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Leader politici e religione in America Latina ai tempi del Covid-19

Giorgia DAlbabyGiorgia DAlba
Novembre 4, 2020
in America Latina e Caraibi
Reading Time: 6min read
1
Leader politici e religione in America Latina ai tempi del Covid-19

In molti paesi latinoamericani, la religione si attesta ancora come uno dei fattori culturali più importanti. Secondo le ricerche condotte dal Pew Research Center, l’America Latina ospita più di 425 milioni di cattolici, quasi il 40% della popolazione cattolica mondiale. Tuttavia, secondo l’indagine, l’identificazione con il cattolicesimo è diminuita in tutta la regione. Lo scenario religioso si è trasformato non solo per via di chi è passato dal cattolicesimo al protestantesimo, ma anche per coloro che hanno rinunciato a qualsiasi affiliazione a religioni organizzate: atei, agnostici o senza una particolare religione.

In America Latina la religione non svolge un ruolo importante solo nella vita privata dei cittadini ma penetra anche in altre aree rilevanti, come quella politica. Il rapporto che intercorre tra religione e politica ha una lunga storia costellata da processi di simbiosi, di negoziazione e di conflitto. L’esistenza in una stessa persona del credente e del cittadino e la convivenza tra istituzioni religiose e politiche ed il rapporto tra di esse si è sempre rivelato un problema fondamentale.

A partire dalla metà del XX secolo, il legame tra politica e religione in questa regione si è sviluppato lungo due direttrici: da una parte, un processo continuo di de-confessionalizzazione dello stato, in linea con le tendenze secolarizzanti promosse dal liberalismo; dall’altra parte, una serie di ‘restauri’ che ri-confessionalizzano lo stato sotto la pressione di vari gruppi, soprattutto politici. 

Nel mondo occidentale, le attuali trasformazioni nel rapporto tra religione e politica si basano generalmente su due principi teorici: la separazione tra religione e politica, cioè tra le Chiese e lo stato, e la libertà di credo. Ma tutto questo, nel caso dell’America Latina, si mescola spesso con la visibile radicalizzazione delle tensioni latenti tra religione e politica, le conseguenze di molti cambiamenti e trasformazioni che continuano a condizionare sia l’uno che l’altro ambito della vita sociale. La presenza sociale che i leader religiosi hanno nel continente è ben nota, così come la visibile vicinanza che mantengono con le élite al potere. Non risulta anomalo, quindi, che ci siano stati molti movimenti politici emersi direttamente dal contesto religioso, o che ad esso abbiano fatto affidamento per arrivare ai cittadini.

Un esempio può essere la presidenza di Jair Bolsonaro. Il Brasile, infatti, risulta essere il paese con il maggior numero di cattolici al mondo. Ciononostante, nell’ultimo decennio la Chiesa cattolica ha perso il 12% dei suoi fedeli, che hanno cominciato a seguire il culto evangelico, che oggi conta nel paese 12 milioni di membri. Determinante per il successo del candidato di estrema destra Bolsonaro nel 2019 si dimostrò proprio il sostegno di quest’ultimi. Il leader spirituale degli evangelici, Silas Malafaia, il pastore più amato dai media brasiliani, con 5 milioni di followers sui social network, in un video postato sul suo profilo Facebook dichiarò pubblicamente il suo sostegno a Bolsonaro, il quale aveva già precedentemente firmato un impegno con la Chiesa cattolica contro la legalizzazione dell’aborto e della droga. Da quel momento in poi, i sondaggi favorevoli a Bolsonaro salirono alle stelle. 

Anche negli ultimi tempi i leader latinoamericani hanno, ancora una volta, utilizzato la religione quale mezzo per far fronte ad una situazione che sfugge alle loro capacità ed intenzioni. Il ricorso alla religione, infatti, è stato uno dei principali espedienti retorici dei presidenti latinoamericani di fronte all’insorgere del Coronavirus. Davanti all’arrivo della pandemia, le diverse confessioni religiose presenti nel continente hanno registrato un’impennata di fedeli, alla ricerca di un aiuto per non sentirsi soli davanti al pericolo che incombe per via del virus. Allo stesso modo, i presidenti della regione, dal Guatemala alla Colombia, passando per il Costa Rica, hanno lanciato messaggi di consolazione attraverso l’appello al nome di Dio, tentando, in qualche modo, di diminuire le proprie responsabilità. 

