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RCEP: l’accordo storico tra multilateralismo vincente e opportunità perse

mmbyLara Aurelie Kopp-Isaia
Dicembre 3, 2020
in Asia Orientale e Oceania
Reading Time: 7min read
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RCEP: l’accordo storico tra multilateralismo vincente e opportunità perse

Vietnam's Prime Minister Nguyen Xuan Phuc is pictured on the screen (R) as he addresses his counterparts during the 4th Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) Summit at the Association of Southeast Asian Nations (ASEAN) summit being held online in Hanoi on November 15, 2020. (Photo by Nhac NGUYEN / AFP) (Photo by NHAC NGUYEN/AFP via Getty Images)

Il 15 novembre è diventata una data storica per quindici paesi dell’Asia Pacifico, i cui rispettivi governi si sono riuniti virtualmente ad Hanoi per firmare il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), il più grande accordo commerciale multilaterale al mondo. Il patto mira a stabilire nuove disposizioni in tema di settore terziario e rappresenta un significativo progresso in direzione di una possibile abrogazione dei dazi commerciali tra i paesi coinvolti. Firmato dopo otto anni di negoziazioni, secondo l’ISPI, è stata “ la spinta della profonda crisi economica globale – che vede l’economia cinese come l’unica al mondo che continua a crescere – a riuscire a mettere d’accordo l’Asia Orientale, quella del Sud-Est e il Pacifico”.

L’accordo si applica ai membri dell’ASEAN – Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico – e ad Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. In un articolo del Financial Times, Peter Petri, docente alla Brandeis University, ha dichiarato che “per certi versi questo è l’accordo di libero scambio più grande della storia. Riguarda circa il 30% della popolazione”. 

L’assenza più evidente tra i firmatari è quella dell’India, ritiratasi dalle negoziazioni un anno fa. La scelta di non firmare l’accordo si deve al timore che l’assenza di tariffe doganali potesse incentivare la concorrenza sleale delle importazioni straniere. Infatti, una intenzionale offerta sottocosto di beni e servizi avrebbe potuto danneggiare i circa 63 milioni di piccoli-medi imprenditori locali. Secondo l’articolo del “the Economist” sul numero 1385 di Internazionale: “la sua uscita ha privato l’accordo di alcuni dei più importanti benefici derivanti dall’apertura dei mercati”. Infatti, la sua presenza sarebbe stata considerevole, non solo perché si sarebbe posta come la terza economia più grande dell’accordo, ma anche perché l’India ad oggi intrattiene un esiguo numero di accordi bilaterali commerciali. 

Inoltre, la decisione dell’India incrina severamente i rapporti con la Cina. A riguardo, il docente universitario Liu Zongyi, sul Global Times, ha sottolineato come l’India abbia difatti perso “la sua ultima possibilità di integrarsi nel processo di globalizzazione”. Probabilmente nell’ottica di una possibile rielezione di Trump e del continuamento dell’alleanza commerciale contro la Cina, l’India ha accantonato l’idea del partenariato per proteggere la sua economia da ulteriori ingerenze esterne. D’altra parte però, The Hindu ha osservato come in questo momento di fragilità pandemica, “paesi come la Cina, la Corea del Sud, il Vietnam, l’Australia e la Nuova Zelanda sono una sicurezza contro il contagio e nello sforzo per ridare energia all’economia”, suggerendo a New Delhi di ripensarci.

Due sono gli aspetti di notevole rilevanza di questo accordo. In primis, il partenariato stabilisce la creazione di uno spazio economico comune tra i firmatari, senza la necessità di stipulare ulteriori accordi per l’eliminazione dei dazi. In secundis, circoscrivendo l’accordo a tre stati firmatari, esso rappresenta di fatto il primo trattato di libero scambio tra Corea del Sud, Cina e Giappone. Secondo Petri, dati i rapporti non sempre pacifici, “il RCEP ha permesso loro di raggiungere qualcosa che sarebbe stato molto difficile raggiungere per vie politiche, se avessero dovuto fare da soli”.

Il RCEP assume quindi un’elevata importanza strategica poiché creerà una vasta “area di cooperazione economica che comprende 2,2 miliardi di persone che producono il 30% del PIL e il 27,4% del commercio globale”. Stando alle proiezioni, si stima che entro il 2030 l’accordo potrà incrementare il PIL mondiale di oltre 209 miliardi di dollari e il commercio internazionale di 500 miliardi. 

Sempre secondo the Economist, il partenariato nasce per armonizzare e unificare tutti i trattati di libero scambio regionali sotto un’unica cupola onnicomprensiva. La maggiore estensione raggiunta però, non comporta conseguentemente anche un’efficacia incisiva. Ad esempio, l’antenato del RCEP, il CPTPP – Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership – a cui hanno aderito undici paesi, si proponeva più ambizioso. Oltre a un iniziale e non irrilevante coinvolgimento degli Stati Uniti, prevedeva anche l’eliminazione del 100% delle tariffe al commercio, concentrandosi poliedricamente anche su  ambiente, lavoro e regole per le aziende statali. Tutte queste questioni sono omesse nel RCEP, all’interno del quale pesa soprattutto l’assenza dei temi dell’agricoltura e dei diritti dei lavoratori. 

Sebbene non rivoluzionerà il commercio della regione, la firma di quest’ultima partnership rappresenta una grossa vittoria per Pechino. La Cina entra per la prima volta in un accordo plurilaterale e potrà contrapporsi all’egemonia statunitense puntando sul sostegno degli stati vicini. Inoltre, secondo l’ISPI, “la diffusione, nel medio e lungo periodo, degli standard cinesi nella regione farebbe incrementare anche il soft power di Pechino”, accrescendone ulteriormente il peso politico nella regione.

Nella primo trimestre del 2020, l’ASEAN ha sostituito l’Unione Europea come primo partner commerciale della Cina e a fronte del disimpegno statunitense nella regione, non è escludibile che, nel lungo termine, la Cina possa acquisire totale controllo in Asia. Per questo motivo molti membri dell’ASEAN sperano che, con l’elezione di Biden, gli Stati Uniti possano prendere in considerazione la firma del RCEP. Biden ha espresso il suo favore ad allinearsi alle democrazie del partenariato per evitare le imposizioni cinesi, ma le numerose sfide che dovrà affrontare internamente potrebbe distrarlo dalla contesa asiatica. Per questo, the Economist prospetta invece, come scenario più plausibile, che “l’Asia continuerà a essere plasmata dal peso crescente della Cina e dalla corrispondente indifferenza degli Stati Uniti”.

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Tags: ASEANCinaCPTPPGiapponelibero mercatoRCEP
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