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L’utilizzo politico del sistema giuridico e giudiziario in tema di diritti civili e religione

mmbyDavide Paolicchi
Novembre 13, 2020
in Diritto Internazionale ed Europeo
Reading Time: 7min read
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L’utilizzo politico del sistema giuridico e giudiziario in tema di diritti civili e religione

Nel 1748, attraverso la sua più conosciuta opera Spirito delle Leggi, il filosofo francese Montesquieu teorizzava le moderne basi giuridiche ed i principi fondamentali dello stato di diritto e della democrazia liberale: la separazione dei poteri (o divisione dei poteri). Essa consisteva nell’individuazione di tre funzioni pubbliche principali nell’ambito della sovranità dello stato e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. L’obiettivo era quello di garantire il rispetto della legalità ed abbattere eventuali distorsioni democratiche dovute ad abusi di potere e fenomeni di corruzione.

In epoca contemporanea, la quasi totalità degli stati costituzionali/democratici liberali ha introdotto alcuni organi giuridici che operano all’interno di questa separazione di potere: la Corte o Tribunale Costituzionale, la Corte Suprema e il Consiglio di Stato. Un problema ricorrente e comune di queste istituzioni è la nomina dei componenti, che spesso risulta essere prerogativa diretta del Governo e/o del Parlamento nazionale. Negli anni, tra politologi e giuristi si è sempre più discusso su come provare ad intervenire sulla “politicizzazione” o affiliazione dei membri della Corte alla maggioranza politica del momento che li elegge. Nel corso di quest’ultimo anno ci sono stati alcuni ‘casi’, che hanno avuto una vasta eco internazionale, proprio perché determinati dall’utilizzo politico delle sentenze dell’alta corte di giustizia/costituzionale di quel paese o la sua nuova composizione tra i membri.

In luglio è arrivata la notizia dell’annullamento del decreto di Mustafa Kemal Atäturk, risalente al 1934, da parte del Consiglio di Stato turco (massimo organo della giustizia amministrativa), riguardo la conosciutissima Basilica di Santa Sofia in Istanbul. In questo senso i giudici del Consiglio di Stato, dando ragione al ricorrente, l’Associazione per le opere storiche ed ambientali, si sono espressi marcatamente a favore di una nuova politica nazionalista, fortemente auspicata dall’attuale presidente turco Erdoğan, il suo Governo e soprattutto il suo partito, l’AKP.

Nella sentenza si riconosce come la Basilica/Moschea di Hagia Sophia appartenesse al sultano ottomano Maometto II che conquistò Istanbul nel 1453, stigmatizzando la precedente decisione presa dal Governo Atäturk nel 1934, che la trasformava in un museo, come “incompatibile con le leggi vigenti in Turchia”. Tale decisione non ha fatto altro che legittimare la linea del cosiddetto neo-ottomanesimo dell’AKP, consentendogli di raccogliere un nuovo consenso elettorale attorno all’attuale maggioranza che aveva perso alle ultime elezioni amministrative. Da ultimo, non deve passare inosservato come la sentenza provenga da un’alta corte amministrativa, segnando così la marcata divisione nel potere giudiziario turco. Infatti, mentre il Consiglio di Stato appare come un ‘vassallo’ dell’AKP, la Corte Costituzionale turca rimane ancora in parte un ‘presidio’ laico-kemalista, molto spesso in contrasto con Erdoğan dopo il presunto colpo di stato del 2016 e le successive epurazioni in seno alle forze armate e agli altri principali apparati istituzionali.

