“Spesso, i membri dell’equipaggio indonesiano, in particolare quelli a bordo dei pescherecci, affrontano alcuni problemi. Sono intrappolati nella schiavitù moderna in mare“. A riconoscerlo, il ministro della manodopera indonesiano Ida Fauziyah, nel corso di un webinar, tenutosi a metà aprile e dedicato alla protezione dei lavoratori sui pescherecci stranieri. A rendere ancora più evidente l’urgenza della questione, si è aggiunta Greenpeace Sud/Sud-Est asiatico, che ha recentemente pubblicato il report “Lavoro forzato in mare: il caso dei pescatori migranti indonesiani”. Con l’aiuto del Serikat Buruh Migran Indonesia (SBMI) – l’unione indonesiana dei lavoratori migranti – all’interno del report sono stati analizzati i dati riguardanti le denunce di sfruttamento dei lavoratori migranti indonesiani in mare, riportate in tredici mesi tra il 2019 e il 2020.
La situazione tratteggiata da Greenpeace mette in luce diverse forme di sfruttamento dei lavoratori. I pescherecci che navigano al largo, in acque extraterritoriali, hanno solitamente delle barche di appoggio, che portano il pesce sulla costa. In questo modo, possono trattenersi in acqua per mesi o, addirittura, anni. Gli sfruttati sono migranti, a cui vengono inflitte punizioni o privazioni di parte della propria paga e di servizi di prima necessità. Ci sono alcuni Paesi più inclini al rischio di lavori forzati e sono quelli la cui economia si basa sul settore ittico. Tra loro, anche l’Indonesia. In ogni caso, come riporta il documento, “tutti gli agenti lungo la catena di approvvigionamento sono responsabili, in certa misura, della proliferazione del lavoro forzato. Governi, personale, la nave stessa e i suoi proprietari, i compratori, compresi i dettaglianti. Tutto parte di un sistema che si deve riformare”.
Secondo quanto riportato, 41 pescherecci sarebbero coinvolti nella tratta e sfruttamento, con 62 denunce arrivate. Ventisei armatori risulterebbero fautori di minacce. Per quanto riguarda, invece, gli indicatori, i più diffusi sono la trattenuta dei salari con l’87% dei casi, le condizioni di lavoro e di vita abusive nell’82%, l’inganno con l’80% e l’abuso di vulnerabilità nel 67% dei casi. Nel 2020 sono state presentate 104 denunce – il numero più alto registrato fino a oggi – con un aumento significativo rispetto alle 86 ricevute nel 2019.
Nel tentativo di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei migranti indonesiani, il governo ha promesso progressi in merito. Primo passo sarà l’avanzamento del progetto di regolamento governativo per la protezione dei membri dell’equipaggio delle navi, proposto dalla Segreteria di Stato e promossa dal ministro Fauziyah. Persistono, però, dei punti problematici, come il rilascio dei permessi alle aziende e la raccolta dati nei processi di reclutamento, formazione, certificazione e supervisione.

A tale scopo, Greenpeace ha proposto delle linee guida che prevedono la ratificazione delle convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sulla pesca e delle misure dell’Organizzazione per il Cibo e l’Agricoltura (FAO) per attuare politiche che proteggano i diritti dei lavoratori. Tra queste, due delle principali e delle più efficaci riguardano l’assunzione attraverso canali formalizzati e l’annullamento delle tasse di assunzione. Inoltre, tali linee guida prevedono che debbano essere garantiti non solo un minimo di dieci ore di riposo giornaliere, ma anche un meccanismo che consenta ai lavoratori di denunciare eventuali sfruttamenti o maltrattamenti in maniera sicura, anonima, riservata e indipendente, al fine di scongiurare ritorsioni.
In conclusione, è fondamentale comprendere come “tali imprese, unite da una significativa collaborazione intergovermentale e dalla condivisione di informazioni tra i principali governi e attori non governativi – come le amministrazioni del lavoro e della pesca, il settore privato, i pescatori migranti e le loro organizzazioni, tra gli altri – intendano esercitare pressioni su tutti i governi coinvolti affinché stabiliscano misure immediate per porre fine alla schiavitù moderna in mare e rafforzare la lotta contro la pesca illegale, non segnalata e non regolamentata”.
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