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Le banche centrali riconsiderano la valuta digitale e ne accelerano il processo di adozione

mmbyValeria Pietrobono
Aprile 23, 2021
in Economia e Finanza
Reading Time: 7 mins read
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Le banche centrali riconsiderano la valuta digitale e ne accelerano il processo di adozione

Seppur diversi tra loro, baratto e compravendita si basano sullo scambio fisico e visibile di un bene o servizio e la sua contropartita. Tale caratteristica, tuttavia, è stata persa dal 1950 con la nascita delle prime carte di credito, con le quali il consumatore ha iniziato ad avere l’impressione di poter acquistare senza offrire materialmente qualcosa in cambio. Negli anni la praticità di questo strumento di pagamento ne ha permesso una rapida diffusione, senza però mai diventare la prima forma di compenso prescelta. Basta infatti pensare che, nel 2019, ancora il 73% delle operazioni contabili effettuate dagli adulti dell’area euro avveniva tramite contanti.

La proliferazione del covid-19 ha giocato un ruolo chiave nell’inversione di questa tendenza. Al fine di ridurre le transazioni materiali tra individui, i governi hanno attuato fin da subito politiche volte ad incentivare il ricorso a pagamenti digitali. È su questa linea di pensiero che la Banca Centrale del Kenya ha annunciato la rinuncia a tutte le commissioni bancarie per i trasferimenti finanziari effettuati tramite mobile banking. Oltre a questo, il servizio di trasferimento di denaro mobile più popolare in Africa Orientale, Safaricom, ha reso gratuite, per un periodo di 90 giorni, tutte le transazioni da utente a utente sotto KSh1000 (circa €7,85) e ha aumentato il limite di transazioni giornaliere per le PMI da KSh70.000 (€ 549) a KSh150.000 (€ 1178). Importanti novità in materia sono state introdotte anche dallo scorso governo italiano. Ad inizio anno è stato lanciato il cashback, una misura inserita nell’ambito del “Piano Italia cashless” pensato per disincentivare l’uso del contante, tramite l’erogazione di rimborsi statali a quei cittadini che scelgono di pagare tramite carta o dispositivi mobili. 

La pandemia di Covid-19 ha pertanto messo in luce la funzionalità e l’imprescindibilità dell’innovazione finanziaria in futuro, tanto da spingere molte banche centrali a rivalutare l’idea di adottare proprie valute digitali. Una proposta di cui si era già iniziato a parlare nel 2019, poco dopo l’annuncio del fondatore di Facebook di voler immettere una propria valuta digitale privata sul mercato, denominata Libra, facente parte di una particolare categoria di cripto-valute chiamata stablecoin, la cui caratteristica è di avere un prezzo stabile perché vincolato a un mezzo di scambio stabile. Di fronte all’idea che il valore della Libra potesse ridurre il divario esistente tra valuta legale e valuta virtuale, favorendole nel processo di riconoscimento come moneta, le banche centrali hanno iniziato a muovere i primi passi verso la moneta digitale per paura di perdere il controllo sulla politica monetaria. Infatti, tralasciando il caso del Venezuela, che già nel 2018 ha emesso una valuta virtuale sovrana, il petro, tutti gli altri paesi ne erano invece sprovvisti.

Fu così che la Cina, che fin dal 2014 lavorava al suo programma di yuan digitali, solo nel 2019 ha avviato le prime sperimentazioni nelle città di Shenzhen, Suzhou, Xiong’an e Chengdu. Da allora, la People Bank’s of China ha emesso circa ¥10 milioni, corrispondenti a quasi €13 milioni, regalando in maniera casuale “buste rosse” virtuali contenenti ciascuna duecento yuan digitali. Finora i Digital Currency Electronic Payments possono essere utilizzati soltanto in determinati negozi e uffici di servizio del governo per pagare bollette, cibo da asporto, trasporti e shopping. Ciò nonostante, la Cina prevede di accelerare i programmi per la propria valuta digitale al fine di favorire l’internalizzazione della propria moneta a corso legale ed eliminare il processo di conversione di valuta avviato automaticamente al completamento di un acquisto transnazionale.

