Lo scorso ottobre, Standard & Poor’s ha confermato il rating sovrano dell’Italia a BBB e migliorato l’outlook da ‘negativo’ a ‘stabile’. Negli stessi giorni Moody’s ha declassato il giudizio sul debito sovrano inglese da AA2 a AA3.
Cosa significano questi giudizi? Che valore hanno per la vita di un paese?
Che cos’è il rating?
Il rating, o più precisamente il rating di credito, è una valutazione riguardante la capacità di un soggetto economico di estinguere i propri debiti. I soggetti in questione possono essere società quotate, banche, ma anche Stati. In questo caso si parla di rating sovrano, che esprime un giudizio circa la capacità di uno Stato di rimborsare coloro che hanno finanziato il suo debito pubblico attraverso l’acquisto di titoli di Stato. Il compito di effettuare queste valutazioni è affidato alle agenzie di rating – tra le più autorevoli, Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch – le quali attribuiscono agli enti sovrani un determinato grado di affidabilità creditizia, dalla tripla A (massima affidabilità) alla famigerata D (default, insolvenza).

Un ulteriore strumento valutativo delle agenzie è l’outlook – positivo, negativo, stabile – che indica una stima di crescita del paese in esame e, di conseguenza, un possibile cambiamento del suo rating.
Per quanto riguarda i criteri di valutazione impiegati, Standard & Poor’s ha elencato 5 fattori chiave da prendere in considerazione nel processo di attribuzione dei rating sovrani : “l’efficacia istituzionale e i rischi politici, riflessi nel punteggio politico; la struttura economica e le prospettive di crescita, riflessi nel punteggio economico; la liquidità esterna e la posizione internazionale d’investimento, riflessi nel punteggio esterno; le performance e flessibilità fiscale, nonché l’onere del debito, riflessi nel punteggio fiscale; la flessibilità monetaria, riflessa nel punteggio monetario.” È importante inoltre tenere conto delle performance degli Stati nel corso dei cicli economici e politici passati, nonché di altri indicatori di una maggiore o minore flessibilità fiscale e monetaria nel corso di cicli economici a venire.
A cosa serve?
In sostanza, l’atto di valutare la solvibilità dell’emittente ha come scopo quello di informare sul rischio di ogni investimento in obbligazioni, pubbliche o private.
Dal punto di vista degli investitori, un rating alto è determinante nella selezione delle obbligazioni da acquistare, mentre in alcuni casi è addirittura un requisito obbligatorio. Il piano di quantitative easing della BCE, ad esempio, le permette di acquisire solo titoli con un giudizio (cosiddetto ‘investment grade’) pari o superiore alla tripla B. E ancora, quando una banca ottiene un finanziamento dalla BCE emette in cambio dei titoli collaterali, il cui rating influenza l’entità stessa del prestito: più basso è il giudizio, minore è il valore della garanzia e quindi l’importo finanziabile.
Il caso dell’Italia
Tornando alla situazione italiana e al giudizio moderatamente positivo espresso da Standard & Poor’s, ciò è avvenuto in seguito alle misure economiche messe in atto dal Governo italiano, in concomitanza con la Banca centrale europea e l’Unione Europea, per contrastare gli effetti della pandemia di Covid-19. Secondo l’agenzia americana, infatti, questi provvedimenti “offrono alle autorità italiane un’opportunità per riavviare la crescita economica e per invertire il deterioramento dei risultati di bilancio”.
Decisiva nella scelta di S&P è stata certamente l’appartenenza dell’Italia all’Eurozona, in quanto i principali aiuti finanziari provengono da istituzioni europee: la BCE, con un maggior acquisto di titoli di Stato, e la Commissione Europea, che grazie al Recovery and Resilience Fund emetterà nuove sovvenzioni e prestiti riservati a riforme per la crescita, pari fino al 12,5% del PIL.
Tuttavia, l’Ufficio parlamentare di bilancio teme che la seconda ondata pandemica possa vanificare ogni intervento di ripresa.
Il caso del Regno Unito
Mentre gli sforzi dell’Italia sono stati premiati dalle agenzie di rating, diversa è stata la loro reazione nei confronti della strategia adottata dal Regno Unito. Si è detto del declassamento operato da Moody’s che ha punito l’inefficace gestione della pandemia da parte del Governo di Boris Johnson. Non a caso il Regno Unito è stato il paese europeo che ha pagato il prezzo più alto in termini di vittime, con oltre 1 milione di contagi e quasi 48 mila decessi. A peggiorare questo quadro già critico, si aggiunge l’assenza di un conveniente accordo commerciale con l’UE in seguito a Brexit. A questo proposito, Moody’s si dichiara pessimista: “Anche se ci sarà un accordo commerciale tra il Regno Unito e Unione Europea entro la fine del 2020, sarà probabilmente di portata ristretta”.

Un’agenzia europea per il rating?
Nonostante l’importanza attribuita alle valutazioni delle agenzie di rating, negli ultimi anni sono stati sollevati dubbi sulla loro affidabilità e obiettività. Molte perplessità derivano dal potenziale conflitto di interesse in cui queste agenzie si trovano: nonostante aspirino ad avere un ruolo di terzietà, le loro costose analisi non sono finanziate da soggetti terzi, ma dalle stesse società valutate o singoli investitori con molta liquidità.
In particolare, la loro credibilità è stata messa in discussione in seguito al mancato riconoscimento dei rischi sottostanti aziende come Parmalat o Lehman Brothers, i cui titoli tossici causarono il collasso del sistema finanziario mondiale nel 2008/2009.
Numerosi economisti insistono da anni perché l’Unione Europea si doti di una propria agenzia pubblica incaricata di assegnare a rotazione alle agenzie private il lavoro di valutazione dei titoli e di verificare la congruità dei giudizi emessi sulla base di criteri oggettivi e trasparenti. Una proposta di difficile attuazione, tuttavia, a causa degli enormi interessi in gioco. Questa rimane, comunque, una delle numerose e non eludibili sfide che la Comunità dovrà affrontare in futuro, se vorrà proseguire un percorso di integrazione interna e autonomia internazionale.
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