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SPECIALE – Geopolitica della sanità: gestione politica ed economica del Covid-19

mmmmbySantiago OlarteandValeria Pietrobono
Novembre 19, 2020
in Speciale
Reading Time: 12 mins read
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SPECIALE – Geopolitica della sanità: gestione politica ed economica del Covid-19

A sei mesi dalla scoperta del primo caso di coronavirus a Wuhan, l’epidemia si è ormai sparsa in tutto il mondo. Al momento della scrittura di questo articolo, i casi totali di contagiati a livello globale, secondo i dati della John Hopkins University, hanno superato i 12 milioni di persone, mentre i morti sono oltre 500.000. L’impatto sociale ed economico di questa epidemia avrà degli inevitabili effetti a lungo termine. Il mondo, infatti, sta affrontando la più grande crisi economica dal 1929 ad oggi: la Banca Mondiale ha previsto una contrazione del PIL mondiale del 5.2% e una diminuzione dei redditi pro capite del 3.6% per il 2020. Di fronte a questa crisi generale, ciascuno stato ha dovuto adottare una serie di misure politiche ed economiche che si sono rivelate, in seguito, più o meno efficaci. La decisione su quali strategie seguire non è stata facile, dal momento che molte variabili sono entrate in gioco: le misure dirette ad arginare la diffusione del virus hanno avuto anche effetti indiretti sulla disoccupazione e sulla sicurezza alimentare. Un’analisi di queste strategie può aiutare a comprendere meglio come il mondo abbia affrontato questi primi mesi di lotta al nuovo coronavirus e come si stia preparando per la fase di convivenza con il ‘nemico’.

Le misure politiche: prontezza e comunicazione

Uno dei primi fattori determinanti nella lotta al Covid-19 riguarda la prontezza delle risposte politiche. I paesi che hanno implementato senza ritardi misure di quarantena e distanziamento sociale sono quelli che hanno scampato il maggiore danno. Per esempio, paesi come Taiwan e Singapore, poco dopo il primo caso confermato dentro i propri confini, sono riusciti a imporre un divieto per i viaggi internazionali assieme a misure di quarantena e alla definizione di un sistema di contact tracing. Altri stati, invece, non sono stati altrettanto tempestivi, modificando la propria strategia in corso d’opera. É il caso del Regno Unito che , nonostante molti stati europei fossero già sotto quarantena, solo il 23 marzo ha deciso di omologarsi nelle misure cautelari contro il virus prese dai vicini, rigettando il primo piano di risposta che prevedeva la creazione di una “immunità di gregge”. Questo tentennamento iniziale, però, aveva permesso nel frattempo lo svolgimento di eventi pubblici come concerti e partite di calcio. Il ritardo del Governo inglese avrebbe portato la nazione ad essere quella con il più alto numero di morti in Europa. 

Un altro fattore da tenere in conto riguarda la tipologia di comunicazione adottata dai Governi. Una comunicazione chiara e trasparente, che si appoggia su dati scientifici, risulta essere più efficace al momento di preparare la popolazione e formulare una risposta coerente e unica all’emergenza. Il caso della Germania è esemplare da questo punto di vista: fin dal primo messaggio in tv alla nazione, la cancelliera Merkel, con le parole “la situazione è seria. Prendetela seriamente”, aveva illustrato la gravità dell’epidemia. La Cina può rappresentare il caso opposto di mancanza di trasparenza, almeno iniziale: il Governo di Xi Jinping avrebbe inizialmente cercato di nascondere la reale portata di questo nuovo virus e avrebbe silenziato alcune voci che cercavano di allarmare la popolazione, come nel caso del dottor Li Wenliang. Questa iniziale reticenza avrebbe probabilmente aiutato la propagazione del virus a Wuhan e poi su scala mondiale, secondo le voci critiche contro l’atteggiamento di Pechino e secondo le accuse stesse del presidente statunitense Trump.

