
Fino a poco più di un secolo fa, i lavoratori non avevano diritti. Lavoravano anche 16 ore al giorno, in ambienti malsani, con salari estremamente bassi, e spesso morivano sul luogo di lavoro. Il primo maggio 1890, data scelta per commemorare i ‘martiri di Chicago’ del 1886, la Seconda Internazionale proclamò una grande manifestazione per chiedere la riduzione della giornata lavorativa ad otto ore. L’iniziativa raccolse ampia adesione a livello internazionale, non data per scontata dai movimenti operai. Scrisse entusiasticamente Friedrich Engels, in una prefazione al Manifesto del Partito Comunista datata proprio in quel giorno: “il proletariato d’Europa e d’America passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito”. Fu un primo passo verso un lungo percorso di lotte per la difesa dei diritti dei lavoratori che, rinnovandosi per far fronte alle nuove sfide e alle forme di produzione odierne, perdurano ancora oggi.
L’emergenza coronavirus ha profondamente cambiato non solo le abitudini di vita delle persone, ma anche il loro modo di lavorare. È stato utilizzato, infatti, in maniera molto più diffusa e preponderante una modalità lavorativa definita ‘smart working’.
Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano, “il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro”. Questa definizione può variare da paese a paese e in alcuni essa coincide con il significato di ‘telelavoro’.

Questa pratica, per quanto si stia diffondendo solo ora in Italia, è largamente più utilizzata in Europa. Secondo i dati Eurostat del 2018, il paese con il maggior numero di smart workers è l’Olanda (13,7%) seguita da Lussemburgo (12,7%) e Finlandia (12,3%). L’Italia in questa classifica si situa negli ultimi posti, con il 3,6%. Il divario è evidente soprattutto nella Pubblica Amministrazione, dove uno studio dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano riportava nel 2017 che “solo il 5% delle pubbliche amministrazioni italiane coinvolte nella ricerca ha progetti strutturati di Smart Working”.
Alcune norme giuridiche regolamentano il telelavoro a livello europeo, inteso sia come lavoro agile subordinato che autonomo. “Il pilastro europeo dei diritti sociali”, ad esempio, precisa che i principi in esso contenuti “si applicano a tutte le persone occupate, indipendentemente dalla loro situazione occupazionale, dalle modalità e dalla durata dell’occupazione”. L’accordo-quadro europeo sul telelavoro, inoltre, inserisce un elemento importante riguardante i lavoratori disabili, in quanto afferma che l’Unione Europea “deve incoraggiare tale nuova forma di organizzazione del lavoro in modo tale da coniugare flessibilità e sicurezza, migliorando la qualità dei lavori ed offrendo alle persone disabili più ampie opportunità sul mercato del lavoro”.
Molti sono i vantaggi consentiti dall’utilizzo dello smart working. Ad esempio, una maggiore flessibilità ed autonomia nel decidere in quali spazi lavorare, come gestire il proprio tempo e quali strumenti impiegare. Questa analisi viene confermata da un sondaggio condotto da Industree Communication Hub e TBS Group nel 2018. L’indagine, che ha coinvolto più di 5000 professionisti dei settori Human Resource Management, Comunicazione interna e Direzione Generale, valuta il significato che le imprese conferiscono al lavoro agile. Quasi l’80% degli intervistati ha individuato come beneficio più significativo il migliore equilibrio tra i tempi di vita e di lavoro, mentre un alto numero di dipendenti ha apprezzato il fatto di avere più responsabilità e indipendenza. Infine, il 40% considera lo smart working come un’opportunità per ottimizzare il proprio tempo e incrementare la produttività della propria azienda. Questa modalità, quindi, permetterebbe di armonizzare vita professionale e privata, potenzialmente favorendo l’aumento della produttività.

Quest’ultima affermazione è tuttavia portatrice di altre problematiche: non per tutti, infatti, è possibile tenere separata la sfera lavorativa da quella famigliare. Attuare questa separazione è ancora più difficile per le donne, che spesso sono i soggetti più gravati dal peso della cura e della gestione domestica. “Stando agli ultimi dati del World Economic Forum relativi al contesto mondiale, le donne si fanno carico del cosiddetto lavoro di cura non retribuito in una misura tre volte maggiore rispetto a quella degli uomini e, anche per far fronte a queste attività non retribuite, si trovano in larga misura ad accettare posizioni lavorative part-time.”, asserisce Azzurra Rinaldi sul Sole 24 Ore. L’epidemia potrebbe quindi condurre ad un arretramento delle conquiste sulla parità di genere, ponendo le famiglie dinanzi al dilemma di scegliere chi, all’interno della coppia, dovrà sospendere l’attività lavorativa per dedicarsi ai figli e agli anziani. In questo ambito, il ricorso allo smart working, ove possibile, potrebbe mitigare gli effetti dannosi dell’epidemia.
In ultima analisi, nel medio e lungo periodo la pandemia avrà ripercussioni considerevoli sull’organizzazione del lavoro, in termini di cambiamento di processi e metodi. I futuri sistemi lavorativi dovranno essere ri-progettati secondo le norme di tutela della salute e una costante attività di prevenzione del virus. Questo sarà possibile attraverso consistenti investimenti nelle nuove tecnologie e un conseguente potenziamento delle attività in smart working. Questa ipotesi, fondata sulla combinazione di sicurezza per la salute e tecnologia, va interpretata come una grande opportunità di ricerca e prevenzione e potrebbe estendere i suoi effetti anche al di là dell’emergenza legata al COVID-19
In sostanza, una parte del mondo lavorativo che abbiamo conosciuto stra attraversando un cambiamento radicale. E’ stato trasformato dall’epidemia, tramutato in una nuova realtà dove non sembra esserci più spazio per le relazioni dirette. Se da questa mutazione si riuscirà ad emergere mantenendo intatti – o migliorando – i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, resta da vedere.
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