In Guatemala. il presidente Alejandro Giammattei invitò nel marzo scorso tutta la popolazione ad unirsi in preghiera e rispettare un giorno di digiuno al fine di combattere il Coronavirus e ringraziare per la vita e la salute concessa loro. Con il passare dei giorni il presidente ha più volte ribadito che lo stop dei contagi era stato reso possibile dallo sforzo di tutti i guatemaltechi ligi alle misure di contenimento per evitare la diffusione del virus, sottolineando però come questo fosse stato possibile soprattutto grazie alla benedizione ed alla forza ricevuta da Dio. Nonostante registri l’1,70% di cittadini seguaci di altre confessioni ed 1% di agnostici, il paese è composto per il 97,30% da cattolici, che hanno accolto di buon grado la proposta del proprio presidente. 

Sorte diversa è toccata invece a Ivan Duque, presidente della Colombia. Sempre lo scorso marzo, ha chiesto su Twitter che ogni colombiano, secondo il proprio credo, dedicasse nelle preghiere un pensiero al paese pregando per una rapida conclusione dell’emergenza sanitaria, invocando, a sua volta, la Vergine di Chiquinquirá, patrona della Colombia. In seguito alla pubblicazione del tweet, un cittadino colombiano si è rivolto all’Alta Corte di Cali chiedendo la tutela dei diritti riconosciuti dallo stato colombiano alla laicità, alla libertà di culto ed al principio di separazione tra stato e Chiesa. L’Alta Corte di Cali ha emesso una sentenza in favore del cittadino, ordinando al presidente Duque di cancellare il messaggio pubblicato, in quanto considerato discriminatorio. Nonostante ciò, citazioni e riferimenti ecclesiastici sono soggetti ricorrenti dei messaggi divulgati dal presidente. 

Dall’arrivo del coronavirus nella regione, il Nicaragua è stato l’unico paese a non aver chiuso le frontiere, sospeso le lezioni o limitato la mobilità dei suoi abitanti. Al contrario, ha prescritto una politica di ‘normalità’ promuovendo l’agglomerazione nonostante l’avanzare della pandemia. Sulla scia della pandemia e delle raccomandazioni internazionali, la Chiesa cattolica ha sospeso il pellegrinaggio previsto per la Settimana Santa, che vede ogni anno milioni di fedeli percorrere più di 80 chilometri in ogni direzione per diversi giorni per venerare Jesús del Rescate. Tuttavia, carretti colmi di devoti hanno intrapreso il viaggio sfidando gli ordini del clero ma contando sul sostegno del Governo sandinista. 

L’amministrazione del presidente Daniel Ortega e della moglie e vicepresidente Rosario Murillo, infatti, ha rifiutato di dichiarare una quarantena o di sospendere le attività che coinvolgono folle di persone, nonostante i casi positivi di coronavirus registrati nel paese. Anzi, è stata la stessa Murillo a ordinare il raddoppio delle attività della Semana Santa e il Piano Estate 2020, con maratone, fiere, concerti, messe in campagna, pellegrinaggi e processioni. Secondo alcuni specialisti questo atteggiamento ha portato ad un “eccesso di mortalità” nel paese.  

In un momento delicato come quello attuale, appare necessario che per non esacerbare gli effetti della pandemia i leader politici latinoamericani mirino a limitare la diffusione dei contagi, con precauzioni, misure sanitarie e sacrifici collettivi ed individuali. La gestione della crisi in tutta probabilità trarrebbe benefici da una maggiore cautela, ma resta da vedere se e come questa si scontrerà con una linea di governo che si richiami fortemente alla fede religiosa.

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Comments 1

  1. Prof.ssa Rosanna Merico says:
    4 mesi ago

    Articolo chiaro ed, oggettivo frutto di una analisi attenta e ben documentata. Complimenti

    Rispondi

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