il governo. Si è avvalso dell’articolo 80 che conferisce al Presidente la possibilità di prendere “misure eccezionali” in caso di minaccia per l’integrità del Paese. Tale mossa, di cui tuttora si discute la costituzionalità, ha scatenato, comunque, il forte entusiasmo della maggior parte dei tunisini, che si sono riversati in piazza per festeggiare il coronamento delle proprie richieste : mettere fine al sistema dei partiti corrotti, considerati i responsabili delle difficoltà economiche e sociali del paese.
Di fronte all’incredibile supporto del popolo tunisino, gran parte dell’audience internazionale, confondendo la risposta positiva delle masse con il supporto o la preferenza di un atteggiamento autoritario, ha valutato l’azione di Saied come un colpo di Stato reso possibile poiché i “tunisini non vogliono la democrazia”. Tuttavia, tale definizione frettolosa e semplicistica non fa altro che dimostrare uno studio superficiale del fenomeno. Transizione non è, infatti, sinonimo di democratizzazione, bensì definisce il processo che porta lo stato da una forma di governo ad un’altra. In più, il fenomeno stesso della democratizzazione, non è scientificamente concepibile come un percorso lineare. Al contrario, passi avanti e passi indietro sono concepiti come parte integrante dello stesso processo.

Per questo motivo, il forte entusiasmo delle piazze di fronte a quello che, dall’esterno, poteva apparire come un golpe, avrebbe dovuto, al contrario, risaltare come segnale di una complessità profonda. Una complessità tuttavia non carpita dalle frettolose valutazioni negative, che però i cittadini della Repubblica – soprattutto gli attivisti – cercano di riportare sempre all’attenzione. Proprio in tal senso, riferendosi alle decisioni prese dal Presidente il 25 luglio un giovane attivista e analista politico tunisino della società civile,che preferisce mantenere l’anonimato, riflette proprio sulla necessità di prendere in conto le sfumature di ogni processo. Per questo motivo, il forte entusiasmo delle piazze di fronte a quello che, dall’esterno, poteva apparire come un golpe, avrebbe dovuto, al contrario, risaltare come segnale di una complessità profonda. Una complessità tuttavia non carpita dalle frettolose valutazioni negative, che però i cittadini della Repubblica – soprattutto gli attivisti – cercano di riportare sempre all’attenzione. Proprio in tal senso, riferendosi alle decisioni prese dal Presidente il 25 luglio, un giovane attivista e analista politico tunisino della società civile, riflette proprio sulla necessità di prendere in conto le sfumature di ogni processo.
“”Ciò che conta però è che tutti coloro che cercano di capire le dinamiche sempre mutevoli della politica tunisina dovrebbero cercare di prestare attenzione alle sfumature e ai chiarimenti”
L’attivista suggerisce, così, di guardare alle iniziative di Saied attraverso la lente della crisi della democrazia liberale. Sebbene l’atteggiamento del giovane attivista nei confronti del progredire degli eventi assuma sfumature più pessimistiche – definisce quello di Saied come un vero e proprio “autogolpe” dal punto di vista legale – comunque dal punto di vista politico è impossibile affrettarsi a dare delle definizioni.
“Dal punto di vista politico, è difficile dire se ci sarebbe potuta essere un’altra via d’uscita dalla situazione di stallo in cui si trovava il paese. In questo momento l’accentramento del potere attraverso questa presa di potere sembra dirigersi verso l’autoritarismo, ma è difficile prevedere cosa può venire dopo”.
Dunque, è impossibile prevedere adesso quali siano le sorti definitive del paese, ma sicuramente la Tunisia si trova in una situazione senza precedenti. Infatti, nonostante non si possa parlare con sicurezza di colpo di stato, dopo quasi tre mesi dall’invocazione dell’articolo 80 da parte del presidente, l’attivista si rende conto che già all’indomani delle proteste vi erano tutti i segnali che lasciavano intravedere la deriva autoritaria da parte del capo della Repubblica.
“Inizialmente pensavo sarebbe stato un periodo di transizione, come fu il 2013, quando si sospese l’assemblea costituente e si interruppe la stesura della Costituzione. Ma poco a poco si sono visti i segnali dell’autoritarismo che lui [Saied] provava a nascondere per attenuare”.
Come esempio, l’attivista riporta la vicenda dell’arresto del presidente della televisione nazionale e la messa a processo di diversi giornalisti, nonché la chiusura della sede nazionale di Al Jazeera nella capitale. È proprio la libertà di parola, l’orgoglio tunisino e fondamento del successo della rivoluzione, che sembra particolarmente in pericolo dopo il 25 luglio. Come indica un report di Advocats Sans Frontières e come rimarca anche il giovane tunisino, le uniche azioni concrete intraprese finora dal presidente sono stati arresti e dimissioni di giornalisti e politici. Un cambiamento importante nell’atteggiamento del Presidente che preoccupa la società attenta è che Said ha smesso di consultare la società civile. Continua l’attivista,
“Rimane il fatto che Said e la sua squadra stanno guidando il paese senza consultazioni o dialogo con altri attori politici o civili, compresi quelli che non lo sostengono o si oppongono”.