Tuttavia, non è soltanto la segretezza ad aver creato un pericolo per la salute pubblica. All’arrivo del nuovo virus al di fuori del continente asiatico, infatti, molti personaggi politici hanno preferito adottare una strategia negazionista, assieme alla diffusione di disinformazione e fake news, presumibilmente per tentare di salvaguardare gli interessi economici del paese: infatti, riconoscere la presenza del virus avrebbe significato dover congelare le strutture produttive, gettando tutta o parte della nazione in quarantena. Il presidente statunitense Trump, per esempio, ha costantemente sottovalutato il pericolo dell’epidemia e addirittura ha suggerito l’iniezione di disinfettante come una cura efficace contro il virus (notizia subito smentita da tutta la comunità scientifica in quanto potenzialmente pericolosa). Allo stesso modo, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha da sempre negato la reale portata di questo nuovo virus, arrivando a definirlo “poco più di una febbriciattola”. Va notato che in entrambi i paesi vige un sistema federale, che ha permesso di limitare i danni della gestione del Governo. I governanti e i sindaci, però, si sono comunque trovati in grande difficoltà nel gestire l’epidemia a causa dei conflitti interni con i rispettivi Governi. Da una parte, i presidenti di entrambi i paesi incitavano la cittadinanza a non rispettare le misure di distanziamento sociale: Trump ha più volte sostenuto su Twitter le rivolte dei cittadini negli stati americani contro le misure di distanziamento sociale, mentre Bolsonaro si è spinto addirittura oltre organizzando delle manifestazioni per disobbedire alle misure imposte dai governatori. Dall’altra, la mancanza di una risposta federale coordinata ha determinato, in gran parte, la difficoltà nell’effettuare test negli Stati Uniti e la scarsità di equipaggiamento medico in Brasile.

Una menzione a parte merita la Svezia. Questa è fra i pochi paesi al mondo che non hanno adottato misure di quarantena stringenti. Il Governo svedese ha mantenuto aperte le attività commerciali, come bar e ristoranti, raccomandando solo di rispettare il distanziamento sociale. Le scuole per i ragazzi sotto i 16 anni sono rimaste aperte mentre i raduni con più di 50 persone sono stati vietati. Per capire se la strategia svedese abbia funzionato o meno, bisognerà attendere, però, le conseguenze sul lungo periodo, dal momento che questa strategia si basa sulla previsione di una seconda ondata in autunno. Per il momento, il tasso di mortalità del paese (44 persone per 100.000 abitanti) è il più alto in Europa, arrivando a superare addirittura il Regno Unito.

Gestione economica della pandemia

Trovandosi ad affrontare una crisi senza precedenti, molti Governi sono stati costretti a mettere in atto misure di confinamento straordinarie. Nella prima fase di contrasto, sebbene attuata in modalità e livelli di intensità distinti da stato a stato, la vita delle persone è stata fortemente scossa, dovendo queste ultime limitare sostanzialmente le loro attività quotidiane. I Governi hanno dovuto bloccare ampi segmenti di attività economiche, al fine di ridurre al minimo i contatti tra individui e dando così avvio ad un’inevitabile emergenza economica. Tutto questo ha richiesto l’attuazione di misure volte ad ampliare le capacità di assistenza sanitaria, a preservare il reddito dei lavoratori e delle aziende nonostante l’arresto delle attività ed infine a garantire il debito privato. 

