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Macedonia del Nord: il veto della Bulgaria rallenta il processo di adesione all’UE

Irena ShalevabyIrena Shaleva
Dicembre 7, 2020
in Europea Orientale e Asia Centrale
Reading Time: 6min read
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Macedonia del Nord: il veto della Bulgaria rallenta il processo di adesione all’UE

Nello scorso mese, il percorso della Macedonia del Nord verso l’integrazione nell’Unione Europea ha subito una nuova battuta d’arresto. Il 17 novembre, infatti, durante una seduta del Consiglio dell’UE, la Bulgaria ha espresso il suo veto all’inizio dei negoziati per l’accesso dello stato macedone nell’Unione. Una decisione, quella bulgara, presa nonostante l’iter di adesione fosse già iniziato nel 2005, quando al paese balcanico fu riconosciuto lo status di candidato ufficiale, e nonostante la Macedonia del Nord avesse iniziato da allora un processo di riforme interne volte proprio al rispetto dei criteri comunitari.

A provocare l’ostruzionismo della Bulgaria, tuttavia, non sono stati argomenti relativi all’osservanza degli standard dell’Unione, ma questioni bilaterali tra i due stati, legate principalmente alla loro eredità storica e culturale. Si tratta di alcuni punti non facilmente negoziabili da parte della Macedonia del Nord, inerenti all’identità nazionale stessa del paese. Tra le richieste avanzate dalla ministra degli esteri bulgara Ekaterina Zaharieva, così come riportate da un articolo di Euractiv, si trovano quelle di rinunciare al concetto stesso di minoranza macedone in Bulgaria e di non riconoscere la lingua macedone come lingua indipendente da quella bulgara. Con particolare riferimento alla lingua, specifica lo stesso articolo, “Sofia considera il macedone usato nella Repubblica del Nord come un dialetto bulgaro, anche se ammette che la lingua della nazione confinante è stata modificata sotto l’influenza serba in Jugoslavia dopo il 1947.”

Non è però la prima volta che la Macedonia del Nord incontra questo genere di opposizione. Prima del veto della Bulgaria, era stata la Grecia a fermare più volte le negoziazioni, affinché il nome della Macedonia del Nord diventasse quello che noi conosciamo oggi. L’ostilità è durata in tutto 27 anni ed è terminata soltanto con l’accordo di Prespa nel 2018. Quest’ultimo ha segnato la fine della diatriba sul nome della Macedonia del Nord, ma ha lasciato parte della popolazione e della politica, sia greca che macedone, insoddisfatta.

Nel 2019, è stato il turno della Francia di Macron, che attraverso il proprio veto aveva espresso scetticismo per la politica di espansione nei Balcani, portando alle dimissioni del primo ministro macedone Zoran Zaev e ad elezioni anticipate. Fatto che si verificò nonostante la Francia sia uno degli stati membri che dal 2014 promuovono il processo di Berlino, una forma di cooperazione intergovernativa volta a favorire il processo di integrazione dei sei paesi dei Balcani occidentali non ancora parte dell’UE. 

Ora è la volta della Bulgaria che, come detto, fonda il suo veto sulle radici culturali condivise con la Macedonia del Nord. Dal punto di vista storico, come spiega su Linkiesta Simone Benazzo, ricercatore e giornalista esperto di Balcani e Europa centrale, “durante l’impero ottomano non si dava una distinzione netta tra bulgari e macedoni: come altre popolazioni soggiogate alla Sublime porta, erano entrambi parte di una comunità impegnata a combattere per la propria indipendenza.” Liberatisi degli Ottomani, la Macedonia finì sotto il Regno di Bulgaria, ma ciò durò fino alla fine della seconda Guerra Balcanica, nel 1913. In seguito la Macedonia del Nord divenne parte della Jugoslavia socialista, che utilizzò l’identità nazionale macedone per controbilanciare l’influenza della vicina Bulgaria. “Ottenuta l’indipendenza (1991) dopo la disgregazione della Federazione jugoslava”, continua Benazzo, “la Macedonia si ritrovò con un’identità nazionale molto incerta.”

La posizione della Bulgaria sull’indipendenza culturale macedone – dalla lingua, alle minoranze, e fino alla nazionalità di eroi nazionali, come nel caso di Gotse Delchev – non è dunque una novità. Al contrario, nell’autunno del 2017, i due paesi conclusero un accordo di buon vicinato in cui già si trattavano alcune delle questioni portate oggi dalla Bulgaria come condizioni per l’eliminazione del veto, tra cui la questione delle minoranze macedoni in Bulgaria. Proprio il primo ministro macedone Zoran Zaev, allora recentemente eletto, aveva promosso la conclusione di questo accordo, con l’obiettivo di favorire l’integrazione euro-atlantica della Macedonia del Nord.

Di fronte ai risultati ottenuti dall’accordo di buon vicinato, la ragione del veto bulgaro potrebbe spiegarsi più facilmente guardando alla politica interna di Sofia. Secondo un commento di Giorgio Fruscione per l’ISPI, “le motivazioni che hanno riattivato il nazionalismo bulgaro non sono tanto storiche quanto politiche. La Bulgaria è stata attraversata da proteste di piazza che per mesi hanno chiesto conto della corruzione endemica nel paese, al centro della quale ci sono diversi scandali del governo Borisov.” Il primo ministro bulgaro Boyko Borisov avrebbe dunque usato il nazionalismo come velo per opacizzare l’attenzione sui problemi interni al paese, tra cui le grandi proteste anti-corruzione osservate negli scorsi mesi.

Le conseguenze del veto della Bulgaria, tuttavia, vanno al di là della politica interna di Sofia o delle dispute bilaterali con la Macedonia del Nord. Trovare una soluzione a questa impasse sarà importante non solo per il processo di adesione macedone, ma anche per l’avvicinamento degli altri paesi balcanici – primo tra tutti l’Albania, le cui negoziazioni sono fortemente legate all’esito di quelle macedoni – e per la credibilità stessa della politica di allargamento dell’Unione Europea nei Balcani.

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Tags: adesioneBulgariaFranciaMacedonia del NordUEveto
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