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Fake news e Covid- 19 : tra libertà di espressione e censura

mmRoberta MancinbyPierluigi De RogatisandRoberta Mancin
Maggio 1, 2021
in Speciale
Reading Time: 16 mins read
0
Fake news e Covid- 19 : tra libertà di espressione e censura

Le fake news da sempre costituiscono un argomento ostico. Il dibattito è complesso e si snoda fra libertà di espressione e censura, tra sicurezza e diritti. Situazioni di emergenza, come quella che il mondo sta sperimentando in questo momento, richiedono provvedimenti urgenti e misure eccezionali, le quali però non dovrebbero mettere in discussione le libertà fondamentali, come la libertà di informazione ed espressione. La diffusione di fake news può, da un lato, avere un grande impatto sulla comunità internazionale, e, dall’altro, può compromettere la credibilità delle politiche e delle decisioni prese nella lotta contro il virus. Questa situazione potrebbe rappresentare una seria minaccia per le democrazie di tutto il mondo che vedono i propri social media saturi di notizie false da cui devono proteggere i cittadini. Infatti, non solo le fake news minano la sicurezza delle persone, ma minacciano la credibilità e l’affidabilità stessa dei governi di cui mietono vittime. Analogamente, i regimi autoritari, a causa dei tempi straordinari e la pandemia di coronavirus in corso, hanno la possibilità di legittimare la chiusura dei confini territoriali o l’utilizzo della sorveglianza digitale di massa, mascherando le limitazioni come rimedi necessari  per affrontare le circostanze avverse.

Fake news tra controversie e legittimità

Con un’incidenza di poco più di mille casi di Covid per ogni 100.000 abitanti, Singapore si può ritenere una piccola oasi felice, soprattutto se si considera che si classifica come secondo Paese al mondo per densità abitativa, quasi 8.000 persone ogni km2, dietro solo al Principato di Monaco. Tale soddisfazione sanitaria, però, non è parallelamente seguita da un elevato grado di libertà. Infatti, in seguito alla diffusione della pandemia e soprattutto delle fake news legate ad essa, il ministro delle comunicazioni e delle informazioni singaporiano  Iswaran aveva annunciato già a marzo dell’anno scorso la volontà del governo di implementare delle misure più restrittive contro la diffusione di notizie false. Sempre il ministro aveva sottolineato la necessità che la popolazione rimanga calma durante una pandemia e l’utilizzo di fonti affidabili per ricevere consigli e informazioni, al fine di agire nel modo più consapevole possibile.

Fortunatamente per i singaporiani, uno strumento per combattere le falsità che circolano nel web era già stato introdotto nell’ottobre del 2019 con il POFMA (Protection from Online Falsehood and Manipulation Act). Attraverso il POFMA, il governo ha potuto sopprimere sul nascere notizie inattendibili che circolavano online, come l’esaurimento delle mascherine o l’uso di violenza da parte della polizia. Ma come altri hanno fatto presto a notare, la soppressione non si è semplicemente fermata alle notizie considerate inattendibili, ma anche a quelle scomode, compresi articoli di accademici e professori. Non è un caso che l’indice di Singapore sulle libertà politiche e civili, annualmente aggiornato da Freedom House, sia infatti in decrescita costante: anche solo comparando il 2019 e il 2021, è stato rilevato un peggioramento dei diritti e delle libertà civili di tre punti su 60. Basta leggere lo stesso testo del POFMA per capirne il motivo: i ministri stessi hanno l’autorità di decidere modifiche e cancellazioni di notizie false, basate sul concetto di ‘minaccia all’interesse pubblico’, declinato in maniera piuttosto ampia. Se da una parte la legge sul controllo dei dati ha permesso al governo di mantenere la fiducia dell’opinione pubblica sulle politiche dell’esecutivo e di adottare, così, un rigido lockdown da aprile a giugno 2020, dall’altra parte ha ulteriormente assottigliato le già scarse libertà presenti nel piccolo stato singaporiano. La soppressione della libertà e un più rigido controllo dei social media è costata “solo” 50 decessi, ovvero cinque persone ogni milione di abitanti (in Italia siamo a quasi 2.000 per milione). 

