Dopo la crisi di governo che ha investito l’Italia agli inizi di gennaio e le conseguenti dimissioni del premier Giuseppe Conte, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dovuto individuare, per la seconda volta dall’inizio della legislatura e tra le rovine di una maggioranza ormai relativa nei numeri, una personalità di alto profilo pronta a subentrare all’ex premier sullo scranno di Palazzo Chigi. Il 3 febbraio scorso, è stato designato Mario Draghi come figura adeguata per ricoprire tale ruolo, in un momento nel quale la pandemia del Covid-19 ha aggravato ancor di più una già fervente crisi economica nazionale.

Non a caso la scelta è ricaduta sull’ex Presidente della BCE, già considerato eroe dell’euro e stimato dalla Comunità Internazionale. La sua nomina e l’accettazione dell’incarico con riserva hanno subito fatto il giro del mondo e tutte le testate giornalistiche internazionali, riportando le parole de La Stampa, lo “incoronano” come l’unica figura in grado di riportare a galla l’economia italiana. Da Bloomberg che lo descrive come «la persona migliore per il lavoro peggiore: governare l’Italia» a Le Monde che definisce il suo incarico come una chiamata «in soccorso della crisi politica in Italia». Cos’è che ha reso Mario Draghi autorevole e lo ha delineato come un giusto compromesso tra la soluzione economica e il consenso dei partiti politici?
L’inizio di una carriera
La figura di Draghi si è affermata attraverso una graduale ascesa, avvenuta con discrezione e serietà, verso i vertici istituzionali prima nazionali e poi europei
Dopo essersi laureato in economia a “La Sapienza” di Roma e aver conseguito un dottorato al Massachusetts Institute of Technology (MIT), il giovane Draghi iniziò ad insegnare in varie università italiane e nel 1991 divenne direttore generale al Tesoro, gestendo la stagione delle privatizzazioni italiane. Durante questo periodo comincia il suo avvicinamento all’Unione: uno dei compiti più importanti fu quello di partecipare alle negoziazioni per l’ingresso della moneta unica europea in Italia. «Mario ha dimostrato una grande competenza tecnica, ma anche del talento» ricorda Yannis Stournaras, ministro delle finanze greco nel 2012 e ora governatore della Banca di Grecia, a sua volta coinvolto nel processo di transizione verso la moneta unica nella penisola ellenica. Già da allora, Draghi dimostrò di confidare nel progetto europeo, legando il destino dell’Italia a quello dell’Unione.
Dopo una stagione come vice chairman di Goldman Sachs (2002-2005), divenne dapprima Governatore della Banca d’Italia nel 2006 e successivamente Presidente della Banca Centrale Europea nel novembre 2011. La sua determinazione venne alla luce in quegli anni, ove si trovò a fronteggiare la più grande crisi economica dal 1929 e la crisi del debito sovrano nella zona euro che portò alla recessione soprattutto dei mercati finanziari e delle economie europee dei paesi periferici. È proprio qui che da «Where’s Mario?», espressione a lui associata per la sua abilità di trovarsi contemporaneamente in due posti diversi e di essere a volte introvabile, Draghi viene ora ricordato come il «Super Mario» d’Europa per aver compiuto una missione all’apparenza impossibile.
«Whatever it takes»
Con la crisi in Grecia sempre più evidente e il vertiginoso rialzo dello spread in Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo, nell’estate del 2011, tra esperti e operatori di mercato cominciò a diffondersi la preoccupazione di una rottura dell’area euro. Il crollo dell’economia spagnola nel luglio del 2012 ebbe ripercussioni anche negli altri Paesi, compresa l’Italia, dove i timori di un’onda d’urto provocarono il ritorno dello spread sopra i 500 punti base, generando contingenti paure circa l’attuazione di nuove politiche di austerity: si rendeva necessario un intervento deciso e decisivo.
Il 26 luglio 2012, durante la Global Investment Conference di Londra, Draghi tenne un discorso che ribaltò le sorti della crisi, affermando che «la Banca Centrale Europea avrebbe fatto tutto il necessario per preservare l’euro» e che questo sarebbe stato «abbastanza» . Il ‘whatever it takes’ segnò una svolta per la BCE: con quella frase, Draghi potenziò il ruolo della Banca centrale, fino ad allora promotrice di politiche indecise e timide, data la discordanza fra gli Stati sulle strategie d’azione. In quell’occasione, Draghi diede un messaggio chiaro e forte ai mercati: sarebbe stato disposto a usare i grandi mezzi della Banca Centrale Europea per difendere ad ogni costo la tenuta dell’euro ed evitare che eventuali default dei Paesi membri potessero mettere in crisi l’unione monetaria.

La dichiarazione diede nuova linfa ai mercati finanziari, portando ad una graduale diminuzione dello spread già dopo pochi giorni dal discorso. Nel gennaio 2015 le misure del Quantitative Easing – l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi più in difficoltà per immettere liquidità nelle banche – riuscirono a far uscire l’Europa dalla crisi del debito sovrano. Draghi si fece portavoce dell’idea di dotare l’Eurozona di un ministro dell’economia di tipo federale, che garantisse una maggiore operatività della Banca Centrale Europea nell’assenza di soluzioni da parte dei governi nazionali. Una linea ripresa dall’attuale Presidente della BCE Christine Lagarde, che, nel corso della crisi pandemica, ha proposto l’acquisto di 750 miliardi di euro in titoli pubblici e privati entro la fine dell’anno, riecheggiando Draghi nella sua dichiarazione che «non ci sarà alcun limite pur di salvare l’euro». Il whatever it takes ha così segnato la linea di demarcazione tra la vecchia BCE e il nuovo potere centrale europeo, garantendo la salvezza della moneta unica.
La scommessa dell’Italia
Mario Draghi è dunque la figura designata per la formazione di un nuovo governo che risponda il prima possibile alle esigenze attuali del Paese. Nel descriverlo in due parole, ossia «collaborazione e senso di direzione», Staffan de Mistura, diplomatico delle Nazioni Unite e vecchio compagno di scuola di Draghi, sostiene che queste qualità saranno necessarie per prepararsi a guidare la nazione.
Parafrasando il Wall Street Journal, «se ha salvato l’euro, riuscirà a salvare l’Italia dalla confusione politica?». Risposte a questa domanda andranno rintracciate destreggiandosi tra i vertiginosi numeri della pandemia, che da ormai un anno sta stringendo nella sua morsa il Paese: 93 mila morti, una contrazione dell’economia del 8,9% nel 2020, 420 mila posti di lavoro persi tra febbraio e la fine dello scorso anno.
Intanto, nel discorso tenuto dopo aver sciolto la riserva sull’incarico, Draghi ha espresso la volontà di sconfiggere la pandemia accelerando il piano sui vaccini, proponendo un aumento della spesa pubblica per la sanità e un rilancio degli investimenti e dell’economia del lavoro grazie ai fondi del Recovery Fund.
Tutto sommato, la figura di Mario Draghi rappresenta indubbiamente un segnale di speranza per le aspettative sia di politica interna che di quella europea e internazionale. Il prestigio internazionale acquisito lo pone agli occhi dell’opinione pubblica come un “fuoriclasse alla Totti”, citando le parole di Roberto Giachetti durante la discussione sulla fiducia in aula: sarà questo sufficiente a garantire il superamento dei limiti strutturali dell’attuale classe politica, imprimendo un deciso cambio di rotta all’Italia?
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