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L’impatto del Covid-19 sulla food security e la filiera alimentare

Jasmina SaricbyJasmina Saric
Giugno 29, 2020
in Europa Occidentale, Uncategorized
Reading Time: 10min read
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L’impatto del Covid-19 sulla food security e la filiera alimentare

Inizia ad intravedersi la ‘luce alla fine del tunnel’ della pandemia di Covid-19, ora che nel nostro paese è ormai iniziata dal 4 maggio la “Fase 2”, inaugurata dal Dpcm del 26 aprile. Nonostante ciò, la ripresa della quotidianità dopo la crisi pandemica procederà molto probabilmente a rilento. Gli effetti del lockdown stanno soffocando l’economia mondiale: lo dimostra la caduta del prezzo del petrolio, che ha registrato addirittura indici negativi, e la crisi di molte piccole attività lavorative che vedono lontano il giorno della riapertura, come i parrucchieri e gli estetisti, esposti al rischio di fallimento. La pandemia, però, non risparmia neanche il settore alimentare. Paradossalmente, si potrebbe dire. Infatti, rispetto ai settori che sono stati oggetto della chiusura imposta dalla maggioranza dei Governi europei, le attività di distribuzione del cibo (come i supermercati) sono state tra le poche rimaste aperte durante la quarantena, in quanto fornitrici di beni strettamente necessari. Tuttavia, per quel che concerne la produzione e il consumo, la nostra food security (ossia, sicurezza alimentare) è e sarà in qualche modo condizionata dall’impatto economico e sociale del nuovo coronavirus, come prevede il Committee on World Food Security della FAO. 

Food security: cosa significa e come può essere compromessa?

Secondo la definizione data dalla FAO al World Food Summit del 1996, per sicurezza alimentare si intende una “situazione in cui tutte le persone possono disporre in ogni momento, dal punto di vista economico e fisico, degli alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti” per condurre una vita attiva e sana. Questa definizione include due dimensioni: la prima è la food safety, ossia il diritto di potersi nutrire di alimenti sani e non contaminati, cosa che al giorno d’oggi non è assicurata nemmeno nei paesi più sviluppati. In questo senso, le linee guida della World Health Organization assicurano che i beni alimentari non sono un veicolo di trasmissione del virus e dunque non costituiscono un rischio per la salute. La seconda dimensione riguarda la food security, che, come sottolinea la fondatrice del Future Food Institute Sara Roversi, è “l’accesso fisico, economico e sociale” a quei beni che “rispecchiano le loro preferenze alimentari e le loro necessità dietetiche”. L’accessibilità al cibo implica, quindi, che gli alimenti debbano essere distribuiti e disponibili localmente e che possano essere economicamente raggiungibili. 

Per i paesi in via di sviluppo, questa emergenza non fa che peggiorare un quadro già caratterizzato dalla mancanza di approvvigionamenti e dalla qualità precaria degli alimenti. Eppure, anche i paesi europei stanno riscontrando problematiche relative a una crisi della produzione alimentare e a un cambiamento della domanda alimentare dei consumatori.

L’economia agricola dell’Unione europea: un’altra vittima del Covid-19

La filiera alimentare è una catena molto complessa, in quanto include l’interazione di una molteplicità di attori e la successione di varie fasi: dalla produzione alla distribuzione, dalla ristorazione al consumo, dalla redistribuzione fino allo smaltimento. Il nuovo coronavirus sta avendo effetti svariati in ogni suo comparto. Il settore che più sta risentendo della pandemia è quello della produzione agricola, colpito in modo particolarmente grave nell’Unione Europea. Nonostante l’attuale programmazione 2014-2020 abbia ridotto le risorse destinate alla Politica Agricola Comune (PAC), che negli anni ‘80 rappresentava il 66% del bilancio europeo, la PAC costituisce ancora oggi uno dei pilastri su cui si fonda l’intervento europeo, regolando un settore a cui è destinato circa il 34,5% del bilancio comunitario. 

La pandemia ha messo in luce alcune debolezze della struttura agricola europea: il blocco alla libera circolazione delle persone ha impedito a paesi come la Germania, l’Italia e la Spagna di usufruire del lavoro di raccolta dei prodotti agricoli svolto da molti braccianti provenienti dall’Est europeo. La Germania, ad esempio, assume in media 300.000 lavoratori stagionali stranieri, in buona parte provenienti dalla Romania. Tuttavia, le stringenti norme di chiusura del paese, annunciate il 24 marzo scorso dal presidente romeno Klaus Iohannis, impediscono movimenti oltre confine e impediscono il trasferimento di questa manodopera.

La pandemia aumenta anche il rischio per la salute degli operatori alimentari nelle aziende, dove rispettare il distanziamento fisico non è semplice nei periodi di raccolto nei campi o all’interno di strutture come i macelli, e dunque può comportare maggiori probabilità di contagio. Inoltre, l’età media dei lavoratori stessi è elevata: il settore agricolo nei paesi dell’Unione è poco ‘giovane’, dato che solo poco più del 10% dei capi d’azienda ha meno di 40 anni e che buona parte degli impiegati ha più di 60 anni.