In una situazione peggiore, sia socialmente che sanitariamente, si trova la Federazione russa, che risulta essere il quinto paese al mondo per numero di contagiati. “Secondo la vicepremier Tatyana Golikova, l’81% dell’incremento di morti nel 2020 è legato al Covid o alle sue conseguenze”, nonostante il governo abbia deciso di applicare parametri molto restrittivi nel classificare le vittime del Covid. A inizio pandemia, per molte settimane, Mosca aveva registrato un numero di decessi sensibilmente inferiore e un tasso minore di infezioni rispetto ad altri grandi Paesi, soprattutto considerato l’elevato numero di test effettuati. Mentre i contagi si stavano intensificando, le congetture rispetto alla veridicità delle notizie trasmesse non si sono fatte attendere, soprattutto in merito all’efficacia delle attrezzature per effettuare i test. Secondo il presidente russo Vladimir Putin, i dati per la maggior parte erano stati alterati dai governi esteri al fine di diffondere il panico tra la popolazione. Il Roskomnadzor – Servizio federale di vigilanza sulle comunicazioni, l’informatica e i mass media – ad esempio, aveva minacciato di rimuovere le licenze delle agenzie di stampa russe o di bloccare i loro siti web se avessero pubblicato fake news legate al coronavirus. Poco dopo, il Parlamento aveva anche approvato una legge che impone delle sanzioni rigorose a tutti i cittadini accusati di aver diffuso informazioni sulla malattia considerate dal governo non veritiere, con multe fino ai due milioni di rubli (circa 22.000 €) o pena detentiva di massimo cinque anni. Tra le varie misure adottate dal Paese, una delle più preoccupanti è stata la minaccia di controllare internet in maniera ancora più stringente e, se necessario, disconnettere il RuNet dal resto del mondo. Con il trascorrere dei mesi dall’inizio della pandemia, è risultato evidente che la situazione  russa fosse ben diversa da quella che i media nazionali volevano far credere.

Similmente alla Russia, anche in Ungheria, con la diffusione della pandemia, il parlamento aveva approvato una serie di misure per contenere e controllare il coronavirus, conferendo pieni poteri al primo ministro Viktor Orbán e autorizzandolo a governare per decreto, senza che fosse stabilita una clausola di caducità. Legge che è stata revocata dallo stesso parlamento nel giugno 2020. La legge prevedeva pene detentive fino a 5 anni per i cittadini che diffondevano intenzionalmente disinformazione con lo scopo di ostacolare o minare le politiche attuate dal governo in risposta alla situazione sanitaria del Paese. Il direttore ungherese di Amnesty International, Dávid Vig, ha specificato che la legge approvata dal parlamento, comunemente conosciuta come “legge coronavirus”, abbia conferito a Orbán carta bianca per limitare i diritti umani. Ciò  aveva particolarmente allarmato la popolazione che temeva potesse essere utilizzata per censurare le critiche alle autorità e quindi mettere in pericolo la libertà d’espressione. Inoltre, proprio come nel caso russo, la comunità internazionale è convinta che le autorità abbiano manipolato il numero dei contagi per dimostrare al resto del mondo di essere in grado di gestire l’emergenza. 

L’approvazione di questa legge aveva messo in allarme i partiti dell’opposizione, preoccupati che al termine della pandemia le misure adottate per combatterle nom venissero revocate, facendo sì che il Paese possa trasformarsi in un regime totalitario a tutti gli effetti. Il giornalista Pierre Haski  sostiene che: “Nonostante sia evidente che il coronavirus abbia reso necessarie delle misure eccezionali e delle limitazioni della libertà, i poteri di cui Orbán gode sono talmente vasti che l’opposizione, minoritaria, grida al “colpo di stato”, volgendo lo sguardo verso l’Europa”. I partiti dell’opposizione ungheresi hanno denunciato un’ondata di arresti di cittadini che presumibilmente avrebbero diffuso allarmismo sui social media riguardo la pandemia di coronavirus. Ad esempio, verso la metà di maggio, un membro del partito di opposizione Momentum, Akos Hadházi, è stato trattenuto e interrogato a causa di un post in cui criticava l’operato del governo. Egli è stato detenuto per varie ore con la scusa di aver ostacolato gli sforzi della maggioranza di combattere la malattia. István Ujhelyi, un politico dell’opposizione ungherese e membro del Parlamento Europeo, ha evidenziato come Orbán abbia sfruttato a suo favore la pandemia per minare la democrazia e continuare a costruire il suo stato illiberale, conservatore e sovranista e per intimidire i mezzi di comunicazione liberi.

