Il rapporto tra potere politico e religioso ha rappresentato sempre una variabile costante nell’equazione lineare degli affari interni della Russia. Dopo la fine del governo Eltsin, il quale lasciava poco spazio alla fede ortodossa, questa religione è tornata con Putin a ricoprire una veste essenziale della politica russa onnicomprensiva, facendo diventare la Chiesa Ortodossa Russa (COR) uno dei principali pilastri politici della Russia putiniana. Sin dal 2000, anno della sua elezione a presidente, uno dei principali obiettivi di Vladimir Putin è stato quello di ricostruire l’identità nazionale, in crisi a seguito della dissoluzione dell’URSS e della stringente presidenza di Eltsin. Fu così che Putin trovò un importante alleato nella Chiesa Ortodossa – strumento attraverso il quale riuscì a garantirsi sostegno e legittimazione popolare. In altre parole, sotto la presidenza Putin, gli interessi del Cremlino e del Patriarcato di Mosca tendono ormai a combaciare e a formare una equilibrata diarchia.
Prima di Putin però, la storia delle relazioni Stato-Chiesa ortodossa non fu sempre idilliaca. Durante i primi anni del regime sovietico, infatti, la Chiesa ortodossa fu perseguitata, tanto da essere stata programmata la sua completa abolizione entro il 1934. La situazione mutò soltanto durante gli anni Quaranta quando Stalin – laico e favorevole alla soppressione della COR durante gli anni Trenta – decise di ricorrere all’ortodossia al fine di ricostruire unità e patriottismo nazionali, principi cardine che sarebbero stati necessari per contrastare la Germania nazista. Tuttavia, sotto Nikita Krusciov, la Chiesa ortodossa tornò nuovamente ai margini.

Ad oggi, la posizione della chiesa ortodossa nella società e nella politica russa è ben più serena e pacifica rispetto al periodo sovietico. Tuttavia, secondo Michel Sollogoub – professore di scienze economiche presso l’Università di Paris 1 – “il problema è che la Chiesa è manipolata. È diventata uno strumento del potere. Era vero già prima, ma lo è ancora di più da quando c’è Vladimir Putin”. Per esempio, nelle possibili revisioni costituzionali, inter alia, il presidente russo aveva proposto di inserire il richiamo alla fede in Dio come “trasmessa dai nostri antenati”. A rafforzare il legame Stato-Chiesa Ortodossa non è semplicemente il sostegno astratto tra le due istituzioni, ma anche l’impegno concreto a costruire un percorso comune: negli ultimi vent’anni, il numero di chiese ortodosse è passato da seimila a trentacinquemila.
Secondo Alicjia Curanovic, esperta di teoria delle relazioni internazionali dell’Università di Varsavia, l’obiettivo comune tra Stato e Chiesa in Russia è quello di “difendere i valori tradizionali e resistere al liberalismo occidentale”. A sottolinearlo è la forte collaborazione tra il Ministero degli Affari Esteri russo e le istituzioni cristiane tradizionali fuori dal paese, che formerebbe parte della rete di rapporti della “diplomazia religiosa russa”.

Al contempo, la COR permette alla Russia di ripristinare la sua sfera di influenza all’interno degli ex territori sovietici. Difatti, l’estensione della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) coincide con l’area in cui il patriarcato di Mosca esercita la propria giurisdizione sulle chiese ortodosse e conseguentemente, sotto l’influenza russa, la COR ha la possibilità di aprire dei canali diretti di comunicazione con i governi locali. Un esempio è la Bielorussia di Lukashenko. Pur non essendo la religione ufficiale del paese, l’ortodossia funge da mezzo per creare forti legami diplomatici con la Russia di Putin.
Nel 2003, la Chiesa Ortodossa e il governo bielorusso firmarono un concordato storico, poiché non solo prevedeva una collaborazione diretta tra la COR e i Ministeri degli Affari Interni e della Difesa bielorussi, ma persino un ruolo privilegiato degli ortodossi nei maggiori settori d’influenza del Paese. Successivamente, nel 2007, la COR riuscì a firmare anche un accordo con la ROCOR (Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia). Le due istituzioni si erano separate già dai primi anni del regime sovietico, contemporaneamente alla diffusa persecuzione degli ortodossi sul territorio sovietico, ma finalmente l’accordo del 2007 terminò uno scisma durato ottant’anni.
Infine, la COR ricopre un ruolo diplomatico rilevante per Mosca anche in Medio Oriente. Tanti sono stati, a partire dal 2000, gli incontri tra il Patriarca di Mosca e i Rappresentanti e i Primi Ministri dei paesi di quest’area. Tali incontri hanno avuto lo scopo di rafforzare le relazioni della Russia con i Paesi del Medio Oriente. Per esempio, fondamentale è l’asse di cooperazione tra il governo russo, la COR e l’IPPO, ossia la Società imperiale ortodossa di Palestina, creata nel 1882 da Alessandro II. La società originariamente si occupava di supportare i pellegrinaggi nei luoghi sacri ortodossi, mentre ad oggi svolge la funzione di reintegrare proprietà e beni che appartenevano alla COR in alcuni Stati tra cui il Libano, la Siria e Israele. Tale cooperazione è atta a rafforzare la presenza politico-culturale russa nella regione. E sebbene l’IPPO sia formalmente un’organizzazione non governativa, la sua indipendenza dal Cremlino è stata messa più volte in discussione.
In conclusione, potremmo definire l’intesa COR-Cremlino come un accordo di reciproco vantaggio, atto a espandere e a rafforzare ambedue le sfere di influenza politico-religiosa, non solo sul suolo russo, ma anche all’estero.
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