Resta alta la tensione in Somalia, dove, nonostante l’indebolimento degli estremisti, la lotta al terrorismo e gli scontri tra fazioni interne non permettono di placare la tensione nel paese. Secondo il Global Terrorism Index 2019 dell’Institute for Economics and Peace di Sidney, che analizza i dati relativi al terrorismo nel 2018, tre dei dieci paesi con il maggior impatto terroristico a livello mondiale appartengono all’Africa sub-sahariana. Si tratta di Nigeria (terzo posto), Somalia (sesto) e Repubblica Democratica del Congo (al decimo posto). Mentre quest’ultimo deve fronteggiare le azioni destabilizzanti degli estremisti dell’organizzazione Boko Haram, la Somalia è impegnata a combattere, sostenuta dalle forze americane, il gruppo terroristico di al-Shabaab, affiliato di al-Qaeda.

L’indice, però, mostra anche che tra il 2017 e il 2018 la Somalia ha registrato la seconda maggiore riduzione di morti per terrorismo, preceduta solo dall’Iraq. Dal 2017, infatti, la presenza americana sul suolo somalo è notevolmente aumentata dopo che il presidente Donald Trump ha approvato un ampliamento delle operazioni militari in Somalia. Gli ultimi attacchi del 2018 hanno portato alla morte di 60 miliziani ad ottobre e 62 a dicembre ed è stata la serie di attacchi più violenta dopo quella del novembre dell’anno prima, nel quale erano stati uccisi 100 miliziani. Tutto questo ha fatto sì che il numero di morti causate da attacchi terroristici toccasse il livello più basso dal 2013.
Ma sebbene questi dati possano apparire confortanti, dal 2018 la situazione non è migliorata e l’attivismo militare statunitense delinea uno scenario ancora più complicato. Come riporta il sito Voice of America, nel 2018 AFRICOM, il comando per le operazioni militari statunitensi che si svolgono nel continente africano, ha eseguito 48 attacchi aerei sul suolo somalo, mentre nel 2019 il numero è salito a 63. Mai negli anni precedenti gli attacchi erano stati così tanti.
Nel 2019, i militanti di al-Shabaab sono stati attivi soprattutto nella zona che circonda la capitale Mogadiscio e nelle regioni del sud del paese, ma alcuni attacchi hanno colpito anche le regioni del nord. Inoltre, l’organizzazione riesce a guadagnare imponendo tasse ai clan locali che si trovano fuori dalle aree sotto il controllo governativo, il che lascia supporre che, nonostante al-Shabaab militarmente abbia perso territorio, la sua influenza sulla popolazione in alcune zone del paese resti ancora molto forte.

Il governo centrale non si trova solo a fronteggiare la minaccia terroristica, ma anche a cercare di riaffermare la propria forza nei confronti delle spinte indipendentiste di alcune regioni, nelle quali i rapporti con gli stati vicini giocano un ruolo fondamentale. A sud, nella vallata del fiume Juba, dall’aprile del 2011 si estende lo Jubaland, uno stato semiautonomo considerato illegale dal governo di Mogadiscio e dalle Nazioni Unite. É sostenuto dal Kenya, che probabilmente vede nella sua influenza sulla regione la possibilità di mettere le mani sui giacimenti di idrocarburi che si trovano tra le acque territoriali somale e keniote.
La disputa per l’acquisizione del pezzo di mare ricco di ‘oro nero’ va avanti dal 2011. Nel 2012, il governo keniota ha anche stipulato dei contratti di esplorazione con la multinazionale italiana ENI e con la compagnia petrolifera francese TOTAL. Ora la questione è nelle mani della Corte Internazionale di Giustizia, visto il ricorso operato da Mogadiscio nel 2016. Il Kenya, da parte sua, può contare sull’appoggio di Ahmed Mohamed Islam, detto Madobe, eletto per il terzo mandato consecutivo presidente dello Jubaland. Madobe, oltre ad essere utile al Kenya in funzione antiterroristica, controlla l’intero confine tra i due paesi ed è in forte contrasto con il presidente somalo Mohamed Abdullahi Fermaajo.
Altro problema è rappresentato dal Somaliland, regione del nord, con capitale Hargeisa, che si dichiara indipendente nonostante Mogadiscio continui a considerarla parte della Somalia. Il governo centrale, per riportare la regione nel proprio sistema federale, ha anche fatto ricorso alle tensioni con stati semi-autonomi come il Putnam, situato nella parte orientale della nazione, per innescare una guerra tra quest’ultimo e il Somaliland, in modo da indebolirlo sia politicamente che economicamente.

A questo quadro si aggiungono le aspirazioni di potenze straniere. In particolare gli Emirati Arabi Uniti, consci della posizione geostrategica della regione, nel 2017 hanno stretto un accordo con il Somaliland per la modernizzazione del porto di Barbera e per la costruzione di una base militare. Se il governo di Mogadiscio persegue il proprio obiettivo di riunificazione, i nazionalisti presenti nella regione non hanno mai abbandonato il desiderio di indipendenza e questo impedisce a entrambe le parti di arrivare ad una soluzione in maniera diplomatica. Proprio questa difficoltà di dialogo tra il governo centrale e le regioni che rivendicano l’autonomia è un elemento che potrebbe permettere ad al-Shabaab di riconquistare potere.