
In un Egitto sempre più chiuso e controllato, lo stato d’emergenza è ormai ininterrotto dal 2017 e fa parte dell’ordinario. In queste condizioni, il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo viene messo a repentaglio. Questo avviene in nome della protezione dell’intera nazione da gravi pericoli, come il fenomeno del terrorismo. Regolato a livello internazionale dall’art.4 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, lo stato d’emergenza viene dichiarato dallo Stato “quando si riscontri un’emergenza pubblica che ponga a rischio la vita della nazione e la cui esistenza sia proclamata ufficialmente”. Le misure emergenziali a cui gli Stati ricorrono implicano una modifica degli ordinamenti giuridici interni, con il potere concentrato nelle mani dell’esecutivo e il rischio di gravi violazioni dei diritti umani a causa dell’abuso di potere.
“A causa delle pericolose condizioni in cui si trova il paese, lo stato d’emergenza sarà esteso per altri tre mesi, a partire dal 27 gennaio. Le forze armate e la polizia prenderanno tutte le misure necessarie per fronteggiare i pericoli rappresentati dal terrorismo, e per proteggere le proprietà pubbliche e private così come la vita dei cittadini”.
Queste le parole con cui il presidente Abdel Fattah al-Sisi, all’inizio del 2020, ha deciso di rinnovare ancora una volta lo stato d’emergenza, dichiarando come le misure emergenziali sarebbero state applicate per affrontare una situazione di pericolo per l’intera nazione.
L’intercettazione e il monitoraggio di tutte le forme di comunicazione, la censura, l’imposizione del coprifuoco, le sparizioni forzate e la detenzione, sono tutti esempi delle misure che lo Stato ha preso e continua a prendere, a scapito dei diritti fondamentali di ogni individuo.

In un recente rapporto di Amnesty International intitolato “Stato permanente di eccezione” vengono documentate continue violazioni dei diritti umani, principalmente nei confronti di attivisti, giornalisti e comuni cittadini. Questo contribuisce a dimostrare come nell’Egitto di al-Sisi non sembri possibile trovare uno spazio per l’opposizione o il dissenso, nè per alcun tipo di pensiero che non sia in linea con la narrativa del regime. In particolare, dallo scorso settembre, quando si sono svolte delle proteste antigovernative, è stato riscontrato un incremento dei controlli da parte delle forze di sicurezza, che continuamente invadono la privacy dei cittadini, sottoponendoli a perquisizioni forzate e detenzione di durata notevole, senza alcun mandato, con l’evidente scopo di reprimere ogni forma di dissenso.
È all’interno di questa preoccupante situazione che si inserisce la vicenda di Patrick George Zaky, studente egiziano e attivista, arrestato al Cairo lo scorso 7 febbraio. Zaky era di ritorno dall’Italia, dove frequentava un master all’Università di Bologna. Le accuse a suo carico, formulate anche nei confronti di numerosi altri attivisti per i diritti umani, avvocati, difensori delle minoranze e giornalisti, sono quelle di fomentare il rovesciamento del governo, pubblicare notizie false sui social media, minando l’ordine pubblico e istigando al terrorismo. Pare difficile, quindi, negare che Patrick Zaky si trovi ad essere vittima di una “istituzionalizzazione del potere autoritario” da parte di un presidente che tenta di raggruppare nelle sue mani sempre più poteri extra costituzionali, come sostenuto in un’analisi video pubblicata dall’Istituto per lo Studio della Politica Internazionale il 3 marzo. Questa istituzionalizzazione progressiva ha creato un clima di terrore, nel quale chiunque può rischiare l’arresto, la detenzione o la morte.

Il controllo severo del regime sulla comunità accademica non solo ha annullato la vita intellettuale di molti, ma ha anche privato tanti giovani studenti della loro libertà.
“Tra il 2013 e il 2016, più di 1100 studenti sono stati arrestati, 1000 espulsi o soggetti ad azioni disciplinari, 65 processati da tribunali militari e 21 uccisi”, secondo dati riportati dalla piattaforma Carnegie Endowment.
Le azioni portate avanti dal regime di al-Sisi mettono in luce come giovani studenti e ricercatori, come Zaky o Regeni, costituiscano una seria minaccia perché portatori di idee e valori che non sono compatibili con quelli del potere in carica. In quella che può essere detta una “paranoia del potere”, le azioni del presidente egiziano hanno peggiorato sempre di più la situazione dei diritti umani in Egitto, trasformando le leggi e il sistema giudiziario in strumenti repressivi per fermare chiunque rappresenti quel mondo legato alla libertà di ricerca, pensiero e parola.