A un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19, la Papua Nuova Guinea (PNG) si trova a dover affrontare un virus altrettanto insidioso: la disinformazione. Il dilagare delle fake news sembrerebbe compromettere il piano vaccinale dell’isola, gravando su un già debole sistema sanitario. La vicenda papuana si è inserita inoltre nel contesto internazionale della corsa ai vaccini, con la richiesta australiana di un milione di dosi di AstraZeneca da destinare alla PNG, inibita dal “no” di Mario Draghi.
A marzo 2020 la consapevolezza circa le carenze del sistema sanitario della PNG aveva allarmato il personale ospedaliero, che temeva di non essere in grado di gestire l’emergenza qualora si fosse presentata. In Papua si contano infatti solo 500 medici e 5000 letti di ospedale per quasi 9 milioni di abitanti. Le difficoltà nel reperire disinfettanti e medicinali di ogni genere sono significative, mentre la lotta contro altre malattie come la malaria, la tubercolosi o la poliomielite è ancora del tutto aperta. Oggi “la crisi sanitaria in Papua ha raggiunto il livello che temevamo un anno fa, all’insorgere dei primi casi”, ha detto Kate Schuetze, ricercatrice per il Pacifico di Amnesty International. I contagi sono passati da zero a giugno 2020 ad oltre 6000 a inizio aprile, anche se è probabile che le cifre reali siano più elevate. Inoltre, delle 60 morti totali dall’inizio della pandemia, 50 si sono verificate a partire da metà febbraio di quest’anno, con una percentuale record di pazienti sintomatici risultati positivi (70%).

Nel tentativo di spiegare un aumento così significativo dei contagi, sono state avanzate diverse ipotesi. Da un lato, essendo quella papuana una popolazione molto giovane, il virus potrebbe essere stato in circolo fin dal principio, manifestandosi in forma perlopiù asintomatica, come confermerebbero i dati dello scorso settembre. D’altro canto, una forma di apatia generalizzata in merito al rispetto delle norme anti Covid-19 potrebbe aver contribuito all’aggravarsi della situazione. L’ipotesi più accreditata dai media, tuttavia, individua nella disinformazione dilagante – in merito alla natura del virus in sé e all’efficacia del vaccino – la principale colpevole.
Il tema delle fake news non è nuovo in PNG. Nel 2018 il governo dell’isola aveva bloccato l’uso di Facebook per un mese al fine di analizzare gli effetti dei profili falsi – fonte di materiale pornografico e disinformazione – sui papuani. Lo stesso social network oggi ha avuto un ruolo importante nella diffusione di fake news relative al coronavirus e al vaccino. Ed è proprio sfruttando la popolarità di Facebook in PNG che Glen Mola, professore di Ginecologia e Ostetricia presso la Scuola di Medicina e Scienze della Salute all’Università della Papua Nuova Guinea, ha provato a sfatare alcuni falsi miti sulla pandemia. Il 20 marzo scriveva che “il Covid-19 è una pandemia globale reale”, dicendosi preoccupato del potere che le fake news possono esercitare nella realtà. Continuava poi smentendo le notizie sull’efficacia dei rimedi casalinghi e sulla creazione artificiale del virus, che avrebbe portato molti papuani a considerare la chiusura del Paese agli stranieri come l’unica soluzione praticabile contro la diffusione del Covid-19. Analogamente, sul fronte dei vaccini, la produzione di notizie infondate non ha mancato di creatività. Le voci di chi crede che i vaccini siano inefficaci – o addirittura pericolosi – si sommano a quelle che denunciano esperimenti di massa e piani di genocidio ai danni della popolazione della PNG. In aggiunta, data la diffusione del cristianesimo sull’isola, sono in molti a considerare la fede una garanzia sufficiente contro il virus e a temere il vaccino in quanto marchio del diavolo.
A prescindere dalla sua origine, i danni della disinformazione sulla lotta al virus sono già visibili: secondo alcuni studi condotti di recente, il 10% della popolazione in PNG rifiuta di vaccinarsi, mentre tra gli operatori sanitari ben uno su quattro si dichiara scettico sul vaccino. Il governo dell’isola è consapevole della pericolosità di questo fenomeno e per questo si è già detto pronto a bloccare Facebook, definito di recente da Jelta Wong, ministro della Sanità in Papua, come “la nostra più grande piattaforma di teorie del complotto”. Quest’ultimo avrebbe anche intimato alla piattaforma social di assumersi la responsabilità delle informazioni che circolano al suo interno. Intanto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità contribuisce alla lotta contro le fake news diffondendo alcuni video di sensibilizzazione dell’opinione pubblica; mentre i leader politici – con lo stesso fine – pubblicizzano le loro vaccinazioni.

Sebbene la disinformazione costituisca un limite significativo all’implementazione di un efficace piano vaccinale in PNG, la via di uscita dalla pandemia è ulteriormente ostacolata dalla competizione internazionale per l’accaparramento dei vaccini.
Di fronte all’esplosione di contagi in Papua e a un corrispondente aumento dei positivi al Covid-19 nel vicino stato australiano del Queensland, Jon Philp, l’Alto Commissario dell’Australia in PNG, ha dichiarato che “proteggere la PNG significa anche proteggere l’Australia”. Per questo motivo sono già state inviate dall’Australia 8000 dosi di vaccino sull’isola – insieme a dispositivi medici e di protezione individuale.
La richiesta australiana all’UE di un altro milione di dosi AstraZeneca da destinare esclusivamente alla PNG è stata però respinta da Mario Draghi che, mettendo in pratica un meccanismo di controllo degli export già previsto dal regolamento dell’UE, ha bloccato l’invio di 250 mila dosi giustificandosi con i ritardi nella produzione, nonché con la violazione dei contratti di fornitura da parte di AstraZeneca. Altre dosi di vaccino sono attese dalla Cina (200.000) e dall’India (70.000), dove al momento si è verificata un’analoga contrazione degli export di AstraZeneca per far fronte alle esigenze nazionali. Quasi 600.000 dosi spetterebbero inoltre alla PNG in quanto membro del programma COVAX. Purtroppo, ulteriori ritardi nella consegna di questi vaccini sono attesi a causa dei rallentamenti nella produzione.

La vicenda papuana ci insegna che quello della disinformazione è un virus la cui contagiosità non va sottovalutata. In Italia il dibattito sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini si sta sviluppando in modalità analoghe, con conseguenze ridotte su scala nazionale ma altrettanto gravi. Basti pensare ai focolai scoppiati negli ospedali a causa della mancata immunizzazione del personale sanitario. Oltre alla volontà o meno di sottoporsi alla vaccinazione, però, si pone una questione ancora più complessa: il vaccino talvolta viene utilizzato come uno strumento di esercizio della politica estera. In questo contesto, le logiche del cosiddetto “sovranismo vaccinale” rischierebbero di gravare ancora una volta sugli Stati più vulnerabili, come la PNG. È bene ricordare, dunque, che il raggiungimento di un’immunizzazione globale al Covid-19 non è da intendersi come un ideale slancio di solidarietà, quanto più come l’unica strada percorribile verso il ritorno a una sorta di normalità.
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