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Difficili rapporti di vicinato: il caso delle relazioni tra Somalia e Kenya

Laura SchellabyLaura Schella
Marzo 30, 2021
in Africa Subsahariana
Reading Time: 7min read
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Difficili rapporti di vicinato: il caso delle relazioni tra Somalia e Kenya

Lunedì 15 marzo si è tenuta la prima seduta della Corte Internazionale di Giustizia sulla controversia tra Somalia e Kenya riguardante alcuni confini marittimi contesi. 

A causa della pandemia, la seduta si è svolta online e ha visto la partecipazione della sola delegazione dello Stato Somalo, dal momento che la delegazione di Nairobi non ha preso parte, adducendo come motivazione la mancanza di volontà da parte della Corte di venire incontro alle richieste keniote di rimandare la seduta a causa della pandemia di Covid-19, come riportato in alcuni giornali locali. L’atteggiamento del Kenya non è stato ben accolto dalla controparte e non ha fatto altro che surriscaldare un clima già acceso. 

Anche se le tempistiche saranno probabilmente piuttosto lunghe, il verdetto della Corte potrebbe rivelarsi decisivo per i rapporti diplomatici tra i due Paesi. 

La storia tra Kenya e Somalia è nota per essere travagliata e complessa, caratterizzata da periodi di instabilità e debolezza economica. Entrambi i Paesi hanno conosciuto l’occupazione coloniale inglese – la Somalia anche quella delle truppe italiane – e hanno ottenuto l’indipendenza solo negli anni ‘60 del Novecento, rispettivamente nel 1963 e nel 1960. Tuttavia, come è accaduto in tanti altri casi, l’indipendenza non ha risolto alcune problematiche interne, causa di periodiche fasi di tensione.

La prima ragione per cui storicamente Somalia e Kenya sono legate riguarda i confini terrestri che, come tristemente noto in tutto il continente africano, furono tracciati dalle potenze coloniali senza tenere conto della distribuzione delle varie etnie sul territorio. Per questa ragione, al momento dell’indipendenza nel 1963, il Kenya aveva, in una delle sue province nordorientali, una consistente percentuale di popolazione somala. Infatti, la provincia in questione, all’epoca nota come North Frontier District, era stata aggiunta al territorio keniota dalla Gran Bretagna sottraendola alla regione dello Jubaland (attuale Somalia) alla quale in origine apparteneva. 

Con l’avvicinarsi dell’indipendenza, gli inglesi sembravano sostenere l’ipotesi dell’unificazione del North Frontier District con lo Stato della Somalia, ma nel 1963 era ormai ben chiaro che il nuovo governo del Kenya non avrebbe rinunciato al controllo di questa provincia. A sole poche settimane dall’indipendenza iniziò quella che è nota come Guerra Shifta, tra il governo di Nairobi e le forze del partito Northern Province Progressive Peoples Party, che, di fatto, rappresentava la popolazione somala del North Frontier District. Il governo somalo prese le parti delle forze secessioniste, sperando nella realizzazione dell’ambizioso progetto di creazione di una “Grande Somalia” che unisse tutti gli individui di etnia somala. 

Non essendosi realizzato questo progetto secessionista, ancora oggi la presenza di cittadini somali in territorio keniota è elevata; in realtà, rispetto al passato, risulta essere addirittura accresciuta, visto il numero di rifugiati somali che si sono diretti verso il Kenya per fuggire alle violenze della guerra civile. 

Alle dispute sui confini territoriali si sono aggiunte, negli ultimi anni, quelle sui confini marittimi. L’area contesa è di circa 100 mila metri quadrati ed è rilevante per l’economia locale legata alla pesca. I due Stati sono in disaccordo sulla direzione della linea di demarcazione delle acque territoriali verso l’Oceano Indiano. Secondo la Somalia il confine marittimo dovrebbe seguire la stessa direzione di quello terrestre, mentre il Kenya sostiene che dal confine terrestre quello marittimo dovrebbe formare un angolo di 45 gradi e proseguire orizzontalmente. In questo modo il Kenya guadagnerebbe una considerabile parte in più di mare territoriale. 

