Lo scorso 20 luglio, il portavoce e Ministro del lavoro del governo iraniano Ali Rabiei ha comunicato che “il Consiglio supremo di sicurezza nazionale della Repubblica islamica ha respinto l’accordo preliminare raggiunto dai negoziatori a Vienna sul ritorno degli Stati Uniti all’accordo nucleare del 2015 (Jcpoa) e la revoca delle sanzioni americane contro l’Iran”. A seguito di questa comunicazione, si così è aperta una fase di stallo in cui la Repubblica Islamica dell’Iran si è mostrata decisa nella sua posizione di volere la revoca di tutte le sanzioni prima di concedere nuovamente all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) di entrare nei siti nucleari per verificare il rispetto degli accordi.
Ad aggravare la situazione, ha contribuito in particolar modo l’elezione alla presidenza della Repubblica iraniana di Ebrahim Raisi, ultraconservatore e propugnatore di politiche intransigenti ben lontane da quelle del suo predecessore. In seguito alle elezioni, la preoccupazione di Washington è dunque che il progetto di arricchimento dell’uranio portato avanti da Teheran potrebbe arrivare ad un livello di sviluppo tale da rendere sostanzialmente inutile un suo successivo ritorno nel Jcpoa” riporta l’AGI. Di fronte alle tensioni emergenti, è proprio il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, a sottolineare l’urgenza di sbloccare la situazione, ma soprattutto quanto ciò sia possibile solo grazie alla volontà dell’Iran.

Se l’Iran temporeggia nella speranza che le sue richieste vengano accolte, dal canto suo il presidente americano Joe Biden, durante il suo intervento alle Nazioni Unite, si è mostrato altrettanto fermo sulle posizioni prese dagli Stati Uniti, affermando che gli Stati Uniti sono impegnati ad impedire all’Iran di ottenere l’arma nucleare. Un proposito realizzabile in primo luogo proprio grazie all’accordo sul nucleare del 2015, in cui gli USA sono disposti a ritornare solo se farà lo stesso l’Iran, che lo aveva sottoscritto insieme all’Unione Europea e ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e tagliare del 98% le riserve di uranio a basso arricchimento”.
Un primo stop all’accordo è stato dato nel 2018, quando l’amministrazione Trump ha scelto unilateralmente di uscire dall’accordo. Diversa la posizione del presidente Biden che, come ha sempre affermato anche durante la campagna elettorale, ha intenzione di rientrare nell’accordo e riprendere i colloqui diplomatici con Teheran. Ciò nonostante gli Stati Uniti però, tramite il segretario di Stato Blinken, hanno annunciato di non volere attendere a lungo e che lo sforzo di Washington per la ripresa degli accordi è vicino alla fine: “Non darò una data – ha affermato Blinken – ma ci stiamo avvicinando al punto in cui un rigoroso ritorno al rispetto del Jcpoa non riflette i benefici ottenuti da tale accordo”.
La suprema guida spirituale del Paese, l’Ayatollah Khamenei, è intervenuto in risposta alle pretese americane sulla questione accusando Biden di fare le stesse richieste dell’ex presidente Usa Donald Trump e sottolineando come l’attuale amministrazione americana non sia nei fatti diversa dalla precedente.
Lo scorso 12 settembre, le dichiarazioni del direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, hanno fatto presagire un passo avanti nelle trattative. Secondo quanto annunciato, infatti, l’Aiea e l’Iran avrebbero trovato un accordo per la manutenzione delle apparecchiature di sorveglianza dell’Agenzia, i cui supporti di memorizzazione, ai quali Teheran aveva deciso di limitare l’accesso all’inizio di quest’anno, saranno tenuti sotto il sigillo congiunto dell’Aiea e dell’Aeoi – l’Organizzazione per l’energia atomica iraniana.

Sfortunatamente, già nella giornata del 26 settembre, l’entusiasmo è stato tuttavia velocemente smorzato. L’Iran non ha infatti rispettato l’accordo preso appena due settimane prima con l’Aiea, i cui ispettori si sono visti negare l’autorizzazione a procedere con la sostituzione delle schede di memoria delle apparecchiature in un laboratorio presso il complesso di Tesa Karaj, già mira di alcuni sabotaggi avvenuti a giugno. A seguito della denuncia dell’Aiea, Teheran ha comunicato che “le attrezzature relative al sito di Karaj non sono incluse poiché il sito è ancora sottoposto a indagini di sicurezza e giudiziarie”.
In merito alla questione, il Ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov, ha affermato davanti ad alcuni giornalisti presenti alle Nazioni Unite a New York, che le parti in gioco dovrebbero essere più attivi nel risolvere tutte le questioni relative all’accordo, augurandosi inoltre che i negoziati riprendano il prima possibile.
Risulta dunque evidente come la vicenda relativa al divieto di accesso in un centro nucleare agli ispettori dell’Aiea non abbia fatto altro che minare la credibilità dell’Iran, contribuendo a incrinare ulteriormente i rapporti tanto con gli Stati Uniti, quanto con la stessa Agenzia internazionale. Quest’ultima ha infatti annunciato che l’accordo di settembre aveva “evitato la possibilità di una risoluzione contro l’Iran nella riunione del consiglio di amministrazione dell’Agenzia all’inizio di questo mese”. Una possibilità che, di fronte alle ripetute violazioni dell’accordo dell’Iran si prospetta sempre più probabile.
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