Nell’ottobre 2020, la Banca Centrale delle Bahamas ha lanciato la prima Central Bank Digital Currency (CBDC) nazionale, il “Dollaro di Sabbia”, allo scopo di beneficiare di un minor costo sulla logistica digitale rispetto a quello necessario per la gestione del contante convenzionale. Una scelta che, vista la struttura e la collocazione geografica del territorio ed anche la sua forte esposizione a catastrofi naturali, si rivela idonea ad assicurare una maggiore resilienza finanziaria.

Anche l’Unione Europea si è mostrata aperta a questa prospettiva, tanto che la Presidente della BCE, Christine Lagarde, ha affermato “i cittadini europei stanno ricorrendo sempre di più alla tecnologia digitale nei loro comportamenti di spesa, risparmio e investimento. Il nostro ruolo è mantenere la fiducia nella moneta, assicurando anche che l’euro sia pronto ad affrontare l’era digitale. Dovremmo essere preparati all’emissione di un euro digitale qualora ce ne fosse bisogno”. Per verificare la disponibilità dei cittadini e dei professionisti a sostenere un euro digitale, la Commissione Europea ha avviato lo scorso ottobre una consultazione pubblica che si è conclusa con la valutazione da parte del Comitato Esecutivo della BCE sull’eventuale avvio di una successiva fase di indagine o sperimentazione. Una risposta a riguardo verrà fornita entro la fine del secondo semestre e, se positiva, necessiterà di un periodo di due anni. A tal proposito Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della BCE, stima che l’inizio della distribuzione dell’Euro digitale avverrà tra 5 anni.

Il 2021 e gli anni immediatamente successivi permetteranno lo sviluppo e la distribuzione dei CBDC a livello mondiale, che pian piano andranno ad affiancarsi ai vecchi contanti. La Banca dei Regolamenti Internazionali – che si occupa di promuovere la cooperazione monetaria e finanziaria e di fornire servizi di gestione delle riserve in valuta alle banche centrali sue azioniste – ha definito queste nuove valute come “una forma digitale di moneta della banca centrale che è diversa dai saldi nei tradizionali conti di riserva o di regolamento“, rimarcando la futura coesistenza tra questi nuovi strumenti, i contanti e i depositi bancari. Seppur dotati di natura digitale, sarebbe però errato equipararli alle cripto-valute poiché, a differenza di queste ultime, verrebbero emessi da autorità pubbliche centrali in genere poco propense a garantire l’anonimato delle transazioni. I CBDC perderebbero quindi una caratteristica importante racchiusa invece nel contante e nelle cryptocurrencies, sollevando tra l’altro dubbi relativi alla privacy delle transazioni, un diritto fondamentale delle società libere. D’altro lato va però ricordato, come già detto in precedenza, che la diffusione di questi strumenti non solo andrebbe ad eliminare le spese attinenti alla stampa, al mantenimento e allo stoccaggio della moneta ma potrebbe anche accelerare i pagamenti nazionali e transfrontalieri e ridurre i costi delle transazioni abolendo le commissioni interbancarie per i pagamenti in contanti digitali.

Dinanzi all’ipotesi di un mondo senza contanti – nonostante ciò che già avviene in Cina, e nonostante il Boston Consulting Group abbia rivelato che una delle più importanti banche del Nord America spende all’incirca $5 miliardi all’anno solamente per elaborare i contanti, controllare le transazioni ed effettuare la manutenzione degli sportelli automatici – il Consiglio europeo nel 2019 aveva affermato “il contante è universale, diffuso e non tracciabile, il che dà alle persone un senso di sicurezza. Il non disporre di contante può portare di contro a sentirsi vulnerabili, soprattutto durante una crisi. Quindi, il sogno di una società senza contanti non sembra molto fattibile al momento”.

Resta da chiedersi se a distanza di due lunghi anni caratterizzati dalla pandemia di Covid-19 questa affermazione sia ancora valida.

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Tags: cashbackcashlesscontanticriptovaluteECONOMIAUnione Europeavaluta digitale
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