A distanza di un anno dalle rivolte che hanno scosso il Cile, lo scorso 25 ottobre il popolo cileno è stato chiamato a prendere una decisione cruciale per la nazione: modificare o meno la propria Carta costituzionale.
Nell’ultimo anno, il paese sudamericano ha vissuto una situazione di forte instabilità che ha una precisa data di inizio: 14 ottobre 2019. Difatti, proprio in quella giornata, sono iniziate le proteste contro il rincaro del biglietto della metro, il cui prezzo era aumentato di 30 pesos, circa 4 centesimi di euro, arrivando a 830 pesos. Questo problema apparentemente marginale in realtà è stato l’indicatore di un profondo malessere della popolazione, la quale si è riversata per le strade di Santiago del Cile al grido di “No son 30 pesos, son 30 años”. Non sono 30 pesos, sono 30 anni.
Da tempo, quindi, il popolo cileno lamentava i problemi strutturali del paese che, per la piazza, sono stati generati dal sistema neoliberale: adottato durante la dittatura di Pinochet, secondo i manifestanti, è stato continuato, con poche differenze, dai partiti politici di destra e sinistra che si sono susseguiti al potere dall’inizio della storia repubblicana. Per quanto il Cile sia stato considerato per lungo tempo “un’oasi in mezzo alla turbolenta regione latinoamericana”, secondo le parole dello stesso presidente Sebastian Piñera, la verità è che dietro i dati macroeconomici si nascondeva una realtà fatta di profonde disuguaglianze sociali. Protestando contro il biglietto della metro, i cittadini stavano chiedendo un paese più equo e maggiori servizi di welfare, come istruzione, sanità e pensioni. Non sorprende, infatti, che tra i paesi dell’OCSE, secondo i dati del 2017, il Cile sia quello che investe di meno in questi settori: circa il 10,9% del PIL contro il 20,2% degli altri stati membri.

Le proteste si sono attenuate solo il 15 novembre, a seguito dell’annuncio da parte del Governo e delle opposizioni di un plebiscito nazionale per decidere se cambiare o meno la Costituzione del paese. Il referendum, che avrebbe dovuto tenersi nell’aprile 2020, a causa dello scoppio della pandemia di coronavirus è stato spostato allo scorso 25 ottobre e ha visto una sorprendente affluenza alle urne, pari al 50,3%. Due sono stati i quesiti posti ai cileni: il primo riguardava il cambio della costituzione, il secondo chiedeva quale organo avrebbe dovuto redigere la nuova Carta costituzionale. Per quanto riguarda la prima, il 78% dei votanti si è espresso a favore dell’“apruebo”, vale a dire la sostituzione della Costituzione vigente con un nuovo statuto. Il 79% dei votanti, invece, ha deciso di affidare la redazione del testo ad una costituente che sarà scelta per l’occasione.
Alla modifica del testo si è opposta solo la parte più conservatrice del paese, come mostrano bene anche le differenze territoriali dei voti: i principali comuni dove ha prevalso il rifiuto del cambiamento sono tutte zone in cui si concentrano le élite economiche e politiche del paese, le quali non hanno alcun interesse nel cambiare modello socio-economico. Le ragioni del “rechazo” ruotano attorno alla possibilità di modifica del testo dall’interno, come già accaduto nel 2005, e una generale paura di futura instabilità: ad esempio, gli imprenditori temono una disincentivazione degli investimenti futuri in un momento in cui l’economia è già duramente colpita dalla pandemia di coronavirus.
Ad ogni modo, la vittoria dell’“apruebo”, non garantisce in sé un effettivo rovesciamento della situazione attuale in quanto è molto probabile che svariati rappresentanti dei principali partiti politici saranno eletti nella nuova costituente. Per questo, sono state introdotte una serie di misure precauzionali: innanzitutto, chiunque ricopra un incarico pubblico dovrà dimettersi per poter essere eletto alla Costituente. Inoltre, per incentivare l’eleggibilità di candidati indipendenti, che normalmente hanno una disponibilità economica e un supporto elettorale minori rispetto ai grandi partiti, il Senato sta discutendo una proposta di legge per abbassare i requisiti minimi per le candidature, portando il minimo necessario di sottoscrizioni dall’attuale 0,4% allo 0,2%. Nonostante questi correttivi, come segnala El Tiempo, la nuova Costituzione sarà frutto di grandi accordi, dal momento che ogni modifica al testo dovrà essere sostenuta da 2/3 dei costituenti, il che dovrebbe tagliare le gambe a qualsiasi fantasia autoritaria da parte delle varie forze politiche.
Due fattori positivi emergono da questo processo costituente. Le liste dei candidati dovranno rispettare le differenze di genere: l’assemblea dovrà essere composta per metà da donne e per metà da uomini. Il Cile, di conseguenza, diventerà il primo paese al mondo ad avere una Costituzione redatta in condizione di parità di genere. Inoltre, 24 posti della costituente saranno riservati ai popoli indigeni, i quali non erano stati nemmeno citati dalla precedente carta costituzionale, benché rappresentino il 12,8% della popolazione cilena.
Il Cile si appresta quindi ad un grande esercizio di democrazia, con una data di scadenza: l’estate del 2022, quando i cittadini saranno chiamati alle urne per approvare la nuova costituzione.
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