Pochi mesi fa in India sembrava che la normalità fosse alle porte: le scuole riaprivano, le partite di cricket riprendevano insieme ai pellegrinaggi e ai comizi elettorali. Vi era la convinzione di aver sconfitto il Covid-19. Il primo ministro, Narendra Modi, si vantava dicendo: “Grazie a soluzioni made in India, abbiamo controllato la diffusione del virus e migliorato le infrastrutture. La nostra capacità di ricerca e produzione dei vaccini ha protetto non solo l’India ma molti altri paesi in tutto il mondo”. Dal suo partito, Bharatiya Janata Party, Modi veniva definito come un precursore che aveva sconfitto il virus. Si cantava vittoria, ma il Covid-19 non aveva ancora detto la sua ultima parola: tra fine marzo e inizio aprile, i contagi sono aumentati esponenzialmente fino a raggiungere oltre 300mila casi al giorno.
Questa esplosione di casi è stata causata principalmente da una sottovalutazione del rischio e da decisioni sconsiderate prese dal governo che hanno incoraggiato enormi assembramenti. In vista delle elezioni in diversi stati indiani, tra cui il Bengala, Modi ha continuato a tenere raduni elettorali senza il rispetto delle norme di sicurezza sanitaria. Il primo ministro ha anche permesso che si organizzasse il Kumbh Mela, un pellegrinaggio di milioni di indù che hanno raggiunto una piccola città sulle sponde del Gange, dove poi si sono immersi. Alcuni sostengono che la decisione di consentire il pellegrinaggio e i festeggiamenti sia stata presa per non perdere consensi tra le persone induiste in vista delle elezioni.
Sono molti a criticare le decisioni di Narendra Modi: tra questi vi è anche la giornalista del The Guardian, Arundhati Roy. Roy accusa il governo non solo di essere responsabile della nuova massiva ondata di contagi, ma dichiara anche che “per il governo Modi c’erano, e ci sono, questioni molto più urgenti da risolvere. Distruggere le ultime vestigia di democrazia, perseguitare le minoranze e consolidare le fondamenta della nazione indù è molto più impegnativo […] Mentre New Delhi è in lockdown, devastata dalla pandemia, sono cominciati i lavori per la realizzazione del progetto Central Visa, dichiarato un servizio essenziale, per il quale sono stati fatti venire operai da fuori città. Forse dovrebbero modificare il progetto e aggiungerci anche un crematorio”. Quelle di Roy sono parole molto pesanti che fotografano la drammatica situazione in cui si trovano milioni di esseri umani.
Il virologo Zarir Udwadia descrive la situazione come l’inferno di Dante: “in ospedale vi sono file di pazienti ammassati che lottano per respirare, le loro grida di aiuto spesso cadono nel vuoto mentre il personale medico, oberato di lavoro, lotta per andare avanti. I farmaci essenziali non sono più disponibili e, la cosa più spaventosa di tutte, l’ossigeno, l’essenza stessa della vita, scarseggia”. Il 22 aprile, venticinque pazienti in condizioni critiche che avevano bisogno di alti flussi di ossigeno, sono morti perché l’ospedale in cui erano ricoverati, una delle più grandi cliniche private di New Delhi, aveva esaurito l’ossigeno. Qualche giorno dopo, lo stesso scenario si verificava in altri grandi ospedali della capitale. Il 24 aprile, il procuratore generale di New Delhi, Tushar Mehta, ha dichiarato: “Proviamo a non piagnucolare troppo, finora abbiamo fatto in modo che nel paese nessuno restasse senza ossigeno”. E mentre il procuratore Mehta pronunciava queste parole, le persone morivano per strada perché non riuscivano più a respirare.

Davanti agli ospedali ci sono file chilometriche di ambulanze che trasportano pazienti Covid, ma non ci sono più letti disponibili. Il corrispondente del New York Times, Jeffrey Gettleman, racconta come “i malati vengono lasciati davanti ai cancelli chiusi degli ospedali o a casa, e sono letteralmente senza fiato”. Gettleman, inoltre, ricorda come un suo amico, così come migliaia di persone, abbia cercato invano di trovare un letto in un ospedale: “Ho provato tutto ciò che era in mio potere per trovare un letto a questo ragazzo, e non ci siamo riusciti. È caos. Questa è una catastrofe. Questo è un omicidio”.
