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SPECIALE – ‘Narcos carioca’, la mafia che controlla le favelas in Brasile

Mattia FossatibyMattia Fossati
Ottobre 18, 2020
in America Latina e Caraibi, Speciale
Reading Time: 6 mins read
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SPECIALE – ‘Narcos carioca’, la mafia che controlla le favelas in Brasile

Narcotraffico, mafia e favelas. Questa è la quotidianità per i più poveri cittadini brasiliani, da Fortaleza a Porto Alegre. La mancanza dello stato spinge le persone in difficoltà a chiedere aiuto a chi di soldi ne ha a palate, cioè alla criminalità organizzata. Ed è così che è avvenuta la scalata del Primeiro Comando da Capital (PCC), l’organizzazione che controlla il 90% del traffico di droga in entrata e uscita nel paese verdeoro.

La storia di questo oscuro gruppo è raccontata nel libro Narcos Carioca – Una storia di mafie e favelas, un’inchiesta iniziata nel deserto cileno dell’Atacama e finita nei caldi quartieri di Bogotà ancora controllati dai paramilitari del Clan del Golfo. Luoghi che il PCC ha imparato a frequentare per portare a casa partite di droga a prezzi stracciati.

Dalle carceri alle favelas

Nato all’inizio degli anni Novanta nel carcere Taubaté di Sao Paulo, dove i detenuti non avevano di certo vita facile, il PCC ha presto conquistato tutti i penitenziari dello stato. Il meccanismo era semplice: più i secondini abusavano dei carcerati e più questi erano spinti ad entrare in un’organizzazione capace di rispondere colpo su colpo allo strapotere degli agenti di custodia. 

Dopo aver messo a ferro e fuoco per dieci anni le prigioni pauliste, Marcola, uno dei più carismatici leader del gruppo, capì che il PCC non poteva essere un fenomeno legato solo al contesto carcerario. Questo personaggio aveva iniziato la sua carriera nel mondo del crimine come rapinatore di banche nella zona di Santos, per poi diventare capo della banda Meninos do Morro, specializzata in assalti a furgoni portavalori. Dietro le sbarre del Taubaté conobbe Cesinha, il cofondatore del PCC, che lo convinse ad entrare nell’organizzazione. 

Verso la fine del 2003, l’astro nascente Marcola decise di espellere i vecchi capi del PCC per trasformare questa fazione criminale in una macchina per fare soldi, in primis attraverso il narcotraffico. Grazie a broker sparsi in Colombia, Venezuela, Perù e Bolivia, il PCC iniziò ad importare grandi quantitativi di pasta base della cocaina grazie a rapporti privilegiati con gli eredi di Pablo Escobar Gaviria. La droga, una volta entrata in Brasile, veniva trasportata nelle favelas di Sao Paulo per essere raffinata e tagliata da chimici al soldo del PCC. Protetti da vedette armate di AK47 e giovani tagliagole, i laboratori della fazione paulista producono ogni giorno decine di chili di cocaina, che vengono poi distribuiti in ogni angolo del Brasile.

Per assicurarsi di non incontrare intoppi lungo il trasporto della polvere bianca, gli uomini di Marcola hanno allungato le mani anche sul Paraguay, un comodo stato cuscinetto dove la politica riceve ingenti finanziamenti dai narcos. In questo modo, il PCC è diventato il più grande cartello dell’America Latina. L’unica organizzazione capace di trattare alla pari sia con il cartello di Sinaloa del leggendario El Chapo sia con i clan di ‘Ndrangheta, il principale grossista a livello europeo della cocaina. 

Dalla guerra allo Stato alla pax mafiosa

Come le grandi organizzazioni criminali, anche il PCC non ha mai nascosto la propria parte più violenta. Come nel 2006, quando, per evitare di consentire il trasferimento dei leader della fazione in carceri più sicure, Marcola ordinò ai propri uomini di scatenare l’inferno per le strade di Sao Paulo. In poche ore, 55 uomini della Policia Militar vennero uccisi con violenti attentati in varie parti della città. Un bagno di sangue che paralizzò per una settimana la più grande megalopoli dell’America Latina. A quel punto fu proprio lo stato brasiliano a sedersi al tavolo delle trattative con i boss della fazione, stringendo un patto, neanche troppo segreto, di convivenza con il crimine organizzato. 

Da quel momento, il tasso di omicidi nello stato paulista è crollato al minimo storico, a discapito però della quantità di droga trafficata, la quale è più che decuplicata. La trattativa e l’accordo con Marcola ha rappresentato una vittoria di Pirro per le istituzioni brasiliane, le quali sono sempre più infiltrate, corrotte e quindi manipolate dal denaro della cocaina targata PCC. Dopo gli attacchi del 2006, il PCC ha smesso di sparare, ricalcando la strategia già praticata da Cosa Nostra nel 1994: l’inabissamento. I cadaveri e i proiettili aumentano l’attenzione delle autorità e questo può danneggiare gli affari. Difatti, nel decennio seguente, gli uomini di Marcola hanno fatto il passo successivo nel mondo del crimine: sono entrati con entrambi i piedi nel campo del riciclaggio del denaro e della corruzione politica. 

L’attentato contro Bolsonaro e la discesa in campo del PCC

Cambiando spesso pelle, il PCC è riuscito a mantenere intatto il proprio potere per più di vent’anni. Anzi, oggi sembra addirittura interessato ad entrare con maggiore forza in politica per chiedere un miglioramento delle condizioni dei detenuti oppure per proporre propri candidati alle elezioni. Un’inchiesta condotta dalla Policia Federal di Rio de Janeiro appunta che il PCC avrebbe avuto “un forte interesse” ad eliminare Jair Bolsonaro, attuale presidente della Repubblica che durante la campagna elettorale del 2018 venne gravemente ferito da una coltellata allo stomaco. Secondo gli accertamenti dei federali, non è da escludere una possibile partecipazione del PCC nella preparazione dell’attentato. D’altronde, già in Paraguay vi sono molti sospetti riguardo a possibili deputati o senatori eletti grazie ai voti del PCC.


Non sappiamo quando si fermerà la corsa alla conquista dell’America Latina del Primeiro Comando da Capital; possiamo solo affermare che, se le condizioni dei carcerati in Brasile non miglioreranno, i boss della prima mafia sudamericana avranno sempre nuove leve tra le proprie fila.

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