La promozione dell’imprenditorialità femminile – intesa come empowerment individuale e strutturale – fornisce una grande opportunità di rilancio economico post-pandemico. In un continente come quello asiatico, in cui le disuguaglianze sono più marcate, progetti di resilienza climatica ed energetica possono essere strumenti adatti a combatterle efficientemente. Su questa scia, il Programma Ambientale delle Nazioni Unite, insieme all’Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, EMpower, ha pubblicato a settembre il report “Powering Equality: l’imprenditorialità femminile che trasforma il settore energetico asiatico”.
Nonostante gli sforzi interni per migliorare l’accesso al credito e, prima ancora, all’istruzione, è stato necessario l’impegno globale per appianare le differenze tra l’Asia e gli altri continenti in questi ambiti. All’interno dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, il quinto articolo fissa come obiettivo proprio la parità e l’emancipazione delle ragazze e delle donne, ponendo il potenziamento dei diritti femminili come punto cardine per la riduzione della povertà sistemica.

In questo quadro generale, si inserisce anche il settore energetico come fondamentale motore di sviluppo imprenditoriale femminile. All’interno delle famiglie del sud-est asiatico infatti, è molto comune che le donne siano costrette a smettere di svolgere lavori retribuiti dopo il matrimonio, per concentrarsi principalmente sulle attività domestiche. Questa realtà è radicata soprattutto nella cultura popolare: un terzo di tutti gli uomini e donne del sud-est asiatico crede sia inaccettabile per una donna avere un lavoro pagato al di fuori delle mura di casa. Oltre questa esclusione sociale e lavorativa, l’assenza di servizi moderni rende difficile anche la realizzazione delle attività casalinghe: il tempo impiegato nella raccolta di materiale per cucinare e riscaldare la casa è notevole. Per questo, la fornitura di allacciamenti efficienti e apparecchiature funzionanti potrebbe appianare il divario, permettendo la trasformazione della casa in uno spazio lavorativo, soprattutto nello scenario post-pandemico. Sul lungo periodo, però, è essenziale provvedere a un cambiamento radicale della visione patriarcale profondamente radicata, ma che può essere estirpata attraverso la formazione scolastica.
Anche possedere la terra che si coltiva rappresenta un’ulteriore spinta trainante per l’emancipazione femminile. Secondo uno studio dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura, «le donne costituiscono il 43% della forza lavoro nei Paesi in via di sviluppo, ma detengono solo il 18% dei terreni agricoli». Questa sproporzione impedisce inoltre un’efficace mitigazione del cambiamento climatico da parte delle donne e dei bambini. Essi sono i soggetti più colpiti durante periodi di eventi meteorologici estremi, che rendono più difficoltoso l’accesso all’acqua e ai beni di prima necessità. Come suggerito nel report, un rimedio potrebbe consistere nell’inclusione attiva delle donne nei processi decisionali del proprio ecosistema:“quando le donne partecipano e hanno voce in capitolo nella governance dell’energia e dei processi ambientali, ciò si traduce in una maggiore reattività ai bisogni delle persone”.
Investire nell’imprenditorialità femminile produce numerosi benefici anche sul livello macroeconomico: l’accoglienza delle donne nei ruoli decisivi aumenta logicamente le opportunità di possedere un reddito proprio o un reddito più consistente. Conseguentemente, da un lato, si otterrebbe il miglioramento sostanziale dei diritti e dello status sociale delle donne e, dall’altro, un significativo contributo al PIL dei singoli paesi. L’Organizzazione Mondiale del Lavoro ha sottolineato come la retribuzione delle donne sia cruciale per la riduzione della povertà nei Paesi in via di sviluppo. L’empowerment femminile aumenta la produttività e la diversificazione economica, imprescindibile per ribadire l’importanza delle piccole e medie imprese.

Un esempio concreto che avvalora questa tesi è il Vietnam. Il governo centrale vuole raggiungere il milione di imprese entro la fine del 2020 e proporzionalmente distribuirne la gestione tra i due sessi. Nel 2018, il 31,3% delle imprese esistenti era gestito da donne, posizionando il Vietnam al sesto posto della classifica mondiale. Anche in contesti informali, è la parte femminile della famiglia che prende decisioni circa l’uso delle risorse monetarie. Per questo, i benefici delle donne economicamente emancipate vanno ben oltre l’individualità, propagandosi in tutta la comunità e traducendosi in investimento comune. A suffragare questa tesi è un dato del Women’s World Banking del 2017: “in media, le donne spendono 90 centesimi su ogni dollaro guadagnato in istruzione, assistenza sanitaria e alloggio, rispetto agli uomini che investono 60 centesimi su queste voci”. Altri casi di vari Paesi asiatici come Filippine, Malesia ed Indonesia, confermano il miglioramento delle condizioni di vita e sociali, portate dal potenziamento delle possibilità lavorative.
In generale, cinque sono i pilastri considerati necessari per rendere effettivo questo potenziamento. Innanzitutto, è necessario un pacchetto di aiuti multisettoriali interni, per affrontare e risolvere in modo sistematico gli ostacoli alla crescita femminile. In secondo luogo, l’accesso al finanziamento può essere effettivo solamente se accompagnato da altre misure, quali l’istruzione di carattere economico e/o l’introduzione di nuovi criteri di valutazione per un efficace allocamento di risorse finanziarie. Poi, è importante includere nella prospettiva di miglioramento tutti i componenti della famiglia, compresi gli uomini, che divengono cruciali. Il quarto pilastro consiste nell’insieme delle norme e delle leggi che rafforzino e semplifichino la strada alle imprenditrici. In conclusione, è necessario promuovere una rete solida di organizzazioni che siano un ausilio concreto alle ambizioni e ai progetti.
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