La giornalista del The guardian, Hannah Ellis-Petersen, in un suo articolo, riporta la storia di Rakesh Kumar e di come si sia rivolto a tutti gli ospedali della sua città per far ricoverare sua madre in fin di vita: “Abbiamo provato così tanti ospedali, ma anche quando il suo ossigeno è sceso al 40% non siamo riusciti a trovarle un letto. Abbiamo continuato ad andare negli ospedali dove ci è stato detto che c’era disponibilità di posti letto, ma ogni volta ci dicevano che erano pieni. Se avessimo potuto procurarle un letto o averle preso l’ossigeno in tempo, avremmo potuto salvarla. Ma non ha nemmeno avuto la possibilità di sopravvivere”.
Stando a dati ufficiali, sono in media oltre duemila le persone che ogni giorno muoiono di Covid-19. Tuttavia, si tratta probabilmente di una sottostima dei dati reali, perché i funerali celebrati e tutti i corpi bruciati nei crematori fanno pensare a un numero di vittime fino a trenta volte superiore. Per esempio, a Delhi, ogni quattro minuti qualcuno muore a causa del Covid.
Nelle grandi metropoli come New Delhi, si sta assistendo ad una vera e propria catastrofe. “I crematori sono pieni di corpi, come se fosse appena scoppiata una guerra. Gli incendi bruciano tutto il giorno. Molti luoghi ospitano cremazioni di massa, dozzine alla volta, e di notte, in alcune zone di Nuova Delhi, il cielo si illumina. La malattia e la morte sono ovunque”, il giornalista Gettleman descrive così quello che sta succedendo. La malattia è onnipresente e lo sono anche i decessi e le cremazioni di massa.

Nell’articolo di Ellis-Petersen viene riportata anche la testimonianza di Sunil Kumar Sharma, il capo del crematorio di Ghazipur: “Ci sono così tanti morti. Sembra che se continui così, non ci sarà più nessuno a Delhi. Adesso lavoriamo 20 ore al giorno. Sono così stanco e la mia anima si sente spezzata da ciò che sta accadendo . Di notte, mi preoccupo di come faremo domani quando arriveranno altri corpi. E se ce ne fossero troppi per noi?” O, ancora, Gettleman descrive una sensazione d’impotenza: “Ci troviamo in mezzo a un oceano di sofferenza e disperazione […] Le nostre menti sono impregnate d’immagini di famiglie disperate che annaspano per avere ossigeno. Tutti sono malati e non si trova assistenza medica.”
Roy si schiera contro coloro che affermano il collasso del sistema a causa del virus. Per lei, il sistema era già quasi inesistente perché il governo aveva precedentemente smantellato le, già precarie, strutture sanitarie. “Questo è quello che succede quando una pandemia colpisce un paese con un sistema sanitario pubblico quasi inesistente”. Per la sanità, l’India spende l’1,25% del proprio PIL, ma probabilmente anche questa volta si tratta di una cifra gonfiata e la percentuale reale si aggirerebbe verso lo 0,34%. Nel subcontinente indiano si è assistito a una grandissima privatizzazione del sistema sanitario. Roy denuncia che “l’assistenza sanitaria è un diritto fondamentale. Il settore privato non si occupa delle persone affamate, malate e moribonde che non hanno soldi. Questa pesante privatizzazione dell’assistenza sanitaria è un crimine.”
Il virologo Zarir Udwadia si chiede come si sia arrivati a questa catastrofe in soli pochi mesi, cos’è che è andato storto? A gennaio il ministro della Salute, Harsh Vardan, esultava dicendo che “l’India ha appiattito il grafico Covid”. Al contrario, Udwadia denuncia che “da gennaio, invece di aumentare la fornitura di vaccini, assicurarsi la fornitura di ossigeno, e rinforzare l’importanza del distanziamento sociale e l’uso delle mascherine, abbiamo permesso che continuassero a essere organizzati massicci comizi elettorali e il Kumbh Mela che ha visto 3.5 milioni di pellegrini riempire le rive del Gange. Il virus è stato dimenticato perché ci eravamo già dichiarati vincitori.”
Secondo la giornalista Roy, non è il sistema a essere collassato, ma è il governo che ha fallito. “O forse fallito non è la parola giusta perché ciò a cui stiamo assistendo non è solo negligenza, ma un vero e proprio crimine contro l’umanità”.
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