Per citare alcuni esempi a livello mondiale, la Cina ha finora annunciato una serie di misure dal valore di circa ¥4,2 trilioni (pari a circa $580 miliardi) con un focus particolare sugli investimenti in infrastrutture, sulla spesa per la prevenzione e il controllo delle epidemie, e sull’erogazione accelerata dell’assicurazione contro la disoccupazione. Si tratta di soluzioni che non risultano essere molto lontane da quelle optate dall’antagonista statunitense che, assieme all’adozione di una legge sulla valorizzazione dell’assistenza sanitaria, ha lanciato un programma di protezione dello stipendio da $483 miliardi. Non meno significative le linee predisposte dalla Commissione europea, che ha attivato fin da marzo la clausola generale di fuga del Patto di Stabilità, consentendo agli stati di far fronte a deficit superiori al 3% del PIL. Accanto a questa decisione già di per sé estremamente eccezionale, l’Unione Europea ha anch’essa elaborato pacchetti di misure volte al sostegno della disoccupazione (fondo SURE), delle imprese, così come delle spese sanitarie sostenute dagli stati membri per rispondere alla crisi.

Interventi importanti sono stati realizzati anche con riferimento alla politica monetaria, tanto che l’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE) ne ha constatato degli allentamenti generali, con tagli ai tassi di interesse, miglioramenti nei programmi di acquisto di asset ed interventi mirati all’interno di mercati finanziari sottoposti a condizioni di stress estremo. L’emergenza Covid-19 ha infatti spinto Fed e Bce a scelte coraggiose. La prima nell’annunciare il lancio del QE Infinity e l’acquisto di bond societari; la seconda nell’introduzione e nel successivo ampliamento di un programma di acquisto di titoli del settore pubblico e privato (Pandemic Emergency Purchase Program, PEPP). Quanto alla Turchia, la Banca Centrale è intervenuta nel ridurre il tasso di interesse di un punto percentuale, portandolo così all’8,75%. Una riduzione considerata rischiosa da parte dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, secondo cui si tratterebbe di una scelta che, sebbene sia volta principalmente a stimolare la crescita ed i prestiti per le famiglie e le imprese, rischia però al contempo di aumentare la vulnerabilità della valuta turca e di far crescere l’inflazione.

Così, per la prima volta dopo la Grande Depressione, ci si trova dinanzi ad una situazione di recessione comune sia ai paesi economicamente avanzati, che a quelli emergenti. Come detto, la Banca Mondiale ha già annunciato un calo del PIL mondiale pari al 5,2% nel 2020, ritenendo però che a pagare il prezzo più alto della crisi saranno i paesi emergenti. Questi ultimi infatti, a causa della mancanza di budget sufficienti e della scarsa capacità amministrativa di distribuire aiuti alla popolazione, saranno costretti a chiedere aiuti agli stati economicamente più sviluppati, ampliando ancor più il divario già esistente. 

Gli effetti terzi

Come accennato nell’introduzione, la recessione economica non è l’unico effetto di questo virus, che ha innescato conseguenze disastrose anche in ambito occupazionale e scolastico, aumentando il livello di povertà estrema nel mondo.

L’OCSE ha stimato che, tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020, i paesi costituenti avvertiranno un aumento del tasso di disoccupazione di circa sei punti percentuali, quasi il triplo di quanto avvenuto in occasione della Grande Recessione, dove l’aumento era stato del 2,2%. Secondo quanto affermato dalla Commissione europea, la disoccupazione subirà un forte aumento in Europa, passando dal 6,7% registrato nel 2019 al 9% nel 2020. Dello stesso parere anche il Fondo Monetario Internazionale, che ad aprile ha pubblicato le previsioni mondiali per quest’anno ed il prossimo. In particolare, saltano all’occhio i dati riportati per tre diversi stati: la Spagna (il cui tasso di disoccupazione passerà dal 14,1% al 20,8%), gli Stati Uniti (dal 3,7% al 10,4%) e il Sudafrica (dal 28,7% al 35,3%).

I giovani sono stati identificati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro come le principali vittime degli effetti socioeconomici della pandemia, rimarcando un massiccio aumento del tasso di disoccupazione giovanile a partire da febbraio 2020, in particolare per quanto riguarda le giovani donne. In Canada, ad esempio, il tasso di disoccupazione è aumentato di poco più di sei punti percentuali per gli adulti, del 14% per i giovani uomini, mentre si è giunti fino al 20,4% nel caso di giovani donne. 