Questa area marittima, tuttavia, non è importante solo per la pesca locale, ma soprattutto perché si ritiene che nel sottosuolo siano presenti rilevanti giacimenti petroliferi.  Secondo esplorazioni condotte da due compagnie britanniche, la Soma Oil & Gas e la Spectrum Geo, le riserve potrebbero fruttare fino a 100 miliardi di barili. Il governo del Kenya, fino ad ora, ha sostanzialmente ignorato la disputa e ha concesso licenze di sfruttamento a diverse compagnie straniere proprio nell’area di mare oggetto della contesa. Quando la controparte somala tentò di fare la stessa cosa con una compagnia norvegese in un incontro tenutosi a Londra il 7 febbraio del 2019, la reazione da parte del governo di Nairobi fu molto dura. Nelle dichiarazioni rilasciate all’epoca i rappresentanti dello Stato keniota avrebbero velatamente minacciato di usare come “arma di ricatto” le centinaia di migliaia di rifugiati e richiedenti asilo provenienti dalla Somalia. Dall’altra parte, Mogadiscio dichiarò che non avrebbe concluso nessun tipo di accordo con aziende straniere fino a quando la controversia non sarebbe stata risolta. 

La questione è quindi giunta tra le mani della Corte Internazionale di Giustizia: la Corte venne adita dalla Somalia nel 2014 e, nel 2019, rifiutò l’argomentazione del Kenya secondo la quale la Corte non era competente e la disputa si sarebbe dovuta risolvere tra i due Paesi in modo indipendente. Inoltre, la Corte, sotto concessione delle richieste della controparte keniota, ha rimandato la seduta di ben tre volte negli ultimi due anni, stabilendo come data finale il 15 marzo 2021. 

Un ultimo elemento da considerare nelle relazioni tra Somalia e Kenya è la partecipazione di un consistente numero di truppe keniote nella Missione dell’Unione Africana in Somalia (AMISOM) che ha come scopo quello di combattere le organizzazioni terroristiche locali, in primo luogo Al Shabaab, e di aiutare il governo somalo a rafforzare il proprio ruolo e riprendere il controllo del Paese. In diverse occasioni negli ultimi anni Nairobi ha fatto intendere che sarebbe disposta a ritirare le sue truppe se i rapporti con la Somalia diventassero troppo tesi. Chiaramente, questa decisione avrebbe un impatto negativo non solo sulla stabilità della Somalia, ma anche sulla regione del Corno d’Africa in generale.  

Le tensioni tra Somalia e Kenya sono cresciute negli ultimi mesi anche a causa di episodi minori: nel mese di dicembre 2020 Nairobi ha accolto il Presidente del Somaliland, una regione secessionista della Somalia, scarsamente riconosciuta a livello internazionale. Inoltre, nello stesso mese, la Somalia ha accusato il Kenya di indebita ingerenza negli affari interni del Paese, specificatamente nel processo elettorale della regione del Jubbaland. Poco prima delle elezioni generali in Somalia, le autorità di Mogadiscio hanno espulso i diplomatici  kenioti e ritirato l’ambasciatore di stanza a Nairobi.  

In conclusione, Kenya e Somalia hanno ancora un lungo percorso da seguire prima di riuscire a creare “rapporti di vicinato” distesi e pienamente proficui per entrambe le parti. In vista di questo obiettivo, i due Stati dovrebbero lavorare su problematiche di sicurezza, come la lotta al terrorismo, e opportunità economiche condivise, come i flussi di manodopera e il commercio di qat, una pianta utilizzata come droga in alcuni stati africani.


La collaborazione tra questi due paesi sarebbe un passo decisivo per il Corno d’Africa. Attraverso la creazione di solidi legami diplomatici, infatti, questi due paesi potranno contribuire in modo significativo alla messa in sicurezza e alla stabilità politica della regione.

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Laura Schella

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Appassionata di storia e relazioni internazionali, studia Global studies and International Relations all'Università di Macerata.
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Tags: cigconfinidisputakenyamogadiscionairobirapportisomalia
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