La Repubblica popolare cinese, su tutt’altro piano, sta cercando di usare le notizie false a suo favore. Accusata dalla comunità internazionale di essere stata all’origine della pandemia, ora non solo vuole raccontare, sia ai suoi fedeli concittadini che al mondo intero, il successo delle sue politiche nel contrastare la pandemia, ma vuole anche distanziare le tesi che la vedono connessa all’origine della pandemia. Come raccontato dal Comitato per la protezione dei giornalisti, la Cina, al fine di portare avanti la narrazione governativa della pandemia, detiene il record del più alto numero di giornalisti arrestati durante quest’ultimo anno, spesso per report legati al Covid. Il governo cinese, da questo punto di vista, ha dato un esempio lampante di come, in situazioni di crisi, non abbia esitato a punire severamente chiunque diffondesse informazioni false. Le persecuzioni di questi “criminali” sono state regolarmente trasmesse al pubblico in modo da dare un esempio lampante della capacità di governo. Inoltre, la stessa popolazione e comunità locali sono state chiamate in causa dal governo centrale al fine di supportare la diffusione delle corrette informazioni passate dal partito. Il risultato di queste politiche draconiane, lockdown serrati e controlli diffusi è stato però una rapida decrescita della curva epidemica, fino ad arrivare a un totale di poco più di 100.000 casi totali in uno Paese di un miliardo e mezzo di persone.

Sull’altro lato della frontiera si trova poi l’India, il secondo Paese più abitato al mondo. Non solo il territorio indiano è ora colpito da una seconda e devastante ondata di casi di Coronavirus – ultima settimana di aprile più di 300.000 al giorno –  ma è anche dilaniato da una endemica diffusione di fake news. Infatti, numerosi siti indiani raccontano un gran numero di notizie false, principalmente su nuove cure, pettegolezzi di lockdown e teorie non provate sulle origini del virus. La disinformazione indiana ha un canale prediletto per diffondersi e si chiama WhatsApp. In un report di Al Jazeera, i giornalisti mostrano i vari messaggi diffusi sulla piattaforma sociale, riguardanti i motivi più differenti, e spesso con conseguenze anche catastrofiche. Inoltre, lo stesso governo di Narendra Modi non è stato all’altezza del compito di raccontare e comunicare il virus in maniera scientificamente rigorosa. Il costo di una politica di lassismo mediatico e dell’informazione è ricaduto sulle stesse persone, con quasi 200.000 vittime e dati che parlano di più di 2.000 morti ogni singolo giorno.

Altro caso simile a quello indiano è il Brasile di Jair Bolsonaro. Anche nel Paese sudamericano, i dati dei casi di Covid non sono per niente rassicuranti: si parla di più di 14 milioni di persone infettate e una curva dei contagi che fatica a scendere. Quello che forse ha aggravato ancora di più la situazione non sono state le fake news di per sé, ma la fonte autorevole delle stesse: il Presidente della repubblica brasiliana. Infatti, svariati post di Bolsonaro sono stati rimossi dai social media come YouTube, che ha eliminato dalla piattaforma almeno due video collegati all’account personale del presidente. Le uniche azioni per contrastare la diffusione del virus sono state adottate dagli stessi Stati federati: ad esempio lo stato Paraiba ha varato una legge che sanziona finanziariamente chi diffonde notizie false sul Coronavirus. Forse non è un caso allora che lo stesso stato federato di Paraiba sia stato anche uno dei cinque migliori per incidenza dei contagi di tutto il Brasile. Uno studio di Statista ha mostrato il numero di dichiarazioni non corrette che il presidente Bolsonaro ha espresso da gennaio 2020: solo nello scorso mese di marzo, le dichiarazioni sono state ben 138, più di 4 al giorno, con un picco di 160 nel giugno 2020. Quello che è peggio notare è come ci sia uno strano trend concordante, e forse pericoloso, tra le dichiarazioni false del presidente Bolsonaro e la stessa curva epidemica, in quanto proprio nei periodi di maggior incidenza e contagio della malattia, anche il numero di affermazioni non corrette del Presidente ha avuto una spinta al rialzo. Il resoconto dei morti però rimane tragico, e il Brasile si attiene a mantenersi al secondo posto nella triste corsa al numero di decessi dovuti al Coronavirus.