È evidente quindi come la crisi attuale stia costituendo un vero e proprio blocco all’accesso al mercato del lavoro da parte delle nuove generazioni. Situazione peraltro aggravata dalla chiusura prolungata di gran parte degli istituti scolastici nel mondo. Riportando impatti di lunga durata per le società, l’esclusione dei giovani dal lavoro costituisce uno dei maggiori pericoli a cui i Governi sono chiamati a far fronte. Se protratta nel tempo, infatti, la crisi occupazionale minaccerebbe non soltanto di compromettere la qualità e la quantità dei posti di lavoro, ma anche di esacerbare disuguaglianze già esistenti a livello interno ed esterno.

Tra le altre conseguenze della pandemia su cui vale la pena soffermarsi, vi è anche il forte impatto sulla sicurezza alimentare generato dalla chiusura delle scuole, così come l’accrescimento dei poteri in capo alla criminalità. Quanto al primo, non va dimenticato che in paesi come il Kenya ed il Congo, molto spesso non andare a scuola vuole anche dire saltare l’unico pasto della giornata. Un problema tra l’altro sempre più grave, visto l’incremento del numero di persone in condizione di estrema povertà ed in relazione al quale si prevede il raggiungimento di 100 milioni di casi nel mondo. Solamente in Africa occidentale, il numero di persone che potrebbero trovarsi in situazione di insicurezza alimentare potrebbe raggiungere i 43 milioni nei prossimi mesi, raddoppiando così il numero attuale. La chiusura delle scuole in questa regione ed in Africa centrale ha colpito 18 milioni di scolari supportati da programmi nazionali di alimentazione scolastica gestiti dal Governo e 2,2 milioni di studenti nelle scuole sostenute dal World Food Programme, aggravando ulteriormente la già difficile situazione in cui versano molte famiglie. La ricerca di alternative si rivela così essere essenziale. Un esempio in proposito lo troviamo nel caso del Niger, in cui le scorte di pasti scolastici disponibili, sono state ridistribuite sotto forma di porzioni da portare a casa.

Da ultimo, come già avvenuto più volte in passato in molti paesi a basso e medio reddito in seguito a crisi economiche, la chiusura delle scuole e la recessione economica mondiale potrebbero contribuire ad incentivare pratiche di sfruttamento minorile. È quanto sostenuto da UNICEF e ILO (International Labour Organization). Un caso simile, per esempio, si era verificato in Costa d’Avorio nel 1990 in seguito al calo del prezzo del cacao. Uno studio ha mostrato che in quell’occasione, oltre ad un calo del 10% del reddito, si erano contemporaneamente registrati anche un calo di oltre 3 punti percentuali del numero di iscritti a scuola ed un aumento di oltre 5 punti percentuali delle pratiche di lavoro minorile, a piena dimostrazione del fatto che, in condizione di estrema povertà, le famiglie sono pronte a sfruttare ogni possibilità a loro disposizione pur di sopravvivere, compreso il lavoro minorile. Questo avalla la preoccupazione già manifestata da Save the Children, secondo cui le conseguenze socioeconomiche della pandemia spingeranno molte famiglie povere ad optare anche per le più drammatiche possibilità a loro disposizione.

Conclusione

La gestione politica ed economica dell’epidemia ha richiesto un grande sforzo da parte di ogni singolo paese. Purtroppo, il virus è ancora lontano dall’essere definitivamente sconfitto, per quanto recenti scoperte da parte di ricercatori di Oxford su un possibile trattamento a base di desametasone siano state provate efficaci nel ridurre la mortalità da Covid-19. Comunque, fino alla scoperta di un vaccino o di una terapia efficace, i Governi dovranno ancora lavorare affinché la vita sociale ed economica possa tornare ad una certa normalità, evitando che una seconda ondata di contagi si abbatta sul mondo: un nuovo forte rialzo dei contagi potrebbe rivelarsi fatale per l’economia mondiale.

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