Un’enciclica è una lettera pastorale del Papa su questioni dottrinali, morali e sociali rivolta a tutti i fedeli. Nel giugno del 2015, papa Francesco pubblicò la Laudato si’ affrontando tematiche al centro della discussione mondiale, quali l’ambiente, l’ecologia e le disuguaglianze sociali. Alcuni vaticanisti l’hanno definita in piena sintonia con la tradizione del pensiero della Chiesa, considerando i numerosi riferimenti a passate Encicliche come Caritas in veritate di Benedetto XVI e alla tesi dell’Ecologia Umana nella Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. Lo scorso maggio, in occasione del quinto anniversario dalla pubblicazione di questa enciclica, papa Francesco annunciò la volontà di dedicare un anno alla “cura del creato”.
Oltre a preservare il profilo tradizionale però, un’analisi più approfondita dell’Enciclica sottolinea indubitabili elementi di novità. Inizialmente, il Papa comprova l’esistenza di un forte consenso scientifico sulle cause della crisi climatica e ambientale. Successivamente identifica una corrispondenza tra queste e la crisi sociale con la corrispettiva emarginazione di coloro che non svolgono un ruolo nella crescita economica. Infine, afferma come la tecnologia – definita il paradigma tecnocratico – seppur in grado di suscitare grande ammirazione per i progressi ottenuti, mostra una degenerazione nel dominio imposto sulla politica e sull’economia.

L’impatto della Laudato si’ fu rilevante soprattutto inquadrato nel contesto dell’Accordo sul clima di Parigi. Ne è una prova il riferimento alla sfera etica dei problemi climatici che, l’allora Segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, fece nel discorso inaugurale della Conferenza del 2015 tenutasi nella capitale francese. Il noto climatologo britannico Myles Allen ha osservato come l’Enciclica, al pari di dichiarazioni dei leader di altre religioni, abbia avuto un ruolo importante nel mutamento dell’atteggiamento politico, facilitando il raggiungimento di questo accordo. Addirittura, in modo provocatorio, alcuni esponenti di associazioni ambientaliste hanno sostenuto che l’impostazione data da alcuni passi dell’Enciclica la farebbe assomigliare a una sorta di convenzione internazionale. Ad esempio, il paragrafo 95 recita: “L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti”.
L’ambiente non è l’unico argomento affrontato: ad esso si affianca una netta denuncia delle disuguaglianze sociali. Le criticità legate alle conseguenze di questo divario sono purtroppo note. Da anni, innumerevoli rapporti di organizzazioni internazionali, uno tra tutti il report Focus on Inequality and Growth (2014) dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sull’indice di Gini – valore di riferimento della disuguaglianza nella distribuzione del reddito – evidenziano il problema. Le disparità sociali ed economiche sono la causa sia della diminuzione delle opportunità educative per le fasce sociali più svantaggiate, sia, conseguentemente, delle condizioni sfavorevoli per perseguire una carriera che possa supportare la crescita collettiva. Parallelamente, il Fondo Monetario Internazionale, in “Redistribution, Inequality and Growth” (2014), sottolinea la correlazione tra la disuguaglianza nelle società e la crescita economica dei paesi. Laddove le disuguaglianze sono maggiori e diffuse, minori progressi sociali e instabilità politico-economiche sono più facilmente riscontrabili.

In relazione a queste tematiche, ciò che merita particolare attenzione nella trattazione dell’Enciclica è la soluzione avanzata contro la predominanza dell’aspetto economico sulla sfera di potere degli Stati nazionali. Al par. 175, l’Enciclica recita: “In questo contesto, diventa indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare”.
Secondo Ottmar Edenhofer dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e Christian Flachsland dell’Istituto di Potsdam per la Ricerca sull’impatto climatico, la risoluzione proposta è stata letta come una forte critica al capitalismo neoliberista deregolamentato, considerato come la dimensione economico-finanziaria che negli ultimi anni si è posta come fattore d’aggravamento delle disuguaglianze. Il fenomeno si manifesta principalmente perché l’egemonia del capitale finanziario internazionale ha come unico fine la crescita del Prodotto Interno Lordo, piuttosto che la promozione di opportunità di sviluppo collettivo. Inoltre, nonostante non sia presente un riferimento esplicito, il potere di sanzionare da attribuire alle istituzioni internazionali è stato interpretato nel contesto ambientale come mezzo per la riduzione delle emissioni. L’introduzione di una tassa sovranazionale sulle emissioni è auspicabile per due motivi: da un lato, disincentiva l’utilizzo di fattori inquinanti e, dall’altro, offre ai governi fondi per attuare politiche redistributive a favore delle fasce più deboli.
Per questo, la visione proposta dal magistero di papa Francesco è stata percepita come una delle “forze più serie e significative” che guidano la necessità di un cambiamento che coinvolga l’aspetto sociale, economico e politico allo stesso tempo. Alla fine, la risposta sembrerebbe positiva: i leader religiosi possono efficacemente contribuire alla plasmazione della realtà politica.
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