La mancanza di una roadmap, nonché il prolungamento dello stato di emergenza e il conferimento dei pieni poteri al Presidente, che governa per decreto, sono gli altri elementi che nutrono il pessimismo della popolazione. Inoltre il focus centrale delle preoccupazioni del Presidente, oltre la pandemia, è la lotta alla corruzione. Nonostante l’insistenza su questa necessità, molto importante per i tunisini, le azioni concrete per combattere il sistema corrotto sono state quasi inesistenti e controverse:il 20 agosto Saied prende di mira l’INLUCC – National Anti-Corruption Authority –, espelle gli impiegati, licenzia il direttore e sequestra tutti i fascicoli dell’ente. In questo modo, tutti i documenti sensibili utilizzati per le indagini dell’autorità non statale, sono andati nelle mani dirette del Governo.

Saied, comunque, gode ancora di un certo seguito, sebbene il supporto della popolazione sia calato gradualmente. Dall’87% del sostegno alle misure prese il 25 luglio, la percentuale scende a 81% dopo i provvedimenti di agosto con i quali rinnova lo stato di emergenza dopo i primi trenta giorni inizialmente previsti e, infine, il supporto cala al 59% dopo il decreto 117 di settembre. Il 59 % è tuttavia la maggioranza. La popolazione tunisina, infatti, si divide a metà. Una divisione che si concretizza fisicamente nelle strade del paese. Rappresentazione principale di tale spaccatura è via Habib Bourguiba nella capitale, che da inizio settembre è animata da continue manifestazioni di sostenitori e oppositori di Saied, mantenuti separati dalla polizia per evitare scontri violenti. L’11 ottobre si stima che gli oppositori di Saied scesi in piazza siano stati 5000, come riportano alcuni giornalisti che si trovano sul posto. Sono proprio gli oppositori di Saied che sventolano la bandiera tunisina e copie della Costituzione del 2014, al grido familiare di “Dégage”, utilizzato contro Ben Ali nelle rivolte del 2011. Guardando alla polarizzazione sempre maggiore delle piazze e il temporeggiamento di Saied nel prendere delle decisioni concrete sia a livello politico che economico, l’attivista tunisino spiega come si pensi che il supporto di Saied diminuirà sempre di più se la situazione finanziaria rimarrà stagnante e/o ignorata. L’attivista prevede che il paese rimarrà in una situazione incerta per almeno un anno.
Alla domanda sulle possibilità di azione e reazione della società civile in questo contesto di limitato raggio d’azione, l’attivista sostiene che l’unica iniziativa utile, già intrapresa da diversi gruppi della società civile, è decostruire gli eventi per renderli accessibili a tutte le fasce della popolazione. Ci si trova in un blocco sociale e politico, in cui l’unica possibilità è aspettare. Tuttavia, gli attivisti si impegnano costantemente per rendere comprensibili i decreti presidenziali e inserirli nel contesto di una più ampia riflessione, vitale per mantenere viva l’attenzione critica nei confronti dell’evolversi della situazione.
Il successo della rivoluzione del 2011, concretizzato nella nascita di una società civile particolarmente attiva, ha innalzato di molto le aspettative occidentali nei confronti degli sviluppi democratici del paese. Tuttavia, la narrativa poetica diventata mainstream nei media internazionali ha alimentato unprocesso paradossale per cui non si concepisce altro risultato per il Paese se non quello di un processo di transizione lineare: una considerazione anacronistica, se si considera l’attuale crisi delle democrazie liberali che si sta verificando anche in Occidente. La pressione esercitata da questa narrativa che monopolizza il discorso mediatico – e a volte anche accademico – sulla Tunisia, porta a valutare ogni tipo di difficoltà della politica tunisina come bianco o nero, successo democratico o deriva autoritaria, senza lasciare spazio a tutte le sfumature del caso. Sebbene si stia assistendo ad una triste tappa della storia tunisina, quella che sembra a tutti gli effetti una deriva autoritaria, la società civile non svanisce. L’acquis del 2011 è ancora vivo: nonostante le molteplici difficoltà affrontate nell’ultimo decennio sia le CSOs, che più in generale la popolazione civile, mantengono un alto livello di attenzione e sorveglianza nei confronti delle politiche statali. La salvaguardia dell’unica democrazia del Nord Africa sta particolarmente a cuore al popolo tunisino.
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