Gli effetti del coronavirus rischiano di danneggiare anche il commercio del settore agricolo e agro-alimentare. È ciò che l’Unione europea e altri 21 membri del WTO, che insieme costituiscono il 63% dell’export e il 55% dell’import agricolo mondiale, hanno sostenuto lo scorso aprile in una dichiarazione congiunta: assicurare l’accesso ad una varietà di prodotti alimentari è fondamentale per garantire il rispetto dei principi della food security. Le preoccupazioni scatenate dalla bufera Covid-19 riguardano in particolare le possibili restrizioni all’esportazione di prodotti agroalimentari, che potrebbero intralciare in maniera significativa il commercio e le filiere produttive. Segnatamente, l’Italia è stata una delle vittime di questa circostanza, dopo che nel 2019 le sue esportazioni agroalimentari hanno raggiunto la cifra record di 44,57 miliardi di euro, con una crescita del 5,3% rispetto al 2018. In particolare, i controlli alle frontiere imposti dall’Austria ad inizio marzo hanno creato disagio nel passaggio delle merci dal Brennero, da cui, secondo Coldiretti, transitano la metà delle esportazioni italiane, per un valore di 200 miliardi di euro. Considerato che il 60% dell’export agroalimentare è destinato agli stati europei, il blocco alle frontiere potrebbe non solo recare danni al commercio italiano, ma anche indurre una riduzione dell’offerta di prodotti agroalimentari per quei paesi, come Francia e Germania, che sono tra i maggiori consumatori del made in Italy. “L’industria alimentare subirà un duro contraccolpo nei prossimi mesi per via dell’emergenza Coronavirus, come tutti gli altri settori industriali”, ha commentato Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare.

Consumo alimentare: cambiamento negativo o positivo?

Le prime immagini dello scoppio della pandemia mostravano gli scaffali vuoti di molti supermercati, presi d’assalto da molti consumatori per la paura del diffondersi della malattia in Europa, che li costringeva a fare ore ed ore di fila per acquistare più scorte possibili. In un certo senso, almeno inizialmente, la percezione comune dell’emergenza era di esser diventati food insecure. Dopo le prime risposte da parte delle istituzioni nazionali ed europee alle ondate di panico, il rischio di una nuova riduzione dell’accesso regolare ai beni alimentari è adesso rappresentato dalla difficoltà stessa dei consumatori ad acquistarli. Infatti, secondo le stime offerte dalla FAO, dalla Banca Mondiale e da altre organizzazioni internazionali, la diminuzione dei redditi e la perdita dei posti di lavoro contribuiranno a ridurre significativamente i consumi. Parallelamente, influirà negativamente anche l’andamento crescente dei prezzi dei generi alimentari: in Italia, ad esempio, l’Istat ha annunciato che a marzo “i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano da +0,3% di febbraio a +1,0%”.

D’altra parte, i nuovi limiti posti dalla pandemia stanno cambiando le abitudini alimentari dei consumatori, spesso in favore di un’attenzione maggiore agli sprechi e ad una qualità maggiore del cibo. Secondo un sondaggio sulle abitudini alimentari degli italiani, svolto dal Future Food Institute su un campione di 1000 persone, il 37% degli intervistati dice di sprecare meno cibo di prima, mentre il 60% sostiene di non buttare quasi nulla. Sullo stesso campione, il 44% spende di più puntando sull’acquisto di più materie prime rispetto al passato, mentre diminuisce la spesa per i prodotti confezionati. 

Rimedi alla crisi della sicurezza alimentare

In vista di una maggiore tutela della food security degli individui, l’Unione europea sta provvedendo a mettere in campo iniziative e campagne sia per una disponibilità continua di prodotti alimentari, sia per sostenere l’attività delle aziende. Per garantire la continuità della produzione di alimenti sani e sicuri in Europa, la Commissione ha proposto una serie di misure concrete per attenuare le difficoltà economiche sostenute dagli agricoltori. “La lotta contro il coronavirus ha ripercussioni su tutti i settori dell’economia europea – ha dichiarato la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen – uno dei settori in cui non possiamo tollerare alcuna interruzione è quello alimentare. In questi tempi difficili sosteniamo i nostri agricoltori”.


Nei prossimi mesi potremmo sviluppare una nuova consapevolezza degli effetti della pandemia di Covid-19 sulla nostra food security, per cui ogni intervento economico e politico in questo ambito sarà significativo. Tuttavia, non si può dire che tutto tornerà alla normalità. Anzi, l’esperienza Covid-19 potrebbe portare con sé un cambiamento positivo sotto il profilo della food safety: una nuova prospettiva di valorizzazione della qualità e di parsimonia nel consumo di ciò che è necessario al nostro sostentamento.

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