Negli Stati Uniti, invece, hanno fatto discutere la recente nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema da parte del presidente Trump e la successiva conferma del Senato americano a maggioranza repubblicana. Risulta noto come la giudice Barrett sia una sostenitrice della dottrina giuridica originalista di Antonin Scalia, ma soprattutto quanto lei sia vicina al cattolicesimo più conservatore osservato da un piccolo gruppo chiamato People of Praise, facente parte del Movimento Carismatico. Se da un lato la nomina della giudice Barrett andrebbe a consolidare la maggioranza repubblicana nella più alta corte di giustizia e giudiziaria degli Stati Uniti d’America, si accentuerebbe la visione giurisprudenziale ultra-conservatrice dei membri della stessa. Infatti, questo evento potrebbe produrre delle ripercussioni su tematiche riguardanti i diritti civili: aborto e unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Lo scontro politico tra i sostenitori pro-vita e pro-scelta ha caratterizzato le precedenti campagne elettorali presidenziali, poiché il tema dell’aborto è molto sentito dalla cittadinanza. Anche la più recente ha mantenuto alto il livello di dibattito su questo tema, accentuandolo in particolar modo con la nomina di una personalità legata all’elettorato cattolico-conservatore, cioè quello più affine alle direttive del Vaticano, in un momento in cui Washington e la Santa Sede sono notevolmente in freddi rapporti a causa dell’accordo con la Cina riguardo la nomina dei vescovi. Anche in questo caso, un discutibile procedimento di nomina di un giudice da parte di una maggioranza politica sembrerebbe dimostrare come l’effettivo scopo sia principalmente quello di ricercare un maggiore consenso presso l’opinione pubblica.

Recentemente, in Polonia si sono verificate una serie di proteste di piazza in seguito alla controversa sentenza della Corte costituzionale riguardo l’aborto. Infatti, secondo i giudici esso non sarà consentito in caso di gravi malformazioni del feto, mentre rimane consentita l’interruzione di gravidanza in caso di violenza subita o situazione di rischio per la vita della donna. Tale pronunciamento della Corte costituzionale polacca giunge alcuni mesi dopo la riconferma elettorale del presidente Duda e, soprattutto, del suo partito Diritto e Giustizia, fondato dall’ex-primo ministro Jarosław Kaczyński. Di ispirazione ideologica ultra-conservatrice e cattolica, la sua politica converge verso il contrasto alla legalizzazione dell’eutanasia e alle unioni omosessuali.

In aggiunta, una precedente legge, voluta fortemente dal partito del presidente Duda, aveva stabilito come la nomina dei giudici della Corte costituzionale fosse una prerogativa quasi esclusiva del Governo, benché la stessa Unione Europea abbia sollevato notevoli dubbi e perplessità. Manifestazioni popolari di piazza e minacce di infrazioni delle istituzioni europee potrebbero non sortire alcun effetto se, alla base di tutto, si rilevasse un evidente interesse politico nel controllare tutte quelle istituzioni che possono largamente influire sulla società polacca, soprattutto se ciò servisse per garantire le promesse elettorali o assicurare la continuità della propria coalizione di maggioranza. Assieme all’Ungheria, il caso polacco potrebbe risultare un elemento di non facile soluzione all’interno del processo di integrazione europea e della laicità delle sue istituzioni interne.

I tre casi citati precedentemente sono solo alcuni tra i molti presenti nel mondo. Ciò che emerge è la sempre più crescente difficoltà nel mantenere i rapporti di forza e le prerogative dei poteri politici (esecutivo e legislativo) e del potere giudiziario. Quest’ultimo sta incorrendo sempre più nel rischio di subordinazione al potere politico, arrivando così a legittimarlo e rafforzarlo tramite controverse sentenze.


In ambito politico, le tematiche dei diritti civili e questioni inerenti la religione sollevano spesso l’interesse dell’opinione pubblica e sono sovente utilizzate nel dibattito elettorale per ottenere maggiore consenso dal popolo. Mentre, per quanto concerne la sfera giuridica, si dovrebbe fare riferimento alle alte corti di giustizia/costituzionali per la loro prerogativa di interpretare la legge alla luce delle norme e degli eventi. Un auspicio che risuona nelle parole della giudice statunitense della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, deceduta lo scorso settembre: “Non chiedere alla corte di cambiare la società, ma di mantenere la legge al passo con il cambiamento sociale che ha già avuto luogo” [Moritz v. Commissioner 469 F.2d 466 (1972)].

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