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Parità di genere in Vietnam: la strada giusta verso l’uguaglianza

mmbyAlessandro Fornaroli
Dicembre 10, 2020
in Sud e Sud-Est Asiatico
Reading Time: 6min read
0
Parità di genere in Vietnam: la strada giusta verso l’uguaglianza

Negli ultimi quattro anni, il Vietnam ha visto un aumento delle quote femminili nella sfera lavorativa del Paese. La maggior presenza di donne è stata rilevata non solo nella conduzione di piccole-medie imprese, ma anche in posizioni apicali dello Stato. Sebbene il Vietnam sembri collocarsi in una posizione particolarmente virtuosa in tal senso, la rottura del glass ceiling o dell’insieme di fattori che abbassano le percentuali femminili ai vertici aziendali e politici, è tuttavia un fenomeno comune a molti Paesi nel continente asiatico e non solo.

Nell’area del sud-est asiatico, in particolare, il Vietnam si sta mostrando progressivo in tema di diritti umani e parità di genere, anche grazie al suo recente decorso storico. Nel 1986, Hanoi ha varato l’importante riforma economica del Doi Moi, aprendo finalmente il Paese all’impresa privata. L’abolizione dell’assolutismo socialista in materia commerciale ha fatto sì che si sviluppasse, nei due decenni a seguire, una classe media, presupposto fondamentale per una florida attività da parte della società civile. Sebbene i due concetti possano sembrare sovrapponibili, sono in realtà due aspetti indipendenti nell’analisi sociologica. Una volta che l’economia ha mantenuto una crescita stabile, la nuova società civile delle città ha dunque cominciato a rivendicare maggiori diritti, portando persino a una considerevole riforma costituzionale nel 2013. In tutto questo processo, che potremmo definire di transizione verso un modello più liberale, le donne non sono state escluse. 

Negli ultimi quattro anni, infatti, tre donne hanno ricoperto i ruoli chiave della Repubblica Socialista. Nel 2016, Nguyen Thi Kim Ngan è diventata la prima presidentessa dell’Assemblea Nazionale. Nel 2018, invece, Dang Thi Ngoc Thinh ha ricoperto la carica di presidentessa provvisoria dopo la morte del precedente capo di Stato Tran Dai Quang. Sebbene la sua fosse solamente una carica ad interim, non è da escludere una presidenza a guida rosa con le prossime elezioni che si terranno a gennaio del 2021. Quest’anno invece, Nguyen Thi Hong è diventata la prima governatrice della Banca Centrale Vietnamita. Sebbene questo risultato meriti un plauso internazionale, anche una più attenta analisi circa la percentuale di presenza femminile in rapporto al totale di popolazione impiegata, conferma la solidità della crescente parità di genere. Secondo i dati della Banca Mondiale, le donne ricoprirebbero il 47,8% del totale della forza lavoro. Dividendo questo totale in segmenti ancora più specifici, si può notare come in professioni ad alta competenza tecnica, le donne addirittura sorpassino gli uomini. 

Nonostante i traguardi raggiunti, le quote rosa non sono ancora tali da screditare il fenomeno del glass ceiling. Con tale termine, tendenzialmente ci si riferisce alla barriera più o meno visibile di comportamenti e stereotipi che rendono le donne svantaggiate in alcuni ambienti lavorativi e generalmente sottorappresentate in posizioni di leadership. Tale concetto si pone in contrasto con quello di glass escalator, una situazione di vantaggio di cui sono protagonisti gli uomini, specialmente nei settori lavorativi a maggioranza femminile.

Allontanandoci da una visione occidentale, si intuisce che culture collettiviste come quella vietnamita giustifichino in maniera diversa l’assenza di donne in tali posizioni di leadership, offrendo dall’altro canto strumenti diversi per il loro inserimento. Un ruolo fondamentale e apparentemente controintuitivo viene ricoperto dalla famiglia. A differenza dei nuclei atomizzati di stampo occidentale, le famiglie assumono in questi Paesi forme già ampie, aggregati di più parenti stretti che collaborano in maniera attiva alla promozione dei singoli individui, che siano donne o uomini. Secondo un rapporto del 2017 stilato dalla World Bank, il 90% delle donne proprietarie di piccole medie imprese in Vietnam sono o sono state sposate. Il matrimonio dunque, mentre in occidente non rappresenta semplicemente un contratto legale e affettivo, ma diviene un vincolo alla crescita personale, nell’Asia contemporanea non costituisce più un ostacolo implicito. Le donne intervistate dai tecnici della Banca Mondiale hanno infatti dichiarato che, nonostante le responsabilità familiari siano importanti, esse sono in grado di assolvere sia ai compiti d’impresa sia a quelli familiari grazie al supporto esterno e della famiglia ‘allargata’. In culture di questo tipo, con più alti livelli culturali di orientamento umano, collettivismo verso l’ingroup e distanza dal potere, il supporto sociale tende a essere più pervasivo, abbassando di conseguenza le tensioni che derivano da un confronto famiglia-lavoro e che, in culture individualiste, raggiungono toni più alti.

In un report rilasciato da Statista nel 2016, l’istogramma mostra chiaramente un calo della presenza femminile al salire della gerarchia sociale e lavorativa. Tuttavia, questi dati sono comunque migliori della media europea. Il rapporto tra uomini e donne in posizioni di leadership in Vietnam è di 0.35, id est, per ogni uomo al vertice corrisponde una media di 0.35 donne. Sebbene manchi ancora molto per una piena parità di genere, questo dato, se contestualizzato e paragonato ad altri indici, lascia ben sperare per questa regione. Guardando a un rapporto della Commissione Europea, nel 2018, in Europa le donne detenevano solamente il 26.7% delle sedie dirigenziali nelle più grandi imprese pubbliche, cioè nelle imprese le cui quote vengono commercializzate nel mercato azionario. Prendendo in considerazione un altro indice di carattere economico, il centro di ricerca Catalyst ha notato come le donne a capo delle principali aziende presenti nell’indice americano Standard & Poor 500, siano solamente il 6%. Appare più chiaro come, sebbene nel caso vietnamita ci sia uno scarto del 15% per raggiungere la piena parità di genere, questa differenza rimane comunque minore se paragonata con altri indici. Ciò suggerisce come, con una stimata crescita economica all’orizzonte, ci sia più speranza per raggiungere una piena parità di genere almeno in questa area geografica.

 

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