Il 2 aprile si è celebrata la Giornata Mondiale contro le Fake News. Un evento recentemente inserito tra le ricorrenze globali, inevitabilmente legato allo sviluppo dei social media e della comunicazione di massa dell’ultimo decennio. Ma cosa è realmente fake in tempo di globalizzazione? Cosa è dis-informazione o manipolazione dei fatti? E cosa realmente può essere all’interno di un contesto politico “democratico liberale”?
Alcuni esempi più o meno recenti, dovrebbero aiutarci a comprendere meglio il dibattito innescatosi attorno alle scelte dei Governi di fronte ai principi di democrazia, libertà e gli spazi digitali su cui ognuno di noi quotidianamente vive. Uno su tutti, nel campo politologico, è stato e sarà il case study della comunicazione dell’ex-Presidente Donald Trump.
Come è noto, le esternazioni del tycoon hanno incitato i followers nei primi giorni di gennaio, durante l’insediamento del nuovo Congresso eletto. I successivi fatti hanno poi portato le più note piattaforme social a sospendere (inizialmente) e poi a bloccare definitivamente gli account presidenziali onde evitare, secondo le spiegazioni successivamente rilasciate, il rischio di nuovi “incitamenti alla commissione di reati” e la diffusione di ulteriori fake news riguardo le elezioni ormai archiviate sia a livello politico sia giuridico.
La decisione presa da Twitter, analogamente a quanto deciso da Facebook e da altre piattaforme social, ha scaturito un ampio dibattito all’interno dell’opinione pubblica circa la liceità delle azioni intraprese da un’azienda privata nei confronti di un Presidente americano uscente, così come della libertà di opinione in senso più generale. Una discussione che ha coinvolto tutte le principali istituzioni dell’Occidente (e non solo), specie in Europa, dove il tema della “censura” continua a sollecitare numerosi interrogativi, quasi sempre legati all’enorme potere esercitato dalle Big hi-tech Companies.
L’unanime condanna da parte dei “difensori” del freedom of speech (siano essi istituzionali, sia appartenenti al mondo politico o dei media) ha comunque prodotto una riflessione più “matura” riguardo la complessità della tematica. La palese mancanza di una base giuridica condivisa e chiara, che delinei diritti e responsabilità degli utenti e dei gestori delle piattaforme social, ha consentito il delinearsi di questo ampiamente prevedibile risultato. La non-capacità del legislatore, così come di chi opera nel mondo dell’informazione, di regolamentare le inevitabili derive comunicative generate dai social media, ora appare quasi insormontabile. Ma il potere “concesso” ai gestori delle piattaforme non può e non deve essere il facile capro espiatorio di chi evoca semplicisticamente il termine “censura”.
Questo, in ambito politico e della comunicazione, risulta maggiormente evidente nel momento in cui si confonde la libertà di poter esprimere la propria opinione con la responsabilità che si intende assumere pubblicamente nel rilasciare impunemente qualsiasi affermazione. Allo stesso modo, un legislatore attento non può non accorgersi distrattamente che mancano gli strumenti necessari per meglio regolamentare quegli “spazi digitali” popolati da milioni di persone, quando le piattaforme uniformano la mancanza di regole alle proprie esigenze di business.

Nella seconda metà dell’inverno dell’anno scorso era prevista un’imponente esercitazione della NATO (Defender 2020) sul continente europeo che prevedeva anche un grosso dispiegamento di truppe statunitensi nella Polonia orientale. Tale evento, programmato fin dall’autunno precedente e ampiamente pubblicizzato dalla stampa di settore, ha poi identificato il suo principale “avversario” nella fase più acuta della pandemia di Covid-19 sull’intero continente europeo.
Nella prima fase del dispiegamento delle truppe statunitensi, molti Paesi europei cominciavano a registrare i primi focolai sul proprio territorio, nessun lockdown ancora introdotto, ma un chiaro dato di contagi in ascesa. Contemporaneamente e “magicamente” si sono cominciate a registrare delle anomale attività sul web (a livello di contenuti testuali e video) circa le possibili dietrologie di una grossa esercitazione militare NATO e l’esplosione del virus sul Vecchio Continente. Addirittura, diversi youtubers e noti canali mediatici hanno ipotizzato che gli Stati Uniti stessero approfittando della situazione pandemica per sfidare apertamente la Russia presso i suoi confini occidentali.
