“Russia in 2020: Will the Economy Grow Faster?”: era proprio a questo interrogativo cui lo storico e giornalista britannico Jake Cordell cercava di dare una risposta nella sua analisi pubblicata a Natale 2019 sulle colonne di The Moscow Times, unico quotidiano russo pubblicato nella lingua di Shakespeare.
In effetti, lasciato alle spalle almeno un lustro di stagnazione economica che affonda le radici in tempi antecedenti la contestata annessione della Crimea nel marzo 2014, la Federazione Russa avrebbe potuto avere tutte le carte in regola per un ritorno alla crescita, seppur modesta, del suo Prodotto Interno Lordo (tra l’1,5 ed il 2%, secondo gli analisti). Tale contesto favorevole teneva conto anche del basso tasso di inflazione su base annua, ai minimi storici dal collasso dell’Unione Sovietica (3% a dicembre 2019).
Questo avrebbe consentito, da una parte, un taglio del tasso di interesse attorno al 5% da parte della Banca Centrale di Mosca, che avrebbe incoraggiato prestiti ed investimenti da parte di famiglie ed imprese; dall’altra, un aumento della spesa pubblica del 6,5% circa rispetto al 2019 (circa 32 miliardi di dollari), che avrebbe portato le spese totali dello Stato a circa 19,5 trilioni di rubli (circa 310 miliardi di dollari), mettendo fine ad anni di austerità. L’adozione di queste misure avrebbe giovato non solo alla crescita dell’economia, ma probabilmente anche alla popolaritá del presidente Vladimir Putin, il cui indice di gradimento generale, nonostante la sua rielezione del maggio 2018, é ai valori più bassi dal debutto del suo primo mandato, nel maggio 2000.
Benché siano trascorsi pochi mesi da queste rosee previsioni, l’epidemia da Coronavirus che sta coinvolgendo il mondo intero non lascia dormire sonni tranquilli neanche al nuovo governo russo guidato da Mikhail Mishustin, in carica da gennaio di quest’anno. Infatti, la densitá abitativa piuttosto bassa della Russia aveva in un primo momento scongiurato la diffusione del Covid-19 nel paese. Tuttavia, le blande misure di contenimento del presidente Putin, che ha inizialmente delegato la gestione dell’emergenza ai governatori degli 85 soggetti federati, hanno favorito l’aumento esponenziale dei casi, soprattutto nelle tre cittá federali (Mosca, San Pietroburgo e Sebastopoli), costringendo al fermo delle attivitá produttive in tutto il paese il 1 aprile. Da quella data, tuttavia, la crisi sanitaria è progressivamente peggiorata, al punto che il 30 aprile lo stesso primo ministro Mishustin ha dichiarato la propria positivitá al Covid-19, seguito da alcuni ministri. Al 14 maggio 2020 la Russia, con oltre 250mila casi, figura seconda al mondo per numero di individui contagiati, alle spalle dei soli Stati Uniti, i cui casi accertati sono ben superiori alla soglia del milione.

Se, dando retta ai numeri, si evince con chiarezza l’emergenza sanitaria senza precedenti alla quale la Federazione Russa é costretta in questi giorni, restano ancora tutti da quantificare i risvolti economici, i cui effetti sono destinati a protrarsi a lungo. A marzo del 2019, infatti, il ministero delle risorse naturali e dell’ambiente della Russia stimava che il valore complessivo delle attività collegate al petrolio, gas e altre risorse naturali ammontasse al 60% del PIL. Tuttavia, il fermo totale delle attivitá economiche imposto in molti paesi per la diffusione del Coronavirus ha drasticamente diminuito la domanda di energia: strade vuote, aerei a terra e fabbriche chiuse hanno trascinato il prezzo del petrolio sui mercati internazionali ai minimi storici dal 1983, quando furono avviate le rilevazioni. Non è un caso che il 20 aprile scorso proprio il WTI (il greggio estratto in Texas) venisse scambiato a New York a -37,63 dollari al barile.
Considerato che, per la prima volta nella storia, un barile di greggio è valso meno di una bottiglia d’acqua minerale, si capisce perfettamente la preoccupazione di molti russi. “Le persone non sono così spaventate dal coronavirus, quanto dalle sue conseguenze economiche, dai livelli dei salari, dai licenziamenti ed in secondo luogo sono stanchi dello stesso Putin… non ci si aspetta nulla di nuovo da parte sua” spiega Denis Volkov, vicedirettore del Centro Levada, una delle rare organizzazioni non governative russe di sondaggi e di ricerca sociologica.
È quindi indubbio che i piani del Cremlino per l’economia siano stati in gran parte compromessi dal COVID-19, visto che il governo dovrá allocare una fetta ingente delle risorse per ripianare il buco nelle entrate di bilancio dovuto al lockdown di questi giorni. Inoltre, con il prezzo del petrolio ben al di sotto dei 42 dollari al barile necessari per il pareggio di bilancio alle condizioni attuali, il fondo sovrano russo sarebbe in grado di finanziare il Bilancio dello Stato, attingendo anche alle riserve, per un massimo di 2 anni.
Alla luce della recente crisi, il Governo ha rivisto decisamente al ribasso le stime di crescita per l’anno in corso, essendo previsto un calo del PIL di circa il 5,5% rispetto al 2019. A causa, dunque, sia della eccessiva dipendenza economica della Russia dal mercato energetico, sia della mancata diversificazione che i cittadini russi attendono ormai da troppo tempo, l’impatto economico del COVID-19 rischia di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita di milioni di russi, il cui 15% circa vive sotto la soglia di povertà.
Un altro imprevisto annesso alla pandemia sarà l’annullamento, per la prima volta dal 1995, della grande parata militare a Mosca del 9 maggio, festa nazionale in cui la Russia celebra la vittoria nella Grande Guerra Patriottica contro il nazifascismo – così è chiamata la seconda guerra mondiale – del 1945. Anche questo rischia di costare caro al presidente in termini di reputazione. Infatti, é proprio intorno a questa data che il Cremlino si è speso negli ultimi anni per creare consenso a tutti i livelli, mostrando, in patria come all’estero, la rilevanza dell’industria bellica russa, nonché l’unitá e la forza della nazione.
Se, quindi, almeno fino a quest’anno, la realtá economica interna ha potuto essere almeno in parte edulcorata agli occhi di molti cittadini attraverso prove di forza militare, è assai improbabile che accada nei mesi a venire. Come ha sottolineato Alexander Safonov, vicerettore dell’Universitá Finanziaria sotto il governo della Federazione Russa, a fine 2020 vi potrebbero essere 7 milioni in più di disoccupati, che raddoppierebbero il tasso di disoccupazione, portandolo dall’attuale 5% al 10,3%. Qualora tale previsione si concretizzasse, la popolarità del presidente Putin sarebbe destinata a crollare ulteriormente, ed è probabile che questo aspetto sia tra i più temuti dal Cremlino.
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