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L’ombra del Treno della Vergogna dietro le scuse di AMLO ai Maya

mmbyMilo Lavina
Giugno 2, 2021
in America Latina e Caraibi
Reading Time: 5min read
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L’ombra del Treno della Vergogna dietro le scuse di AMLO ai Maya

Il Presidente Andrés Manuel López Obrador (AMLO) la considera la più grande opera pubblica del Messico, per le opposizioni invece è il “Treno della vergogna”. Il Trén Maya è una ferrovia ad alta velocità lunga 1500 km che scorre tra le foreste del Messico sudorientale sulla quale il Presidente AMLO vorrebbe creare una nuova tratta per collegare i principali siti archeologici Maya. Un progetto imponente sia dal punto di vista economico, dato che la spesa si aggira tra i 7 e gli 8 miliardi di dollari, sia dal punto di vista ambientale, poiché prevede l’abbattimento di circa 80 ettari di foresta, con conseguenti danni per l’intero ecosistema locale.

Fin dalla sua presentazione, il progetto Trén Maya è stato definito come l’ultima possibilità per la zona meridionale del Messico di attirare il turismo internazionale, aumentando così i visitatori delle principali destinazioni turistiche regionali come Cancún, Tulum, Calakmul, Palenque e Chichen Itzá, ora mal collegate l’una all’altra: “È un lavoro molto importante perché comunicherà una delle regioni culturalmente più importanti del mondo. Non c’è regione in altre parti del mondo con tanta ricchezza culturale come questa regione in cui è fiorita la grande cultura Maya”, ha dichiarato il Presidente López Obrador.

La notizia, com’era prevedibile, non è stata recepita con molto entusiasmo dalla popolazione indigena, la quale si è dichiarata contraria fin da subito al progetto, per paura di diventare una “nuova Cancún” colpevole “di essersi presa tutto il cibo che produciamo lasciandoci solo nuda foresta”.

A riaccendere il dibattito sull’opera, iniziata nel 2018, sono state le dichiarazioni di AMLO che, in occasione di un evento organizzato nello Stato di Quintana Roo, aveva offerto “le scuse più sincere al popolo Maya per gli orribili abusi commessi sia dalle persone che dalle autorità nazionali e straniere nel periodo della conquista, durante i tre secoli di dominazione coloniale e i due secoli di indipendenza del Messico”. Questa è stata una dichiarazione storica per la comunità Maya, che a lungo ha combattuto per veder riconosciuto ufficialmente il massacro della popolazione e la quasi estirpazione della propria cultura da parte dei governi di Spagna e Messico, ma che ha comunque diviso l’opinione pubblica.

Alcuni osservatori reputano questa dichiarazione coerente col percorso politico di Obrador, dato il suo passato come attivista per i diritti delle popolazioni indigene locali. Lo stesso Presidente, del resto, era stato eletto nel 2018 dopo una campagna elettorale che aveva messo al centro la difesa dei diritti delle minoranze etniche. 

La popolazione indigena però sottolinea come questo sostegno non sia mai andato oltre le parole. Le comunità locali accusano da sempre una scarsa sensibilizzazione del governo riguardo alle tematiche dell’occupazione delle terre degli Indios, della gestione delle risorse idriche e ora anche dell’esclusione di queste comunità dallo stesso progetto del Trén Maya. Per questo alcuni dei leader sociali delle comunità U Je’ets’el le Ki’ki’kuxtal hanno rifiutato la scuse del Presidente, poiché a loro avviso “il perdono porta grandi compagnie, fonti di espropriazione, accumulazione per pochi e miseria per i popoli”. 

Lo scorso gennaio l’opposizione si è presentata al Consiglio Regionale Indigeno e Popolare di Xpujil (Cripx) per denunciare l’invasione illegale dei territori da parte di imprese, la maggior parte delle quali senza neppure le autorizzazioni necessarie per avviare i lavori.  “La pandemia di Covid-19 è arrivata, come ha detto il governo bugiardo di López Obrador, ‘come un guanto’ per l’imposizione di megaprogetti e la militarizzazione del paese , con la maggior parte della popolazione smobilitata” hanno dichiarato i rappresentanti delle opposizioni.

La questione si è complicata dopo l’annuncio di AMLO di voler cedere il controllo della ferrovia alle istituzioni militari. Jiménez Pons, direttore del Fondo nazionale per la promozione del Turismo, ha spiegato che l’intera opera sarà di proprietà dei militari, i quali otterranno profitti dal trasporto di passeggeri e merci, e non più del Ministero delle Finanze. La decisione sarebbe giustificata dalla possibilità di future privatizzazioni e dal tentativo di evitare casi di corruzione da parte dei cartelli del narcotraffico locali.

Tuttavia la vera ragione dietro questa decisione, secondo le opposizioni, è un’altra: “Sanno che se avessero assegnato il tratto qui a una società privata sarebbe stato facile organizzare la resistenza”, spiega Jesus Lopez Zapata, uno dei fondatori di Cripx.

AMLO però non sembra fermarsi di fronte alle contestazioni. A marzo ha svolto un sopralluogo per comprendere i possibili ostacoli al progetto. Tra questi senza dubbio vi è da tenere in conto le conseguenze della pandemia e delle abbondanti piogge nella regione. Si è dimenticato però di citare le cause legali sollevate dagli indigeni o dalle ONG. Al contrario si è dimostrato sicuro con i giornalisti: “Non c’è possibilità di non inaugurare il treno nel 2023, sarebbe un clamoroso fallimento”. Sembra improbabile che AMLO permetta agli indigeni di compromettere il progetto. Un’opera più significativa per il futuro della sua carriera politica che per il destino del Paese.

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