Un proliferare di contenuti sottilmente preconfezionati, utili per provare ad erodere il consenso verso l’Alleanza Transatlantica ed i rapporti tra Stati Uniti e la stessa Europa. La lista di possibili “mandanti” non risulta particolarmente difficile da individuare, ma occorre sottolineare come il contesto digitale delle informazioni sia diventato un’arma di “distrazione di massa” notevole nelle mani di una precisa e decisa volontà politica.
La globalizzazione e la capillarità delle comunicazioni odierne possono penetrare le coscienze e le conoscenze dei cittadini “meno accorti” di uno Stato e costruire un “fronte interno” capace politicamente di contrastare ogni azione contraria all’avversario. Probabilmente, a questo punto, potrebbe essere sensato lo studio di una legislazione europea comune che ponga delle risorse per il monitoraggio ed il tracciamento di determinati messaggi palesemente orchestrati per creare discredito e divisione.

Spostando il nostro focus dalle Democrazie liberali occidentali, un altro buon esempio su cui andrebbe posta maggiore attenzione e capacità di analisi è la Corea del Nord. Durante i mesi di aprile e maggio 2020, fase ancora acuta della “prima ondata” pandemica in tutto il Mondo, si era diffusa la notizia della presunta morte del Supremo Leader. Infatti, una testata di informazione sudcoreana aveva “rivelato” che Kim Jong-un non aveva partecipato alla cerimonia commemorativa del nonno, momento celebrativo del Partito che mai aveva mancato di seguire.
La notizia, rivelatasi poi palesemente falsa, partiva dalla studiata speculazione circa le condizioni di salute del Dittatore nordcoreano, non particolarmente soddisfacenti da un punto di vista clinico, anche solo rifacendosi alle rare immagini provenienti dallo “Stato eremita” asiatico. In questo caso, il messaggio aveva fatto il giro del mondo, soprattutto in Occidente, ottenendo uno spropositato risalto in tutti quei mass media attenti a lanciare per primi nell’etere la conferma del decesso prematuro del Dittatore.
Una semplice verifica della veridicità del fatto sarebbe potuta avvenire se non stessimo parlando della Corea del Nord. Ma ciò non è così agevole come possiamo facilmente intuire, visto lo Stato in questione. Una disamina della “fonte” invece lo poteva essere. Ci si è realmente occupati di questo? Gli eventi successivi hanno risposto negativamente a questa domanda.
Di conseguenza, siamo di fronte ad una situazione in cui la “libertà di stampa”, pilastro fondamentale di ogni Nazione che si professa democratica, ha prodotto una distorsione della realtà fattuale, quando non addirittura una precisa manipolazione dell’evento nel momento in cui la fonte è secretata e l’eventuale smentita non facilmente ottenuta. In questo caso, si potrebbe parlare di “eccesso di libertà” che permette di dis-informare senza dover giustificare il proprio operato, oppure solo di un errore o svista di un’agenzia di stampa sudcoreana? Non sarà forse qualche cosa di più che dovremmo temere nel futuro globalizzato?
L’episodio di Capitol Hill (preceduto dagli anni di sovraesposizione mediatica dell’ex-“uomo più potente della Terra”), le decisioni prese dai più potenti amministratori del “mondo digital”, così come l’utilizzo quotidiano “sbagliato” (se non illegale) dello strumento social media da parte di tutti noi, contribuiranno sempre più a sgretolare altri due termini che comunemente associamo alla parola libertà: rispetto del pensiero altrui e responsabilità delle proprie affermazioni. Inoltre, si è nuovamente riproposto con forza dirompente il tema del “controllo dei controllori”, un elemento dai risvolti giuridici, politici e sociali molto complessi, ma di vitale importanza che dovrebbe essere finalmente affrontato, analizzato, discusso nelle sedi opportune e su cui occorrerebbe legiferare in modo ponderato, soprattutto in modalità predittiva.
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