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Carestia e food insecurity in Yemen: una crisi complessa e multiforme

mmbySimone Innico
Marzo 9, 2021
in Medio Oriente e Nord Africa
Reading Time: 10min read
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Carestia e food insecurity in Yemen: una crisi complessa e multiforme

A dieci anni dall’inizio delle Primavere Arabe, che hanno così profondamente trasformato gli equilibri sociali e politici della regione, molteplici crisi umanitarie gravano sulla vita di milioni di cittadini in Yemen. Prima fra tutte quella legata al conflitto armato, una realtà consolidata e permanente: proprio l’intensa partecipazione popolare del primo periodo rivoluzionario, e le speranze di transizione democratica, hanno aperto una stagione di instabilità sfociata nella deposizione del presidente Ali Abdullah Saleh e lo scoppio di una decennale guerra civile. 

Dal 2015, lo scontro senza quartiere ha già prodotto cifre terribili quali 18.557 vittime civili e oltre 3.5 milioni di profughi tra espatriati, in paesi limitrofi o altrove, e sfollati interni (che vanno a sommarsi ai 250.000 di rifugiati esteri accolti in Yemen, in maggior parte somali fuggiti attraverso lo stretto Bab el-Mandeb). La cifra suggerita dal Global Conflict Tracker del think tank statunitense Council on Foreign Relations si aggira intorno ai 100.000 morti dall’inizio dello scontro armato.

Tale escalation – che prende forma dalla storica e mai del tutto risolta divisione tra nord e sud dello Stato arabo – è ora senz’altro alimentata dalle ingerenze egemoniche delle potenze regionali, e in particolare dal sostegno economico-militare di Arabia Saudita e Iran. La situazione a fine 2020 vedeva ancora una molteplice frattura del territorio nazionale, con la “fazione ribelle” Houthi – altrimenti nota come movimento Ansar Allah, i “partigiani di Dio”– con il controllo dei governatorati dello Yemen centrale e settentrionale, il gruppo secessionista Consiglio di Transizione del Sud nelle aree di Aden e Socotra (con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti), e il governo sostenuto dalla coalizione internazionale limitato alle regioni meridionali e orientali del paese.

Lungi dall’avvicinarsi a una attenuazione, la guerra civile è ancora e tuttora decisamente attiva. Da ultimo, nel febbraio 2021, la fazione Houthi ha lanciato una massiccia offensiva contro le truppe della coalizione di governo nel governatorato di Ma’rib. Se lo scontro armato dovesse spostarsi verso il centro abitato, avverte l’OCHA – Ufficio ONU per gli Affari Umanitari -, decine di migliaia di famiglie si troverebbero costrette a sfollare nella regione limitrofa del Hadramawt, dove la provvisione di aiuti umanitari è decisamente limitata.

Ovviamente, anche in Yemen, la pandemia da coronavirus ha comportato pesanti restrizioni al movimento, dunque rallentamento del lavoro e del mercato, sia domestico sia dell’import/export, con conseguente sofferenza economica per produttori e consumatori. Inoltre, la crisi del prezzo del petrolio per lo Yemen, che da tale mercato dipenderebbe per 85% delle esportazioni, si è tradotta nel 2020 in un’inflazione rampante e di complessa gestione, e dunque al crollo della valuta nazionale, il riyal.

In un paese in cui il 90% degli alimenti dipende dall’importazione da mercati esteri, tale recessione ha abbattuto la capacità d’acquisto e limitato l’accesso ai servizi essenziali per le classi a reddito medio e basso, facendo inevitabilmente sprofondare una larga fascia della popolazione sotto la soglia di povertà estrema. 

Infine, la severa instabilità socio-politica e lo sfollamento forzato in seguito al conflitto, hanno esposto una vasta fascia della popolazione alle avversità climatiche stagionali e occasionali, quali piogge torrenziali, inondazioni e cicloni. Solo tra luglio e agosto 2020, ad esempio, secondo un report OCHA Humanitarian Programme Cycle (cf. HPC, p.90), oltre 62.500 famiglie hanno sofferto perdite e distruzione di abitazioni in seguito ad eventi climatici nei governatorati di Marib, Hajjah, Al Hodeidah e Aden. Secondo quanto stimato dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), ad oggi, circa 24,8 dei 31 milioni di abitanti dello Yemen (80%) si trova in necessità di intervento umanitario e, inoltre, con allarmante urgenza, di azione internazionale per contrastare una crescente crisi alimentare. 

In vari momenti durante il 2020, i media internazionali hanno spesso sottolineato  l’intrascurabile allarme carestia in Yemen. Questa non è tuttavia una circostanza inedita. Già nel 2018, Médecins sans Frontières (MsF) aveva sollevato l’allarme per la popolazione yemenita a rischio di carestia, ovvero “una situazione in cui l’accesso a, o la disponibilità di, cibo è severamente ridotta” e in cui intere famiglie vivono in situazioni di “completa indigenza e dipendenza” dagli aiuti umanitari, spesso costrette a ricorrere a “strategie di sopravvivenza” quali migrazioni forzate. 

