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Le proteste in Colombia e la militarizzazione della polizia

mmbySantiago Olarte
Giugno 16, 2021
in America Latina e Caraibi
Reading Time: 6min read
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Le proteste in Colombia e la militarizzazione della polizia

Da più di un mese, la Colombia sta assistendo a una delle più sanguinose proteste della sua storia recente. Le manifestazioni sono cominciate lo scorso 28 aprile in risposta a un progetto di riforma fiscale in discussione in Parlamento. Secondo il Presidente della Repubblica Ivan Duque, tale provvedimento avrebbe permesso di immettere nelle casse dello Stato 25 miliardi di pesos (circa 5,2 miliardi di euro) per ridare stabilità alle finanze pubbliche, le quali sono state più volte svuotate in quest’ultimo anno e mezzo a causa dei programmi di assistenza alle persone più fragili e ai migranti venezuelani. La riforma avrebbe applicato l’IVA al 19% su tutti i beni di prima necessità e proposto di abbassare la soglia a partire dalla quale si pagano le imposte sul reddito.

Il progetto di legge, però, impoverirebbe ancora di più la popolazione. Infatti, a causa della pandemia di COVID-19, il tasso di povertà è aumentato del 6,8% nel 2020 (raggiungendo la soglia record del 42,5%), mentre il 15% dei cittadini vive in una situazione di estrema povertà. 

Il “paro nacional”, cioè lo sciopero nazionale, organizzato inizialmente dai sindacati per contestare la riforma, ha raggiunto in poco tempo proporzioni enormi. A nulla è valso il ritiro del progetto di riforma fiscale e le dimissioni del ministro delle Finanze Alberto Carrasquilla, perché i cittadini avevano già allargato le proprie richieste. Tra le prime proposte c’è stato il reddito universale, finalizzato a combattere le disuguaglianze della riforma della polizia.

Fin dai primi momenti, la violenza è stata una delle caratteristiche salienti delle manifestazioni, come testimoniano i numerosi video diffusi sui social network. Nelle principali città, come Bogotà, Medellin e Cali, si è assistito a diversi atti di vandalismo e saccheggio. Ma quel che ha maggiormente indignato l’opinione pubblica locale e internazionale è stato l’abuso di forza da parte delle forze di polizia. Secondo i dati della ONG Temblores, durante il mese di maggio, si sono registrati 3789 casi di violenza da parte della polizia. Inoltre sono avvenute 1649 detenzioni arbitrarie di manifestanti, 1248 vittime di violenza fisica e 45 omicidi.

Purtroppo, questi scenari di violenza non sono una novità nel panorama colombiano. Già nel novembre 2019, migliaia di persone erano scese in strada per protestare contro la violenza dei poliziotti in seguito alla morte di Dilan Cruz, un diciottenne che perse la vita a seguito delle percosse alla testa ricevute dalla polizia durante ad una manifestazione a cui aveva partecipato. A settembre dell’anno scorso, vi erano stati forti proteste a seguito della diffusione di un video che ritraeva gli ultimi istanti di vita di Javier Ordóñez, deceduto a seguito della scarica di un taser usato dalla polizia.

Le ragioni di questa brutalità sono da ricercare in diversi fattori. Senza dubbio è importante ricordare che le forze di polizia rispondono direttamente al Ministro della Difesa. Ricevono quindi una formazione militare che, per quanto sia utile nella lotta al narcotraffico, si rivela completamente inadeguata nella gestione dell’ordine pubblico. Inoltre, la polizia colombiana ha sempre agito al fianco dei militari per combattere i gruppi guerriglieri. In seguito alla firma degli accordi di pace del 2016 con le FARC, però, non vi è stata alcuna riforma di smilitarizzazione di tali gruppi. Come afferma Pedro Pedrahita, professore all’Università di Medellin, “il sistema di sicurezza pubblica colombiano funziona sulla base dell’anacronistica dottrina dell’anticomunismo, del nemico interno, e il risultato che si ottiene è che i protestanti non sono visti come cittadini bensì come legittimi target militari”. 

Un altro elemento che, invece, ha contribuito a minimizzare il problema della violenza della polizia riguarda la classe politica colombiana. In molti non hanno ancora riconosciuto la protesta. Ad esempio, in una recente intervista su Vice, il ministro della Giustizia Wilson Ruiz ha affermato che le morti avvenute durante le manifestazioni fossero “ dei fatti isolati” e la conseguenza di “risse e tentativi di furto”. Inoltre, lo stesso Ministro ha affermato che il “paro nacional” non è altro che una “situazione molto ben organizzata a livello internazionale da gruppi criminali per screditare il Paese”. 

Dopo più di un mese di proteste, si iniziano a vedere i primi effetti. Recentemente, il presidente Duque ha riconosciuto gli abusi della polizia, nonostante non abbia ancora parlato di “sistematicità”. Inoltre, ha deciso di ascoltare le richieste dei manifestanti ed ha annunciato di aver scritto nuove linee guida per un progetto di riforma della polizia. Tra le misure previste, ci sarebbe l’obbligatorietà di tutti i poliziotti di indossare delle body cams, la revisione dello Statuto disciplinare e una procedura più veloce in aula per i casi di violazione dei diritti umani. Per quanto riguarda, invece, l’ESMAD – cioè le forze di polizia antisommossa – si vorrebbe imporre l’obbligo di almeno quattro corsi sull’uso legittimo della forza, con particolare attenzione ai diritti dell’uomo.

Le lunghe proteste che stanno sconvolgendo la Colombia sembrano aver prodotto l’effetto desiderato. Bisognerà attendere ancora molto per vedere i risultati nella pratica sul lungo periodo, in particolare perché si avvicinano sempre più le elezioni presidenziali del 2022.

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Tags: ColombiaforzeIvan Duquemilitarizzazionepoliziaprotesteriformaviolenza
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