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Quando la difesa della Nazione diventa “anti-Stato”

Eredità coloniali e nazionalismo nella sfida politica alle istituzioni repubblicane francesi

mmbyDavide Paolicchi
Giugno 25, 2021
in Diritto Internazionale ed Europeo
Reading Time: 8min read
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Quando la difesa della Nazione diventa “anti-Stato”

La Difesa dello Stato è sempre stata tra gli elementi fondanti di una Nazione. All’interno delle leggi fondamentali di quasi ogni Paese democratico-liberale è presente un riferimento alle proprie Forze Armate. Non sempre, però, la citazione delle suddette all’interno della primaria fonte del diritto ha mitigato le “pressioni” dei vertici militari (i quali si vedono come “unici ed intoccabili difensori della Patria”) nei confronti delle istituzione pubbliche o centrali. Infatti, durante la propria esistenza, molti Stati hanno riscontrato dei “precedenti storici” in cui non sempre la gerarchia militare è stata soggetta al potere politico civile.

In seguito alle riforme promosse dall’amministrazione de Gaulle ed al collasso dell’Impero Coloniale transalpino, molte anime nazionaliste delle Francia dell’epoca insorsero (anche violentemente) contro questa nuova dottrina politica. Infatti, in seguito alla sconfitta francese nella Guerra d’Indipendenza Algerina, vi fu una violenta opposizione dei francesi più nazionalisti, sostenuti dai cosiddetti pieds-noirs (coloni francesi del Nord Africa) e dal terrorismo dell’OAS (Organisation de l’Armée Secrète), società paramilitare segreta che sosteneva i diritti coloniali della Francia. Due ulteriori momenti in cui l’unità nazionale fu messa in pericolo, furono il tentativo di putsch dei generali di Algeri nell’aprile del 1961 e gli attentati alla stessa persona del Presidente de Gaulle il 22 agosto 1962.

Fu questo un particolare momento, legato sicuramente al passaggio tra la Quarta e la Quinta Repubblica, in cui le stesse Forze Armate francesi si sentirono abbandonate (se non tradite) dalle istituzioni pubbliche civili, “colpevoli”, secondo numerosi ufficiali, di aver tradito la Patria. Ma dopo circa 60 anni perché se ne parla ancora? La crescita del nazionalismo populista in tutta Europa, Francia compresa, attraverso l’espressione politica del Rassemblement National di Marine Le Pen (figlia di Jean-Marie, il quale fu indirettamente legato proprio all’OAS) ha infatti recentemente sollecitato nuove tensioni all’interno delle istituzioni francesi.

La nascita dell’ISIS, l’estensione dell’influenza di Al Qaeda al di fuori del Medio Oriente (soprattutto nell’Africa Occidentale), i drammatici eventi legati agli attentati del 2015 (redazione di Charlie Hebdo in gennaio e teatro Bataclan in novembre) hanno contribuito ad aumentare ed esasperare l’elemento xenofobo proprio della Francia più legata alla tradizione nazionale. La paura verso lo “straniero di religione musulmana” rimane un problema sociale insoluto soprattutto nelle metropoli, alimentato anche dalle tensioni derivate dalla grande crisi economica del 2008/09. A tutto questo, su un piano politico, occorre aggiungere necessariamente una maggiore richiesta di “sicurezza” da parte della popolazione, posta nel mezzo di queste tensioni. Pertanto, negli ultimi sei anni, la risposta dello Stato si è sviluppata su due binari paralleli: 1) un maggiore impegno nella cosiddetta Françafrique da parte delle sue forze armate; 2) una progressiva “militarizzazione” delle metropoli per contrastare le possibili minacce terroristiche derivate dai “lupi solitari” o foreign fighters (oltre 1900 quelli provenienti dal territorio francese) di ritorno dal Medio Oriente.

In entrambi i casi, risulta superfluo notare come la risposta di Parigi converga essenzialmente sulla risposta affidata alla proprie Forze Armate. Per quanto riguarda l’impegno militare in Africa, questo prevede un considerevole dispiegamento di elementi, mezzi e materiali nella fascia del Sahel (Mali, Burkina Faso, Niger e Chad principalmente) dove, alla pluridecennale lotta interna tra i vari governi locali con le tribù tuareg, si sono inserite nuove milizie fondamentaliste più o meno legate ad Al Qaeda e ISIS, soffiando sul generale malcontento, corruzione e povertà peculiari di quelle regioni, tutte ex colonie francesi.

Per contrastare i possibili atti di terrorismo “domestici”, i governi francesi, sotto la presidenza di Hollande prima e Macron poi, hanno riattivato il sistema di allarme riferito alla sicurezza nazionale, con il Plan Vigipirate (Vigilance et protection des installations contre les risques d’attentats terroristes à l’explosif) e, successivamente, varando l’Operation Sentinelle. Quest’ultima, può essere considerata la versione francese dell’Operazione Strade Sicure in Italia (post-2015) e si concentra sul concetto di presidio, vigilanza e controllo dei principali centri sensibili del Paese. Attualmente coinvolge circa 15mila militari e gendarmi, attingendo a molto personale appartenente alle Unités d’Intervention de Réserve (UIR), specializzate nella difesa nazionale e giuridicamente basate sulla legge del 1999.