La definizione operativa di carestia stabilita dall’ONU, e largamente adottata dalle organizzazioni internazionali si basa sulla presenza congiunta di tre elementi: 1. “una carenza alimentare che colpisce il 20% delle famiglie”, 2. “un tasso di malnutrizione acuta nella popolazione infantile per una percentuale superiore al 30%”, e 3. “un tasso di mortalità adulta superiore alla soglia di allerta”, ovvero 2 decessi giornalieri ogni 10.000 abitanti. Nonostante la “ristrettezza” della definizione, si stima che circa 47.000 persone si trovino attualmente in condizioni di grave mancanza o scarsità di accesso all’alimentazione, come diretto risultato dell’interconnessione di conflitto, pandemia e recessione. Secondo Save the Children, la “lenta strage” dell’insicurezza alimentare, nella popolazione infantile in Yemen, avrebbe già raggiunto gli 85.000 morti per inedia. 

In un articolo di commento per The New Humanitarian, un gruppo di esperti internazionali – ricercatori e nutrizionisti, membri del Famine Review Committee –  avverte che dietro l’uso spesso riduttivo e sensazionalistico del termine “carestia” si cela una complessa e multiforme realtà. La scala di analisi della food insecurity stabilita dal sistema IPC (Integrated Food Security Phase Classification) – che include cinque “fasi” nel calcolo del rischio alimentare in una determinata area abitata – deve essere intesa solo come uno strumento di misura a livello macroscopico e, soprattutto, in un’analisi informata non solo dall’osservazione qualitativa delle condizioni di vita, ma dalla vera e propria misura della sopravvivenza – o del tasso di mortalità – di una popolazione. Segnatamente, rappresentazioni mediatiche e dichiarazioni pubbliche di decisori politici internazionali, oltre che delle organizzazioni umanitarie, sono solite fare della parola “carestia” un semplice “campanello d’allarme” con forte carico emotivo. Ma, laddove la carestia, rilevata dall’IPC come “catastrofe” (fase 5), implica una severa minaccia alla vita in termini di fame e malnutrizione sistemiche, i due stadi preliminari – cosiddette “crisi” (fase 3) ed “emergenza” (fase 4) – rilevano altrettante situazioni di elevata esposizione e instabilità del sistema di approvvigionamento.

La già grave complessità della situazione in Yemen assume di fatto dimensioni critiche – se non proprio catastrofiche. Prendendo in considerazione l’osservazione espansa del rischio alimentare in Yemen, la cifra della popolazione in condizione di carestia va dunque a sommarsi agli oltre 16 milioni di yemeniti, uomini e donne, che complessivamente si ritrovano negli stadi più gravi di insicurezza alimentare. Inoltre, se la raccolta di dati affidabili e rilevanti per le analisi degli osservatori internazionali è inficiata dall’instabilità della situazione, altrettanto è forse ancor più rilevante per il concreto intervento e dispiegamento di risorse, materiali e logistiche, da parte delle organizzazioni internazionali. Nel caso dello Yemen, a compromettere la riuscita delle operazioni umanitarie non entrano in gioco solo considerazioni di valutazione del rischio – ma spesso anche l’effettivo accesso alle regioni dove risiede la popolazione in necessità di soccorso. Esemplare, al riguardo, è l’episodio con cui si è concluso il 2020 in Yemen, ovvero l’attacco all’aeroporto di Aden con obiettivo i membri di quello che sarebbe stato un nuovo accordo di governo appena siglato in Arabia Saudita.

Secondo le linee guida stabilite da MsF, la gestione di gravi situazione di insicurezza alimentare prevede un approccio articolato su tre assi di intervento: ricostituire le reti di approvvigionamento soppresse dal conflitto (facilitando l’auto-produzione o sostenendo la popolazione con distribuzioni alimentari), fornire supporto nutrizionale specifico alle categorie più vulnerabili, e trattare i casi di acuta malnutrizione con alimenti terapeutici ed eventualmente ricovero ospedaliero. La somma di tutte queste operazioni, ovviamente, richiede condizioni di accesso sicuro per civili e attori umanitari.

In definitiva, la gestione della risposta umanitaria a situazioni di insicurezza alimentare, a questo livello di scala e complessità, è un processo plurale e multiforme che, purtroppo, ha bisogno innanzitutto di tempo. La comunità internazionale si trova oggi di fronte a poco più che una “finestra” di possibile intervento, uno spazio di manovra la cui ampiezza si restringe ogni giorno di più.

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Tags: carestiafood insecurityguerra civileintervento umanitarioMEDIO ORIENTESimone InnicoYemen
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