La disinformazione viene considerata uno dei fattori alla base dell’inadeguata risposta alla pandemia anche degli USA. Secondo il  Newsguard, programma che contrassegna le notizie con un’icona di colore verde oppure rosso, che permette agli utenti di riconoscere le fake news,  il 63% dei siti che hanno pubblicato fake news sulle elezioni negli Stati Uniti, hanno anche pubblicato false notizie sulla pandemia di coronavirus. Ad esempio molti siti appartenenti alla rete NaturalNews.com hanno rilasciato false  informazioni  sulla pandemia e su potenziali vaccini contro il COVID-19, e contemporaneamente hanno promosso teorie del complotto e false dichiarazioni  sull’esistenza di frodi elettorali. Oggi, gli Stati Uniti sono uno dei Paesi maggiormente colpiti dal virus con un tasso di mortalità molto elevato. La gestione disastrosa per contenere la diffusione del virus è considerata una delle cause che hanno portato Donald Trump a perdere le elezioni. L’ex presidente statunitense sin dall’inizio della pandemia ha adottato una strategia imprudente rispetto al Covid, virus che tra le altre cose lo ha portato in ospedale al culmine della campagna elettorale. Trump ha più volte fatto riferimento a teorie complottiste, diffuso fake news e minimizzato la situazione che stava vivendo il suo Paese. Dopo aver analizzato i risultati  delle votazioni dell’Associated Press,  prendendo in esame i tassi di contagio da Covid-19 nelle contee votanti, il Time ha potuto  constatare come il 3 novembre, il giorno delle elezioni, le contee che hanno votato per Trump hanno registrato un tasso collettivo di 38 nuove infezioni ogni 100.000 persone, rispetto ai 27 di quelle che hanno sostenuto Biden. Secondo Sarah Longwell, fondatrice di Republican Voters Against Trump (RVAT), Trump ha perso le elezioni a causa della sua “mancata connessione con gli elettori rispetto al coronavirus”.

Fake news: il labile confine tra reale e finzione 

Un caso del tutto singolare di gestione pandemica è stato quello svedese. La Svezia ha scelto l’atteggiamento meno limitante al mondo, cercando infatti di salvaguardare l’economia del Paese e affidandosi al cosiddetto “Swedish model” che si reggeva sul naturale distanziamento sociale messo in atto dalla popolazione. Promotore di questa approccio è stato Anders Tegnell, dal 2013 epidemiologo del Paese presso l’Agenzia di sanità Pubblica. Inizialmente questo modello si è presentato all’opinione pubblica come vincente: secondo i dati  elaborati dalla John Hopkins University, al 13 ottobre 2020, la Svezia è risultata il 12° Paese al mondo per tasso di mortalità da covid. La stampa mondiale ha inoltre encomiato il programma svedese, tanto da definirlo vincente rispetto ai programmi scelti da altre nazioni. 

Come detto all’inizio dell’articolo, le notizie (vere o false che siano) una volta diffuse, influenzano l’opinione della comunità internazionale. Durante le proteste anti-blocco americane nel maggio 2020 uno degli slogan utilizzati  era proprio “Be more like Sweden” e  diversi appartenenti al partito repubblicano americano avevano elogiato l’approccio svedese.  La percezione che si aveva, sembrava porre la Svezia in una posizione favorevole a livello mondiale. La realtà si è dimostrata essere ben diversa. Il tasso di mortalità pro capite della Svezia nell’ottobre 2020 era del 58.4 per 100.000 persone. Uno studio pubblicato dal Journal of the American Medical Association a fine 2020 ha evidenziato come Svezia e Stati Uniti siano stati  incapaci di far diminuire il tasso di mortalità in maniera rapida e significativa. 

Conclusione

L’espressione fake news si riferisce al traffico di notizie dal contenuto fuorviante e non veritiero. Da una parte, la libertà di espressione appare come massima realizzazione del diritto a manifestare senza vincoli il proprio pensiero. Non è un caso che proprio la libertà di stampa fu tra i primi diritti rivendicati nella lontana Rivoluzione francese e soprattutto durante la Primavera dei popoli del 1848. Dall’altro lato, però, i cittadini devono anche avere il diritto di accedere alla verità nelle diverse piattaforme, in nome del diritto alla sicurezza e alla salute. Ma quest’ultima necessità può essere realizzata, proprio per sua definizione, solo dal controllo delle informazioni e notizie diffuse dai vari enti e attori. All’interno di ogni paese, ogni governo ha risposto alla questione con modalità diverse e ha portato avanti scelte politiche ben precise, le quali hanno inevitabilmente richiesto un bilanciamento tra i diversi diritti umani. Il problema che si riscontra maggiormente è questo: è corretto rinunciare a una parte della nostra libertà d’espressione per tutelare la salute collettiva? Il confine tra reale e inganno è davvero labile. I leader politici e le varie agenzie specializzate hanno deciso di affrontare la pandemia Covid-19  in modo molto diverso. Il caso svedese dimostra come sia fondamentale analizzare i dati prima di giudicare l’operato di un governo: ogni Paese vive realtà molto differenti e non si possono applicare le stesse politiche a tutte le nazioni del mondo. Dopo questa breve riflessione e approfondimento, le domande, purtroppo, rimangono senza una risposta certa o assoluta: vale più la sicurezza e la salute o la libertà degli individui? 

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