In questo contesto, dopo circa 6 anni dai due attentati che hanno sconvolto la Francia, nelle ultime settimane si è inserito un nuovo scandalo che coinvolge un numero imprecisato di ex-alti vertici delle Forze Armate francesi, molto critici verso le misure adottate dal Presidente Macron negli ultimi anni, specie per quanto riguarda la radicalizzazione religiosa tra le comunità musulmane dell’Hexagon metropolitano. Il riferimento alla “Patria in pericolo”, al presunto islamismo dilagante e all’ipotetica minaccia dei valori francesi ha fatto allarmare tutti i media ed ipotizzare un nuovo “tentato golpe dei militari” (come abbiamo visto precedentemente, ipotesi non remota nella recente Storia francese).

Nell’analisi che la stampa ha fatto di questo evento, poca menzione è stata fatta su tre punti che sono la chiave di lettura essenziale per comprendere il gesto dei generali: le elezioni presidenziali del 2022; la vicinanza conclamata dei “golpisti” all’estrema destra xenofoba che cerca di ottenere questo storico risultato con Marine Le Pen prima che il consenso cominci a decrescere; le precedenti tensioni tra Macron ed alcuni alti esponenti delle Forze Armate degli anni precedenti. Uno dei firmatari della lettera, l’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, Pierre de Villiers, si era dimesso nel 2017 in seguito alle mancate promesse di un maggiore stanziamento di risorse per le Forze Armate.

In senso internazionale, l’impegno militare francese è totalmente incentrato sulle operazioni nel Sahel a supporto del contrasto contro milizie fondamentaliste ed indipendentiste, soprattutto nel Mali. L’Operazione Barkhane, iniziata nel 2014, prevede un ampio dispiegamento di truppe francesi su di un’area enorme in condizioni climatiche sfavorevoli. Negli anni, la guerriglia ha messo sotto scacco le forze armate locali, totalmente impreparate, pur se addestrate e supportate finanziariamente da Parigi. Inoltre, il continuo flusso di armi dagli arsenali di Gheddafi continua ad alimentare i numerosi miliziani fondamentalisti.

La Difesa e la politica francese stanno affrontando un periodo di transizione, specificatamente collegato all’attuale andamento geopolitico. La fine del colonialismo ha spinto numerosi cittadini francofoni ad andare alla ricerca di un futuro migliore nella Francia metropolitana. Purtroppo però negli anni, una poco accorta politica migratoria e di integrazione non ha concesso loro di inserirsi completamente nel tessuto economico-sociale francese, costituendo, pertanto, un “serbatoio” per il malcontento e l’odio verso i valori francesi da parte di molto giovani musulmani. In questo senso, le leggi antiterrorismo e la stessa operazione Sentinelle non offrono una reale via d’uscita al problema della radicalizzazione domestica, ma soltanto la possibilità di nuove tensioni sociali, unicamente veicolando l’obiettivo di un “senso di sicurezza e vigilanza apparente” per le strade di Francia.

In conclusione, la Francia (e le sue istituzioni di vertice, non solo militari) dovrebbe totalmente ripensare la propria dottrina di politica estera, la quale potrebbe avere degli evidenti risvolti su quella legata alla Difesa. Essa dovrebbe presupporre nuovi rapporti economici paritari con tutte le sue ex colonie francofone e più attentamente ricalibrare il proprio supporto alle forze armate locali, soprattutto se legate a regimi dittatoriali che contribuiranno solo ad alimentare l’instabilità attraverso la repressione. Dovrebbe, inoltre, offrire una sponda diplomatica alle questioni irrisolte nell’area: il secondo golpe in Mali da parte di ufficiali antidemocratici, la secessione delle etnie tuareg nell’intero Sahel e nel Saharawi, e la nascita di milizie radicali post-repressione in Algeria, reale fonte del fondamentalismo in Africa Occidentale.

Attualmente non sembra che questa sarà la tendenza dei prossimi anni poiché, per evitare nuovi scontri tra Politica e Forze Armate, si è preferito agire cambiando la forma più che la sostanza di questi rapporti contraddittori: il cambio di nome da “Ministero della Difesa” a “Ministero delle Forze Armate”, come se alla fine fosse solo questione di convenienza elettorale e non programmazione strutturale a lungo termine! Si attendono i risultati di questo processo, ma l’attesa non sarà lunga, poiché il 2022 è alle porte. Si aggiunga, in ultima analisi, la decisione del Presidente Macron, annunciata il 10 giugno, di terminare l’Operazione Barkhane procedendo con un graduale ripiegamento delle truppe impegnate nel Sahel.

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Tags: barkhanede GaulledifesaFranciageneraligolpeMacronMilitareSentinelleterrorismo
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